I ristorni nelle società cooperative: aspetti giuridici e economici
Non esiste alcuna definizione di ristorno nell’ordinamento giuridico italiano ed in quelli europei, di conseguenza per ricostruirne una disciplina si deve ricorrere allo studio degli usi e delle consuetudini mutualistiche.
Il ristorno consiste nella ripartizione del reddito di gestione sulla base degli apporti mutualistici, anziché sulla base della quota di capitale posseduta.
Buona parte della dottrina e della giurisprudenza concordano nell’affermare che il ristorno è inserito nella causa tipica del contratto di società cooperativa, il che significa che il soggetto che sottoscrive il contratto di società cooperativa manifesta l’interesse e la volontà giuridicamente riconosciute di cooperare e di percepire la ricchezza prodotta dall’impresa in proporzione degli apporti mutualistici effettivamente eseguiti, tuttavia non v’è alcuna norma che imponga alle società cooperative di praticare il ristorno, dunque il reddito può essere distribuito attraverso il dividendo senza alcun problema giuridico per la società cooperativa.
Da questa situazione derivano delle incongruenze che dimostrano come, in determinati casi, si produca una certa incompatibilità tra il sistema di norme previsto per le società cooperative e il generale ordinamento giuridico societario.
Si consideri il caso in cui l’assemblea che approva il bilancio deliberi la distribuzione dell’utile in parte attraverso ristorno ed in parte attraverso dividendo e si sia in presenza di utili portati a nuovo da precedenti esercizi: così facendo si legittimerebbe nei soci una aspettativa sulla parte del reddito d’esercizio corrispondente all’incremento reddituale dovuto all’aumento di produttività, economicità, efficienza conseguente agli investimenti produttivi effettuati tramite l’impiego delle risorse generate con l’attività mutualistica dei precedenti esercizi, i quali sono dunque legati da un nesso di causalità economica con il successivo incremento reddituale.
Il problema è dare sostanza giuridica a tale legame economico: ciò può essere fatto ricorrendo allo studio dei fondamenti del diritto societario, riferendosi in particolare alla teoria dell’unitarietà del diritto di partecipazione (o alternativamente, alla teoria del diritto alla parità fondata sulla seconda direttiva in materia societaria), la quale sostiene che il soggetto che sottoscriva un contratto di società, secondo l’art. 2247 del codice civile manifesta l’interesse e la volontà giuridicamente tutelate di concorrere alla ripartizione della ricchezza prodotta dall’impresa in una proporzione determinata: ebbene, qualora si accettasse la tesi della tipicità del ristorno nel contratto di società cooperativa, la teoria dell’unitarietà del diritto di partecipazione, applicabile alle società cooperative in quanto facenti parte dell’ordinamento societario, potrebbe essere applicata alle stesse ritenendosi vigente l’obbligo di rispettare la modalità di ripartizione implicita nel contratto, ovvero proprio il ristorno, destinando a remunerazione dl capitale solo una quota limitata dell’utile, riconoscendo al conferimento un mero interesse.
Tuttavia il socio di società cooperativa non ha alcun titolo su cui fondare alcuna pretesa sulla parte di incremento reddituale, in quanto la quota o azione cooperativa non attribuisce la titolarità del patrimonio netto, a causa delle lettere b) e c) dell’art. 26, d.lgs. c.p.s. 1577/1947, che prevede l’indistribuibilità delle riserve e la devoluzione del patrimonio finale di liquidazione ai fondi per il sostegno del movimento cooperativo istituiti presso le associazioni di rappresentanza cooperativa riconosciute o presso il ministero del lavoro.
In sostanza verrebbe a mancare un titolo su cui fondare la pretesa alla ripartizione proporzionata della ricchezza, come avviene invece nelle società cosiddette lucrative; tuttavia l’unitarietà del diritto soggettivo di partecipazione impone non solo che il reddito sia distribuito in forma prestabilita e condivisa dai soci, ma che questa avvenga in proporzione di quanto i soci abbiano contribuito alla produzione dello stesso reddito, il che solo nelle società lucrative avviene in proporzione del capitale conferito, nelle società cooperative avviene in proporzione dell’attività mutualistica.
Dunque la pretesa del socio non sarebbe fondata tanto sulla quota di capitale o azione posseduta, bensì sul concorso alla produzione della ricchezza che avviene mutualisticamente.
Sarebbe auspicabile che le cooperative disciplinassero statutariamente e nelle forme ora prospettate il ristorno, in modo da massimizzarne il potenziale incentivante.
Tutto ciò richiede necessariamente una contabilità particolare, in modo da assicurare ai soci cooperatori la funzione patrimoniale del ristorno.
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Informazioni tesi
Autore: | Lorenzo Lazzari |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi dell'Insubria |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Sergio Patriarca |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 135 |
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