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Conformismo ed obbedienza: Analisi storica ed empirica, casistiche ed esperimenti di psicologia sociale

Che cosa fa funzionare il comportamento umano? Che cosa determina il pensiero e l’azione umana? Che cosa fa sì che alcuni di noi conducano una vita morale, giusta mentre altri sembrano scivolare facilmente nell’immoralità e nel crimine? Ciò che pensiamo della natura umana è fondato sull’assunto che a guidarci sulla buona strada siano dei determinanti interiori? Prestiamo sufficiente attenzione alle determinanti esterne dei nostri pensieri, sentimenti e delle nostre azioni? In che misura siamo il prodotto delle situazione, del momento , della massa? Siamo nati buoni e successivamente siamo stati corrotti da una società malvagia o siamo nati cattivi e poi siamo stati redenti da una società buona?

La mia tesi si propone di rispondere a questi interrogativi analizzando episodi di storia contemporanea e casi letterari, usando le più importanti e significative ricerche di psicologia sociale e provando io stessa ad elaborare, grazie a un questionario ed un'etnografia, a dare il mio contributo.

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5 PREMESSA- PREFAZIONE «Fermi davanti a gabbie di vetro, leggermente inclinati in avanti, quasi nel tentativo di evitare riflessi che potrebbero impedire una corretta visione di ciò che è al di là del vetro. La mente percorsa da pensieri che stentano a trovare un equilibrio cognitivo. Parole appena bisbigliate, se non soffocate in gola. Che cosa significa agire? Compiere il "male"? Che cosa significa essere responsabili? Accondiscendere e dire di sì, opporsi e dire di no? Probabilmente nessuno avrebbe mai immaginato che l'umanità si sarebbe raccolta dinanzi a gabbie di vetro per riflettere sul senso dell'azione» (A. Zamperini nell’introduzione al libro “Obbedienza all’autorità” di Milgram ). È il 1962. In Israele si sta celebrando il processo ad Adolf Eichmann, il famigerato «trasportatore di morte». Il mondo intero s'interroga sulla «banalità del male», incredulo di fronte all'idea che le persone crudeli non siano mostri informi, ma uomini comuni. La stessa ordinarietà dei cittadini nordamericani che Stanley Milgram, psicologo sociale, recluta in quegli anni per il suo celebre esperimento sull'obbedienza all'autorità. Individui qualsiasi, convocati in laboratorio per obbedire a ordini che offendono il loro senso morale e studiati nella loro propensione alla sudditanza o alla ribellione. Desacralizzando la coscienza quanto l'autonomia morale, e constatandone la docile inefficacia quale baluardo contro l'azione immorale e malvagia, il saggio di Milgram, ormai un classico imprescindibile della psicologia sociale, dischiude scenari inquietanti e attualissimi. Quelli di un mondo colonizzato da una «burocrazia della mente» che, una volta anestetizzato nello svolgimento del proprio compito il giudizio su ciò che è bene e ciò che è male, rende pericolosamente fluttuante e labile la responsabilità soggettiva. E’ il 1971 in una placida estate californiana. Philiph Zimbardo, compagno di classe di liceo di Milgram ed emergente professore della rinomata Stanford University mette in scena un esperimento destinato a lasciare per sempre il segno nell’ambito della psicologia sociale. Ragazzi comuni, selezionati proprio per la loro “normalità” a rappresentanza del campione di “bravi studenti universitari” vengono scelti per simulare la vita in un carcere e per studiare le conseguenti relazioni tra carcerati e secondini. I risultati di questo esperimento, interrotto dopo appena 5 giorni a causa degli abusi e delle oscenità che si stavano perpetrando contro i prigionieri ha sconvolto la società civile e la comunità scientifica ribadendo ancora una volta che il confine tra “male e bene”- “bravi ragazzi” e “ tremendi aguzzini” è molto labile.

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Parole chiave

nazismo
psicologia sociale
arendt
autorità
obbedienza
conformismo
milgram
zimbardo
carcere
esperimenti

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