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Diritto della concorrenza: note circa il costo rilevante nei casi di predatory pricing

Il tema del “predatory pricing” nella legislazione anti-trust è una tipico argomento di confine tra due discipline, Diritto e Economia politica, che hanno, semplificando il discorso al massimo, strutture concettuali non coincidenti. La connessione, nel ambito del Diritto della concorrenza, è comunque obbligata e necessaria: può una regola giuridica essere concepita e poi applicata ad un fatto concreto in cui termini come costo, prezzo, mercato sono continuamente al centro del discorso, ignorarne la rilevanza e il significato profondo, utilizzandole come generiche parole-simbolo svuotate magari dei contenuti che gli sono propri? Si può, quindi, parlare, esemplificando, di vendite “sottocosto” senza determinare il costo sotto il quale si è ipoteticamente finiti?
E, dall’altra parte, è possibile applicare in campo giuridico archetipi economici che non hanno il fine di stabilire la legittimità o meno di un comportamento, ma solo quello di spiegare le possibili ragioni che possono determinare il verificarsi di un evento, partendo da “modelli” che, per definizione, sono parziali, costruiti per semplificare una realtà troppo complessa, piena di variabili rilevanti ma non “significative”, quantomeno agli occhi di chi quel modello ha ideato e costruito?
Sulla base delle precedenti questioni, possono apparire più chiari i limiti delle note che seguiranno. Queste non sono dedicate, infatti, a stabilire se i casi di predatory pricing sono numerosi o se costituiscono un fenomeno rilevante o meno, oppure a considerare se sono frutto di una strategia razionale di aggressione o no.
Lo scritto che segue vuole semplicemente analizzare, attraverso strumenti logico-formali delle discipline economiche, alcune tra le più importanti soluzioni proposte per affrontare in campo giuridico il problema del predatory pricing, indicandone i possibili limiti applicativi e individuando, se è il caso, l’eventuale uso strumentale e distorto di concetti economici al fine di giustificare, giocando sull’ambivalenza del significato, decisioni politiche o di politica giudiziaria che hanno una matrice d’origine di altra natura.

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2 I) Introduzione 1 Il tema del “predatory pricing”( 1 ) nella legislazione anti-trust è una tipico argomento di confine tra due discipline, Diritto e Economia politica, che hanno, semplificando il discorso al massimo, strutture concettuali non coincidenti. La connessione, nel ambito citato, è comunque obbligata e necessaria: può una regola giuridica essere concepita e poi applicata ad un fatto concreto in cui termini come costo, prezzo, mercato sono continuamente al centro del discorso, ignorarne la rilevanza e il significato profondo, utilizzandole come generiche parole-simbolo svuotate magari dei contenuti che gli sono propri ? Si può, quindi, parlare, esemplificando, di vendite “sottocosto” senza determinare il costo sotto il quale si è ipoteticamente finiti ? E, dall’altra parte, è possibile applicare in campo giuridico archetipi economici che non hanno il fine di stabilire la legittimità o meno di un comportamento, ma solo quello di spiegare le possibili ragioni che possono determinare il verificarsi di un evento, partendo da “modelli” che, per definizione, sono parziali, costruiti per semplificare una realtà troppo complessa, piena di variabili rilevanti ma non “significative”, quantomeno agli occhi di chi quel modello ha ideato e costruito? Sulla base delle precedenti questioni, possono apparire più chiari i limiti delle note che seguiranno. Queste non sono dedicate, infatti, a stabilire se i casi di P.P. sono numerosi o se costituiscono un fenomeno rilevante o meno, oppure a considerare se sono frutto di una strategia razionale di aggressione o no. ( 2 ) Lo scritto che segue vuole semplicemente analizzare, attraverso strumenti logico-formali delle discipline economiche, alcune tra le più importanti soluzioni proposte per affrontare in campo giuridico il problema del P.P., indicandone i possibili limiti applicativi e individuando, se è il caso, l’eventuale uso strumentale e distorto di concetti economici al fine di giustificare, giocando sull’ambivalenza del significato, decisioni politiche o di politica giudiziaria che hanno una matrice d’origine di altra natura. Una distinzione difficile Per puntualizzare i limiti della questione, una prima difficoltà si incontra tentando di distinguere tra concorrenzialità e volontà predatoria a riguardo di un fatto dagli identici caratteri osservabili: una riduzione del prezzo. Quest'ultima, infatti, sarà considerata in modo radicalmente opposto a seconda che sia etichettata con l'uno o l’altro termine: sarà ritenuta il salutare riflesso dell’affermazione della concorrenza nel mercato in un caso, oppure come doloso attentato alla vita di un’altra impresa e alla salute economica del sistema, nell’altro. Come passare dagli auspici e dalle indicazioni suggerite dal pensiero economico a regole 1 D’ora in avanti, sorvolando sul suono dell’espressione, userò l’abbreviazione P.P. 2 Vedi sull’argomento: Mc Call: “Predatory pricing: an economic and legal analasys”; The Anti-trust Bulletin/ Spring 1987

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Ponchiroli
  Tipo: Tesi di Specializzazione/Perfezionamento
Specializzazione in Diritto delle Comunità Europee
Anno: 1998
Docente/Relatore: Paolo Mengozzi
Istituito da: Università degli Studi di Bologna
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 46

FAQ

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Parole chiave

antitrust
corte di giustizia europea
diritto della concorrenza
predatory pricing
prezzi predatori

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