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Marx e il "socialismo reale"

E’ trascorso più di un decennio dalla definitiva conclusione dell’esperienza economico-politica degli stati socialisti che hanno costituito l’ossatura del comunismo storico novecentesco.
Nel 1989, sotto le macerie del crollo del muro di Berlino, che di quella vicenda era divenuto un simbolo, sembra essere rimasto sepolto l’intero dibattito intellettuale e l’acceso interesse per l’esperimento denominato “socialismo reale”.
Giornalisti, critici, filosofi, professori universitari, e numerosi intellettuali che si sono spesso fatti interpreti di progetti alternativi a quello sovietico, che hanno elaborato interessanti critiche durante la nascita e lo sviluppo dell’URSS e che ad oggi hanno, di fatto, il monopolio sulla produzione culturale, sembrano avere assunto un atteggiamento ambiguo, a volte tacendo, a volte occultando, a volte banalizzando e tracciando unicamente bilanci superficiali verso una sorta di giustificazionismo dello stato di cose esistente. La questione su cosa fosse e dove andasse l’URSS è stata forse rimossa o per lo meno accantonata, come se una volta chiuso il capitolo non si potesse più parlare di modelli alternativi di trasformazione della società o fare scelte antitetiche al modello capitalistico.
Mi domando se nel clima storico-politico attuale, detto anche post-comunista, in cui gli Stati Uniti d’America sono diventati la potenza di riferimento che gode dell’appoggio e della solidarietà, nonché degli aiuti bellici, di tutta Europa ed oltre, sotto lo slogan “siamo tutti americani”, abbia ancora un senso la riflessione sull’esperienza sovietica che per oltre settanta anni ha rappresentato il principale modello alternativo a quello capitalistico occidentale.
“Ancora” perché dopo qualche anno dalla caduta del muro di Berlino e dal collasso dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale con la formazione di governi non comunisti, il dibattito si è lentamente spento.
La mia tesi parte dalla premessa di fondo che se esiste una data dopo la quale è unanimemente possibile affermare che “nulla è stato più come prima”, questa è la data della Rivoluzione d’Ottobre, il 25 Ottobre 1917.
La storia ci offre un’immensa quantità di materiale da analizzare riguardo al primo tentativo significativo, sia per apparato teorico che per durata cronologica, di trasformazione rivoluzionaria e consapevole della società verso il modello ideale tracciato da Marx nei suoi scritti, verso una nuova idea del mondo e dei rapporti sociali, verso quel che Marx, in una lettera a Ruge del settembre del 1843, chiama il “sogno di una cosa”, che è il sogno della realizzazione di un mondo realmente umano perché emancipato da ogni forma di oppressione e sfruttamento.
L’obiettivo che con questa tesi mi pongo, mediante il valido aiuto di saggi di autorevoli autori, citati in bibliografia, che si sono occupati dell’argomento, è quello di individuare la nascita e lo sviluppo di questa rivoluzionaria idea che è alla base del pensiero di Marx, e di mettere in relazione il contenuto di questa osservazione con la storia dello sviluppo della società socialista sovietica attraverso le congiunture che ne hanno segnato l’evoluzione, dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917 sino alla sua definitiva dissoluzione nel 1991.

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4 PREMESSA E’ trascorso più di un decennio dalla definitiva conclusione dell’esperienza economico-politica degli stati socialisti che hanno costituito l’ossatura del comunismo storico novecentesco. Nel 1989, sotto le macerie del crollo del muro di Berlino, che di quella vicenda era divenuto un simbolo, sembra essere rimasto sepolto l’intero dibattito intellettuale e l’acceso interesse per l’esperimento denominato “socialismo reale”. Giornalisti, critici, filosofi, professori universitari, e numerosi intellettuali che si sono spesso fatti interpreti di progetti alternativi a quello sovietico, che hanno elaborato interessanti critiche durante la nascita e lo sviluppo dell’URSS e che ad oggi hanno, di fatto, il monopolio sulla produzione culturale, sembrano avere assunto un atteggiamento ambiguo, a volte tacendo, a volte occultando, a volte banalizzando e tracciando unicamente bilanci superficiali verso una sorta di giustificazionismo dello stato di cose esistente. La questione su cosa fosse e dove andasse l’URSS è stata forse rimossa o per lo meno accantonata, come se una volta chiuso il capitolo non si potesse più parlare di modelli alternativi di trasformazione della società o fare scelte antitetiche al modello capitalistico. Mi domando se nel clima storico-politico attuale, detto anche post-comunista, in cui gli Stati Uniti d’America sono diventati la potenza di riferimento che gode dell’appoggio e della solidarietà, nonché degli aiuti bellici, di tutta Europa ed oltre, sotto lo slogan “siamo tutti americani”, abbia ancora un senso la riflessione sull’esperienza sovietica che per oltre settanta anni ha rappresentato il principale modello alternativo a quello capitalistico occidentale.

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