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David Lynch - Dietro il sipario

Quando si parla di un regista come David Lynch non si può prescindere dal considerare tutte le sue ossessioni, i fantasmi, gli espedienti tecnici e i temi ricorrenti che caratterizzano la sua filmografia. Tuttavia c'è un particolare aspetto di quest'ultima sul quale mi voglio soffermare: mi riferisco alla sua propensione ad esplorare dimensioni immaginarie, oniriche e inconsce nelle quali, all'incanto - che a volte preannuncia la catastrofe imminente - si contrappone il disincanto di una realtà angosciante, conflittuale o addirittura insostenibile. Sono due dimensioni, quella fenomenica e quella immaginaria, che si intersecano e riversano le une nelle altre in modo avulso rispetto alle convenzioni della cinematografia classica che, ad ogni modo, non è dal cineasta del tutto accantonata.
È proprio dall'interesse di questo intuitivo regista verso le aberranti mostruosità che si nascondono sotto una superficie scintillante e rassicurante, che deriva la scelta del titolo di questa tesi.
Il sipario non rappresenta solo un elemento scenografico, ricorrente nelle sue opere cinematografiche (ricordiamo le tende dei titoli di testa di Velluto Blu, quelle dell'appartamento di Fred Madison in Strade Perdute, il sipario che delimita la Red Room in Twin Peaks e quello del teatro immaginario di Eraserhead), ma la raffigurazione simbolica della congiunzione e alla stesso tempo separazione di due universi contigui, una barriera così sottile da poter essere oltrepassata con facilità. Con lo scopo di "celare alla vista" è l'oggettivazione del mistero stesso, quell'enigma che Lynch ama suggerire ma non svelare e che appare come la superficie ordinaria e rassicurante dietro la quale, però, si nascondono indicibili segreti.
Il ricco immaginario del regista si presenta al pubblico in modo crudo, inquietante, sfiorando, talvolta, persino il grottesco e non allo scopo di suscitare uno sterile sensazionalismo ma provocare una reazione, anche se di repulsione, per rendere lo spettatore partecipe della vicenda. Il suo è più l'atteggiamento meticoloso e scientifico del chirurgo, ma invece di immergere le mani nella materia organica, le immerge nei meandri psichici di personaggi dalla già scarsa solidità, messi sotto forte pressione dalla realtà perversa e insidiosa che li circonda e dalle persone che la popolano, così degenerate da rasentare la caricatura.
Tutto è posto sotto una lente distorta che intensifica ancora di più personaggi e situazioni.
Come lo stesso Lynch afferma in un'intervista:
"Più tenebre sei in grado di raccogliere, più riesci a vedere anche la luce"
È questo suo interesse per il contrasto tra buio e luce, bene e male, fantasia e realtà, normalità e mostruosità, natura e macchina che uno dei generi in cui il regista sembra muoversi più a suo agio è il noir; genere che gli permette più di altri di mettere in pratica il suo approccio puramente istintivo al lavoro, di sperimentare atmosfere anche allucinatorie cariche di suspance e tensione, sfilacciare le trame del racconto fino a disorientare, disseminare indizi come tessere di un puzzle che spesso non trovano nemmeno la propria collocazione. Toccherà allo spettatore, e solo a lui, ricomporre le tessere e costruire una propria visione, vivendo l'impressione di dover decifrare un sogno, un delirio, o meglio, un incubo.

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“Quanto è magico entrare in un teatro e vedere spegnersi le luci. Non so perché. C'è un silenzio profondo, ed ecco che il sipario inizia ad aprirsi. Forse è rosso, ed entri in un altro mondo. È stupendo quando condividi quest'esperienza con gli altri. Continua a esserlo anche a casa, davanti al tuo schermo personale, anche se non è proprio la stessa cosa. Sul grande schermo è decisamente meglio. Ecco la porta d'ingresso per un altro mondo” In acque profonde, David Lynch 3

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