L'iscrizione e la valutazione delle partecipazioni immobilizzate nel bilancio d'esercizio: profili giuridici
La revisione della disciplina del bilancio d’esercizio compiuta, in attuazione della IV Direttiva, con l’emanazione del d.lgs. n. 127 del 1991 ha radicalmente innovato i criteri di valutazione delle partecipazioni. È scomparsa, innanzi tutto, la menzione alla formula del “prudente apprezza-mento” degli amministratori, e con essa l’implicito riferimento alla discrezionalità tecnica di questi ultimi nella determinazione del valore di tali attività. Le partecipazioni, al pari di tutti gli altri elementi del patrimonio, devono – ai sensi della vigente normativa – essere valutate secondo criteri oggettivi, stabiliti dalla legge, senza più lasciare spazio all’apprezzamento soggettivo, per quanto prudenziale, degli estensori del bilancio. Gli unici margini di discrezionalità tecnica loro rimasti riguardano ormai soltanto pochissimi aspetti: essenzialmente, per quanto concerne la valutazione delle partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie, la scelta fra il criterio del costo e il metodo alternativo del Patrimonio Netto. L’intero sistema della disciplina del bilancio scaturito dalla novella suddetta può dirsi orientato dalla volontà del legislatore di escludere – o comunque di ridurre quanto più possibile – l’intervento discrezionale degli amministratori, e più in generale dei soggetti a cui compete formare il bilancio. Di questo preciso intento del legislatore, costituisce inequivoca testimonianza l’eliminazione del richiamo alle “speciali ragioni” in presenza delle quali gli amministratori erano legittimati a derogare, a loro giudizio e sotto la loro responsabilità, ai criteri legali di valutazione, così come consentiva in precedenza la previsione dell’ultimo comma dell’art. 2425 del Codice Civile. La scelta del legislatore italiano di non permettere più deroghe facoltative ai precetti dettati in materia di valutazioni, rinunziando quindi in via definitiva ad accordare agli amministratori una più ampia autonomia nella formazione del bilancio, risponde esattamente allo spirito riformatore della novella del 1991, e cioè alla “oggettivazione” del bilancio, anche a costo di escludere consapevolmente la fruizione degli innegabili vantaggi ai quali una maggiore flessibilità avrebbe consentito di accedere ad intrinseche variazioni del valore di beni come le partecipazioni immobilizzate, nel presupposto che i rischi potenziali di frodi suscettibili di derivare da tale autonomia (almeno per ciò che concerne le società che redigono il bilancio secondo i principi contabili nazionali) superino comunque gli eventuali vantaggi anzidetti. I brevi cenni fin qui svolti sull’evoluzione storica della normativa disciplinante la valutazione delle partecipazioni immobilizzate servono per sottolineare due punti fondamentali. Primo: l’alternatività tra criterio del costo e metodo del Patrimonio Netto non sembra essere (come meglio si vedrà in seguito) espressione di una facoltà concessa dal legislatore all’organo amministrativo, posto che dall’interpretazione logico-sistematica dell’intera normativa sul bilancio d’esercizio pare che egli voglia “imporre” – almeno per ciò che riguarda le partecipazioni immobilizzate in imprese controllate e/o collegate – l’adozione del metodo del Patrimonio Netto, il quale risponde in maniera molto più significativa – rispetto al criterio del costo – ad una rappresentazione veritiera e corretta del bilancio stesso. Secondo: la scelta di utilizzare l’equity method, piuttosto che il criterio del costo, per la valutazione delle partecipazioni suddette può, talvolta, essere guidata da una variabile di carattere meramente fiscale, con riferimento, in particolare, ai vantaggi che potrebbero potenzialmente derivare in termini di riallineamento dei maggiori valori contabili iscritti in bilancio ai valori fiscalmente riconosciuti dall’Ufficio Finanziario. Ne discende che le disposizioni normative sul bilancio d’esercizio, dettate dal legislatore civilistico, non sembrano essere state scritte sulla base dello stesso “spirito” al quale, invece, si ispirano quelle dettate dal legislatore tributario. Un tale mancato “coordinamento” tra le due discipline determina i suoi effetti, tra l’altro, anche in termini di rappresentazione veritiera e corretta; principio quest’ultimo che costituisce una “pietra miliare” della normativa sul bilancio. In definitiva, lungi dal trovare una soluzione di “mediazione” tra le due discipline, l’agire dell’estensore del bilancio deve essere ispirato sempre (e solo) ai “principi di corretta amministrazione”, assumendo, dunque, “la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”, ed ignorando, quindi, ogni altra strada che non sia conforme ai principi suddetti.
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Arati |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia Aziendale |
Relatore: | Emilio Pezone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 234 |
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