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La clausola generale antiabuso nel diritto tributario

Questo lavoro analizza il modo in cui la giurisprudenza è arrivata a qualificare comportamenti elusivi posti in essere dai contribuenti come manifestazione di abuso del diritto.
Tale analisi è svolta partendo dall'esame di alcune importanti sentenze della Corte di Cassazione sul tema dell’elusione tributaria, risalenti al 2005, nelle quali sono applicati, a contrasto dell'elusione, istituti di natura prettamente civilistica (interposizione, simulazione, contratto in frode alla legge, nullità assoluta), laddove non esista una precisa previsione normativa che consideri come elusivi i negozi posti in essere.
Successivamente si esaminano le prime sentenze della Corte di Giustizia europea che negano la deducibilità dell’imposta sul valore aggiunto per ”abuso di diritto” e sanciscono espressamente l’esistenza di un principio comunitario generale antiabuso, inteso quale canone interpretativo del sistema e, quindi, direttamente applicabile nell'ordinamento di ciascuno Stato membro.
La trattazione termina con l'analisi delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione (fino al 2009) alla luce, appunto, del nuovo orientamento di stampo europeo sul tema.
Si vedrà come l’applicazione di tale principio nel nostro ordinamento tributario sia stata ampiamente contestata dalla dottrina, in quanto ritenuta contraria e dissonante con il principio della riserva di legge in materia tributaria (art. 23 Cost.), e col principio della certezza del diritto, secondo il quale al contribuente deve essere consentito di conoscere in anticipo il trattamento fiscale di ogni operazione così da avere la possibilità di calcolarne la convenienza economica, cosa che non sarebbe possibile postulando l’esistenza di un principio generale antiabuso che attribuisce un forte potere discrezionale all’Amministrazione Finanziaria e ai giudici.

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Finanziaria e ai giudici. Ma prima di addentrarci specificamente in questi argomenti, forniamo, di seguito, un quadro generale della nozione di elusione fiscale e delle norme antielusive presenti nell'ordinamento tributario italiano. 1.1 Nozione di elusione. L'elusione fiscale – secondo la definizione che ne dà Tesauro2 - occupa uno spazio intermedio tra l'evasione fiscale ed il risparmio lecito di imposta. L'evasione è un vero e proprio illecito amministrativo e penale, perché consiste in una violazione diretta ed aperta di norme fiscali, generalmente realizzata occultando il presupposto d'imposta e perciò sottraendosi, in tutto o in parte, alle conseguenze fiscali che da tale presupposto derivano. Essa viola apertamente il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), oltre che il più fondamentale rapporto di correttezza tra il cittadino e la collettività. Il risparmio lecito di imposta si verifica, invece, quando, un contribuente pone in essere il comportamento a lui fiscalmente più conveniente tra quelli che l'ordinamento tributario consapevolmente prevede e pone a sua disposizione. Ciò significa che per l'Amministrazione Finanziaria è irrilevante il fatto che il contribuente adotti un comportamento che gli consenta di fruire di un vantaggio fiscale e, di conseguenza, non appresta nessun tipo di strumento per esigere l'imposta dovuta secondo la normativa meno favorevole. Ricercare il risparmio lecito di imposta è un comportamento previsto e difeso dal principio generale di stampo comunitario e costituzionale di libertà dell'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), in virtù del quale il contribuente è libero di scegliere, tra più negozi giuridici, la soluzione che comporti per lui il minimo dispendio economico, e di beneficiare, anche, di norme fiscali che prevedano una tassazione meno onerosa. Questo comportamento, però, non deve sfociare in un illecito; in altre parole non deve generare pratiche elusive delle norme fiscali. 2 Francesco Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol.1, parte generale, Torino, 2006, pag. 247. 2

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