Politiche della salute. Percorsi critici della medicina contemporanea
«La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non corrisponde soltanto all’assenza di malattia o infermità». È con un’espressione netta che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla sua nascita, nel 1948, definisce il concetto di “salute”: una condizione che si avvicina alla perfezione e che è ribadita trent’anni dopo, quando l’OMS stila la nota Dichiarazione di Alma Ata sull’Assistenza Sanitaria Primaria, ponendosi come obiettivo la garanzia della salute per tutti, da realizzare entro l’anno 2000. Ciascun abitante del pianeta, entro quella data, avrebbe dovuto avere accesso a una condizione sociale dignitosa, elemento indispensabile per realizzare il massimo grado di salute contenuto potenzialmente in lui.
Nonostante questo traguardo si riveli immediatamente utopistico, l’idea di salute coincidente con un benessere completo – quasi un elemento da addomesticare mediante la prevenzione delle malattie e le cure appropriate e rapide – si fa strada, mentre la medicina diviene sempre più uno strumento per rimuovere la sofferenza fisica, finendo per trascurare il paziente in quanto persona, con il suo vissuto di esperienze ed emozioni.
Dalla seconda metà del Novecento ai giorni nostri la medicina diviene oggetto di acute indagini in campo politico, filosofico, antropologico, narrativo, sociologico, ma anche medico. Analisi che intendono ridare alla nozione di salute un’accezione politica – dotata di quella complessità che partendo dall’ambito speculativo possa essere applicata proficuamente alla quotidianità – e che ho preso in esame nella mia tesi.
La prima parte, più teorica, inquadra i concetti di salute e malattia dai punti di vista di alcuni studiosi del Novecento – i filosofi Canguilhem e Gadamer, la scrittrice Susan Sontag, il sociologo Ivan Cavicchi, l’antropologo Byron J. Good –, descrivendo la nascita della cosiddetta “medicina scientifica” o “biomedicina”, una vera e propria scienza che interpreta le patologie fermandosi alle cause fisiche e trascurando il contesto in cui si sviluppano. L’obiettivo di tali pensatori è quello di riabilitare, ciascuno nel proprio ambito disciplinare, un paradigma “bio-psico-sociale” – laddove il prefisso bio- ci ricorda che non si vuole sminuire la validità dei metodi adoperati dalla medicina, cancellandone i progressi ottenuti nel corso dei secoli, mentre le dimensioni psichica e sociale sottolineano che c’è bisogno anche di altro.
Con le loro indagini, gli autori analizzati dimostrano come la malattia, e di conseguenza la salute, sia il risultato di una serie di variabili biologiche, sociali, psichiche, che non possono essere ridotte alla perfezione di cui parla l’OMS: la seconda parte di questo lavoro rappresenta il tentativo di applicare tali nozioni alla pratica, inserendo la biomedicina e il paradigma bio-psico-sociale in contesti particolari e osservando la situazione dell’accesso alle cure in Italia e nei Paesi in Via di Sviluppo, con uno sguardo all’immigrazione, una realtà con la quale siamo chiamati a fare i conti quotidianamente.
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Informazioni tesi
Autore: | Paola Ciaramella |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica |
Relatore: | Davide Tarizzo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 154 |
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