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Il Value at Risk: metodologia e applicazione in modelli di decisione

Negli ultimi anni gli studi condotti sul Value at Risk hanno principalmente seguito due direzioni. Da un lato si sono cercati metodi di stima sempre più rispondenti alle situazioni empiriche del mercato, dall’altro la ricerca si è orientata su nuovi impieghi del VaR. A tal proposito si sono ottenuti risultati significativi nello sviluppo dei metodi di allocazione delle risorse: esso non è più visto come semplice strumento di valutazione del rischio, poiché può essere impiegato anche a livello gestionale. In particolare, l’analisi del VaR si è orientata all’utilizzo sia come singolo strumento, sia entro un modello più complesso, ottenendo come risultati la scomposizione del VaR in unità elementari di rischio. In tale ambito si analizza il contributo d’ogni singola posizione alla rischiosità complessiva di portafoglio e le applicazioni nell’ambito di modelli decisionali, come l’utilità non attesa o la selezione di portafoglio.
Per quel che concerne la trattazione del VaR come strumento gestionale si è fatto riferimento alle teorie sull’avversione al rischio degli individui, che hanno evidenziato la congruenza del VaR a concetti quali la dominanza stocastica o altri più particolari, come il Left Monotone Mean Preserving Increase in Risk. Questo ha permesso di valutarne la bontà all’interno del modello di selezione del portafoglio di Markowitz.
Il VaR ha però evidenziato problemi di scomposizione in unità elementari di rischio, in quanto non si può risalire alle singole attribuzioni partendo dal semplice valore finale. Tale impedimento è stato però superato grazie agli sviluppi dei concetti introdotti da Garman che, attraverso un metodo di linearizzazione delle posizioni finanziarie ha permesso questa scomposizione. La stretta connessione tra quest’ultimo approccio e i modelli fattoriali ha quindi permesso uno studio comparato del VaR in ambito CAPM.

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1 1. INTRODUZIONE L’era moderna di “risk management” sulle posizioni in valuta straniera ha inizio nel 1973. In quell’anno ci furono due avvenimenti importanti: • Il crollo della parità fissa dei tassi di cambio sancita con gli accordi di Bretton Woods; • La pubblicazione del lavoro di Black-Scholes sul pricing delle opzioni. A fronte della pressione speculativa innescata dal deficit del bilancio USA, in seguito ai consistenti deflussi di capitali statunitensi in Europa (principalmente per investimenti) e l'accendersi dell'inflazione americana per i costi della guerra in Vietnam, la convertibilità in oro della moneta statunitense fu sospesa nel 1971. Il dollaro fu svalutato del 9 per cento in dicembre e di un altro 10 per cento nel 1973. Tali turbolenze indussero i paesi industrializzati a lasciare le proprie monete libere di oscillare, dando vita a un sistema di cambi a fluttuazione amministrata. Tutto ciò diede l’impulso a trovare strumenti per la misurazione e la gestione della rischiosità e i concetti introdotti da Black-Scholes fornirono le indicazioni per iniziare una nuova epoca, i cui capisaldi diventarono, per l’appunto, la misurazione e la gestione del rischio. A partire dal 1973, si assistette al proliferare di numerosi strumenti finanziari derivati, creati per ridurre il rischio insito nell’elevata volatilità dei tassi di cambio e d’interesse. Tuttavia, ciò contribuì a rendere più difficile la quantificazione e la qualificazione del rischio, aumentando, quindi, la necessità di trovare misure di rischiosità dei portafogli. Tra queste il Value at Risk si è fin da subito rivelato uno strumento di primaria importanza e ancora oggi riveste un ruolo di assoluto primo piano.

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Informazioni tesi

  Autore: Denis Errica
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1998-99
  Università: Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia Politica
  Relatore: Erio Castagnoli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 95

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Parole chiave

avversione al rischio
capm
dominanza stocastica
frontiera efficiente
harry markowitz
rischio
riskmetrics
value at risk
var
volatilità

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