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La riforma delle banche pubbliche: dagli enti conferenti alle fondazioni di origine bancaria. L'esigenza di una autorità di vigilanza per le fondazioni bancarie.

La privatizzazione del settore bancario pubblico è il risultato di un lungo processo di riforma avviato nel 1990 dalla legge n.218 del 30 luglio, detta legge Amato, che si sarebbe concluso, dopo un cammino denso di interventi del legislatore, solo dopo otto anni, con la definitiva trasformazione delle fondazioni di origine bancaria in soggetti di diritto privato. Tale processo, tuttavia, affondava le sue radici in un dibattito che era stato sollevato nel 1981 dalla pubblicazione di un libro bianco della Banca d'Italia sullo stato delle banche pubbliche e che avrebbe continuato a svilupparsi fino agli anni più recenti seguendo il cammino tormentato della riforma, segnato da vari cambiamenti di rotta.
Dopo una breve premessa storica sulle origini di una particolare categoria di banche pubbliche, le Casse di Risparmio, caratterizzate dalle finalità mutualistiche che perseguivano, e sulla loro evoluzione, segnata da una progressiva despecializzazione operativa ed assimilazione giuridica al modello della banca ordinaria, si intende analizzare l'evoluzione del nostro sistema bancario dal modello di mercato controllato, delineato dalla legge bancaria del '36, al suo superamento in favore del modello di mercato regolato in cui avrebbero operato solo soggetti privati. Questo lavoro si propone, in primo luogo, di analizzare compiutamente quel processo che ha segnato nel nostro ordinamento, il passaggio da un sistema bancario caratterizzato dalla massiccia presenza di organismi pubblici ad un sistema privatizzato; prendendo in considerazione le varie fasi in cui si è articolato tale passaggio e ponendo particolare attenzione all'evoluzione che ha subito la figura degli enti conferenti, oggi fondazioni di origine bancaria, creati dalla legge Amato come enti pubblici non economici, e divenuti otto anni dopo, con la legge n.461/98, enti di diritto privato.
Si intende evidenziare in modo particolare come l'esigenza di tale di riforma fosse legata alla necessità di restituire ai nostri istituti di credito una maggiore competitività sui mercati bancari internazionali soprattutto in considerazione del processo di integrazione dei mercati creditizi e finanziari europei, che rischiava di porre le banche italiane di fronte ad una grave crisi. Per scongiurare tale rischio le disposizioni della legge n.218/90 avrebbero mirato ad una omogeneizzazione della pluralità di figure giuridiche presenti in tale sistema bancario, riconducendole al modello della società per azioni di diritto comune, ritenuto, quest'ultimo, più efficiente e, conseguentemente, più adatto ad affrontare la concorrenza internazionale.
Il provvedimento in questione, prevedendo il conferimento dell'azienda bancaria da parte dell'ente banca pubblica in una nuova società per azioni, ha permesso l'avvio di una prima fase di privatizzazioni del settore bancario, detta privatizzazione formale o privatizzazione fredda, che avrebbe consentito il progressivo ritiro degli enti pubblici dal settore bancario e, quindi, un generale miglioramento della redditività attesa dalle aziende bancarie.
Il completamento del processo di privatizzazione, con i provvedimenti emanati nel corso degli anni novanta ha consentito, portando gradualmente all'abrogazione del vincolo della partecipazione pubblica obbligatoria nel capitale delle società bancarie, il passaggio alla cosiddetta fase di privatizzazione sostanziale, o calda, del settore bancario.
Nel descrivere l'evoluzione della normativa verso la privatizzazione vera e propria del settore bancario, quindi, verrà posta particolare enfasi sulla problematica del vincolo della partecipazione pubblica di controllo nel capitale delle società bancarie che era stato previsto dalla legge Amato, nonché sul suo superamento che avrebbe consentito la definitiva separazione fra ente conferente e società bancaria.
In conclusione si verificherà come il lungo cammino della riforma delle banche pubbliche, una volta avviato il processo di privatizzazione sostanziale, avrebbe richiesto, per essere concluso, il riconoscimento alle cosiddette fondazioni bancarie della personalità di diritto privato, non esistendo più ragioni perché esse continuassero ad essere considerate enti pubblici.
Intendiamo, dopo avere descritto i diversi modelli organizzativi cui le fondazioni possono ispirarsi, approfondire alcune questioni sollevate dall'acceso dibattito sulle fondazioni bancarie ed inerenti il futuro ruolo che le fondazioni avrebbero dovuto rivestire, nell'economia del paese, una volta divenuti enti non profit. Particolare attenzione verrà dedicata ai pareri degli addetti ai lavori circa la possibilità, per le fondazioni, di sostenere, assumendo il ruolo di investitore istituzionale, il processo di privatizzazione che negli anni novanta ha interessato vari settori dell'economia.

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Introduzione La privatizzazione del settore bancario pubblico è il risultato di un lungo processo di riforma avviato nel 1990 dalla legge n.218 del 30 luglio, detta legge Amato, che si sarebbe concluso, dopo un cammino denso di interventi del legislatore, solo dopo otto anni, con la definitiva trasformazione delle fondazioni di o- rigine bancaria in soggetti di diritto privato. Tale processo, tutta- via, affondava le sue radici in un dibattito che era stato sollevato nel 1981 dalla pubblicazione di un libro bianco della Banca d’Italia sullo stato delle banche pubbliche e che avrebbe conti- nuato a svilupparsi fino agli anni più recenti seguendo il cammi- no tormentato della riforma, segnato da vari cambiamenti di rot- ta. Dopo una breve premessa storica sulle origini di una parti- colare categoria di banche pubbliche, le Casse di Risparmio, ca- ratterizzate dalle finalità mutualistiche che perseguivano, e sulla loro evoluzione, segnata da una progressiva despecializzazione

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