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Valutazione di derivati del credito e funzioni copula

Nel corso degli ultimi anni si sta assistendo ad un rapido sviluppo di strumenti finanziari tesi a realizzare una migliore gestione del rischio di credito. In tale ambito, tra le principali tecniche della cosiddetta “risk mitigation” tipicamente utilizzate ci sono i derivati su crediti (o di credito) i quali hanno assunto un ruolo centrale nei mercati internazionali.
Tali titoli sono particolarmente utili per le banche e per gli emittenti o i compratori di obbligazioni che sono sottoposti ad ampie esposizioni al rischio di credito, ovvero al pericolo che una determinata controparte non adempia ad un’obbligazione – sia per il pagamento di una o più cedole sia, più gravemente, per sopravvenuto fallimento. In particolare, con i credit derivatives, il rischio di credito corrispondente ad una determinata esposizione viene di fatto eliminato o più propriamente trasferito ad un altro soggetto non direttamente esposto. In particolare (e tuttavia), il titolare di un derivato su credito ha la possibilità di guadagnare da un’eventuale default od inadempimento.
Come è facile dedurre, i maggiori utilizzatori di tali strumenti finanziari sono le banche. Esse, infatti, li utilizzano soprattutto per “liberare” il capitale, tanto più ora che ci si avvicina alla realizzazione degli adempimenti connessi con la cosiddetta “Basilea2”. Poiché tale normativa è interpretabile, in senso finanziario/quantitativo, come il rispetto di una serie di ratios connessi con la propria posizione riguardo ai vari rischi finanziari, le banche in sostanza utilizzano i credit derivatives per gestire le esposizioni corrispondenti ai prestiti effettuati e mantenersi al di sotto dei livelli prescritti dalla normativa.
Nonostante la loro importanza, finora, non ci sono stati molti studi relativi all’elaborazione di modelli per il pricing e l’hedging dei credit derivatives. Ciò, forse, è dovuto alla tumultuosa innovazione che non sempre permette alla letteratura scientifica di seguire di pari passo le novità di titoli finanziari immessi nei mercati. In qualche misura, però, è prevedibile che la teoria arrivi un po’ dopo e per regolarizzare e per meglio comprendere gli strumenti utilizzati (non certo ultima è la ragione della raccolta dei dati, talvolta così copiosi da sommergere e confondere le analisi).
E’ da sottolineare, per di più, che i credit derivatives vengono utilizzati in mercati non regolamentati (i cosiddetti OTC, Over The Counter ) e, non meno importante, allo stato non esiste una dottrina che ne delinei le strutture specifiche ed identifichi in maniera compiuta le possibili applicazioni pratiche.
Nonostante ciò, per comprenderne il funzionamento, è opportuno considerare i credit derivatives all’interno di un quadro che – almeno in una prima analisi – li colloca nella categoria dei contratti di credito.

Il presente lavoro è costituito da tre capitoli.
Nel primo, verrà data anzitutto una definizione precisa di cosa si intenda per “derivati su credito” così come dei vari elementi che li caratterizzano.
Successivamente, verranno elencate le varie tipologie di credit derivatives (dette di prima generazione) ed analizzate in maniera dettagliata.
Nella seconda parte, invece, verranno studiati i modelli di stima e di valutazione dei derivati di credito, focalizzando l’attenzione sul modello di David X. Li (presentato nel 1998), su quello di Duffie (anch’esso presentato nel 1998), su uno di valutazione di un basket credit derivatives ed, inoltre, sul pricing di un total rate of return swap, di una credit spread option e di una credit linked note.
Infine, nell’ultimo capitolo verrà posta l’attenzione sulle funzioni copula che costituiscono un utile strumento per descrivere la distribuzione congiunta di due o più variabili aleatorie in termini delle distribuzioni marginali.
Tale strumento, presente nella letteratura matematico / probabilistica da vari anni, è stato proficuamente applicato di recente (anche) alla finanza.
Il problema di ricostruire la distribuzione congiunta a partire da quelle marginali – escludendo ovviamente il caso noto e compiuto dell’indipendenza delle variabili aleatorie in esame – costituisce un punto importante, utilizzabile in vari campi, tra i quali, in particolare proprio i credit derivatives.
Una volta compresa l’utilità in funzione applicativa delle funzioni copula (con una specie di percorso up-bottom) è da sottolineare che numerosi sono stati gli stimoli ad approfondire gli aspetti teorici e le loro proprietà, con la spinta ad introdurne di vario genere facendo riferimento alle distribuzioni effettivamente seguite per esempio dai prezzi dei titoli finanziari (e realizzando, quindi, il percorso inverso bottom-up).
Tutto ciò ad ulteriore testimonianza di quanto utile sia il rapporto (come in tale caso e, si spera in generale) bidirezionale teoria/applicazioni.

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Nel corso degli ultimi anni si sta assistendo ad un rapido sviluppo di strumenti finanziari tesi a realizzare una migliore gestione del rischio di credito. In tale ambito, tra le principali tecniche della cosiddetta “risk mitigation” tipicamente utilizzate ci sono i derivati su crediti (o di credito) i quali hanno assunto un ruolo centrale nei mercati internazionali. Tali titoli sono particolarmente utili per le banche e per gli emittenti o i compratori di obbligazioni che sono sottoposti ad ampie esposizioni al rischio di credito, ovvero al pericolo che una determinata controparte non adempia ad un’obbligazione – sia per il pagamento di una o più cedole sia, più gravemente, per sopravvenuto fallimento. In particolare, con i credit derivatives, il rischio di credito corrispondente ad una determinata esposizione viene di fatto eliminato o più propriamente trasferito ad un altro soggetto non direttamente esposto. In particolare (e tuttavia), il titolare di un derivato su credito ha la possibilità di guadagnare da un’eventuale default od inadempimento. Come è facile dedurre, i maggiori utilizzatori di tali strumenti finanziari sono le banche. Esse, infatti, li utilizzano soprattutto per “liberare” il capitale, tanto più ora che ci si avvicina alla realizzazione degli adempimenti connessi con la cosiddetta “Basilea2”. Poiché tale normativa è interpretabile, in senso finanziario/quantitativo, come il rispetto di una serie di ratios connessi con la propria posizione riguardo ai vari rischi finanziari, le banche in sostanza utilizzano i credit derivatives per gestire le esposizioni corrispondenti ai prestiti effettuati e mantenersi al di sotto dei livelli prescritti dalla normativa. Nonostante la loro importanza, finora, non ci sono stati molti studi relativi all’elaborazione di modelli per il pricing e l’hedging dei credit derivatives. Ciò, forse, è dovuto alla tumultuosa innovazione che non sempre permette alla letteratura scientifica di seguire di pari passo le novità di titoli finanziari immessi nei mercati. In qualche misura, però, è prevedibile che la teoria arrivi un po’ dopo e per regolarizzare e per meglio comprendere gli strumenti utilizzati (non certo ultima è la ragione della raccolta dei dati, talvolta così copiosi da sommergere e confondere le analisi). E’ da sottolineare, per di più, che i credit derivatives vengono utilizzati in mercati non regolamentati (i cosiddetti OTC, Over The Counter ) e, non meno importante, allo stato non esiste una dottrina che ne delinei le strutture specifiche ed identifichi in maniera compiuta le possibili applicazioni pratiche. Nonostante ciò, per comprenderne il funzionamento, è opportuno considerare i credit derivatives all’interno di un quadro che – almeno in una prima analisi – li colloca nella categoria dei contratti di credito. Il presente lavoro è costituito da tre capitoli.

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