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Produttività e protezione del lavoro in Italia: problemi e prospettive

L’attuale crisi economica, che si è manifestata nel mondo a partire dal 2008 e non ancora terminata, ha messo a dura prova le economie di tutti i paesi, soprattutto quelli dell’area euro. Tuttavia, il biennio 2011/2012 ha conosciuto un’inversione di tendenza di alcuni Stati, il cui PIL è ritornato ad avere una crescita sostenuta, con l’eccezione di altre nazioni che avevano problemi, anche strutturali, che si portavano dietro già prima della crisi: tra tutti ricordiamo l’Italia.
La nostra Penisola, in realtà, non solo si trova in uno stato economico di affanno, ma è stato addirittura proclamato lo stato di recessione: crescita zero, debito pubblico alle stelle, disoccupazione con tassi da record. Il governo Monti sta cercando di risollevare il paese e intentando di trovare soluzioni che riportino il livello di welfare vicino a quello degli altri paesi sviluppati. La parola d’ordine è riforma! Tra le più discusse, c’è quella riguardante la riforma del mercato del lavoro, come mezzo per riportare un livello di produttività soddisfacente per raggiungere il benessere sociale.
Il mercato del lavoro è già stato oggetto di riforme da parte dei governi precedenti per cui possiamo ricordare il pacchetto Treu (1997) o la riforma Biagi (2003). Tali riforme erano indirizzate ad adeguarsi alle direttive europee decise nella Strategia di Lisbona del 2000 dove si richiedeva la cosiddetta flexicurity, un connubio tra liberalizzazione del mercato del lavoro e sicurezza sociale.
La legislazione sulla protezione del mercato del lavoro italiano è sempre stato molto rigoroso a livello europeo e mondiale; costi per i licenziamenti elevati, presenza di costi impliciti dell’impiegato, esistenza di molte tutele per il lavoratore e di clausole per il rinnovo e per la proroga del contratto a termine e per la lettera di assunzioni. Le norme italiane erano piene di procedure che rallentavano il turnover dei lavoratori e la diffusione dei contratti atipici. Per studiare le differenze tra i paesi dell’Unione Europea a 15, ci siamo serviti del grado di rigore della legislazione sulla protezione del lavoro, chiamato comunemente EPL (employment protection legislation), norme che regolano l’assunzione e il licenziamento. L’EPL è nato per proteggere i lavoratori e aumentare la stabilità lavorativa, riducendo la distruzione di posti di lavoro. Adesso, invece, viene visto come un ostacolo all’efficienza e, quindi, alla produttività.
Per contro, i dati teorici e empirici ci illustrano che la flessibilità del mercato del lavoro non basta, perché senza nessuna sufficiente sicurezza sociale e senza la liberalizzazione del mercato dei beni, i risultati non saranno soddisfacenti.

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2 Introduzione L’attuale crisi economica, che si è manifestata nel mondo a partire dal 2008 e non ancora terminata, ha messo a dura prova le economie di tutti i paesi, soprattutto quelli dell’area euro. Tuttavia, il biennio 2011/2012 ha conosciuto un’inversione di tendenza di alcuni Stati, il cui PIL è ritornato ad avere una crescita sostenuta, con l’ eccezione di altre nazioni che avevano problemi, anche strutturali, che si portavano dietro già prima della crisi: tra tutti ricordiamo l’Italia. La nostra Penisola, in realtà, non solo si trova in uno stato economico di affanno, ma è stato addirittura proclamato lo stato di recessione: crescita zero, debito pubblico alle stelle, disoccupazione con tassi da record. Il governo Monti sta cercando di risollevare il paese e intentando di trovare soluzioni che riportino il livello di welfare vicino a quello degli altri paesi sviluppati. La parola d’ordine è riforma! Tr a le più discusse, c’è quella riguardante la riforma del mercato del lavoro, come mezzo per riportare un livello di produttività soddisfacente per raggiungere il benessere sociale. Il mercato del lavoro è già stato oggetto di riforme da parte dei governi precedenti per cui possiamo ricordare il pacchetto Treu (1997) o la riforma Biagi (2003). Tali riforme erano indirizzate ad adeguarsi alle direttive europee decise nella Strategia di Lisbona del 2000 dove si richiedeva la cosiddetta flexicurity, un connubio tra liberalizzazione del mercato del lavoro e sicurezza sociale. Le linee guida dell’accordo europeo hanno l’obiettivo di influenzare la qualità e la quantità delle opportunità di lavoro e di avere effetti sul tasso di occupazione e disoccupazione. Inoltre lo scopo principale è quello di incentivare la produttività per essere competitivi in un mercato sempre più globale e concorrenziale. La legislazione sulla protezione del mercato del lavoro italiano è sempre stato molto rigoroso a livello europeo e mondiale; costi per i licenziamenti elevati, presenza di costi impliciti dell’impiegato, esistenza di molte tutele per il lavoratore e di clausole per il rinnovo e per la proroga del contratto a termine e per la lettera di assunzioni. Le norme italiane erano piene di procedure che rallentavano il turnover dei lavoratori e la diffusione dei contratti atipici. Per studiare le differenze tra i paesi dell’Unione Europea a 15, ci

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