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Fotografie impronte Morte

Sulla fotografia sono stati scritti molti libri: manuali di tecnica, citazioni di artisti, dispute fra pittori e fotografi e letture storiche dell’evoluzione fotografica. Noi invece abbiamo deciso di approfondire il tema della fotografia dal punto di vista semiotico. Punto di vista controverso, complicato e sfuggente, come è emerso anche dal recente convegno internazionale “Semiotica e fotografia” tenutosi a Urbino. Questo sia per la capacità di quest’arte di sconfinare in più campi sia per le diverse pratiche di cui è stata ed è oggetto.
Il tema portante del saggio di Barthes “La camera chiara” è il rapporto che la Fotografia intrattiene con la Morte. Nella nostra tesi noi abbiamo sviluppato ulteriormente questo tema e lo abbiamo riattualizzato, giungendo al rapporto che le fotografie intrattengono con la Morte. Per far questo siamo partiti da un’ottica strutturalista, in particolare Floch, e ci siamo spostati fino alla semiotica dell’impronta fontanilliana. Siamo infatti convinti della fondamentale importanza di cui sono portatrici le istanze corporali nella significazione dei testi fotografici. Per questo abbiamo analizzato approfonditamente i tre corpi iscritti in ogni fotografia: il corpo fotografato, il corpo fotografante e il corpo dello spettatore. Ci siamo così trovati di fronte a tre diversi rapporti con la Morte, ciascuno meritante una speciale trattazione. Il nostro obiettivo è stato quindi di analizzare la morte inscritta nelle fotografie: vedere i corpi fotografati come attori dotati di un corpo vivo e morto allo stesso tempo, assistere alle sensazioni messe in scena dal corpo fotografante e alle pulsioni che devono muovere il corpo dello spettatore.
Per dimostrare le nostre ipotesi ci siamo serviti di un corpus di testi estratto da “La camera chiara”. Abbiamo fatto questa scelta in virtù di una duplice motivazione: andare oltre le parole spese dall’autore del libro e rendergli omaggio. La differenza principale fra noi e Bathes è che quest’ultimo si pone in un’ottica fenomenologica ed analizza la propria situazione affettiva di spettatore. Noi invece ci siamo serviti della coerenza dei modelli strutturalisti e corporali, mettendoli nuovamente alla prova sullo stesso complicato oggetto di analisi.
La peculiarità della fotografia è di essere simultaneamente realtà e passato. Passato perché ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente. Realtà perché è certo che il referente si sia trovato davanti all’obiettivo in quanto la pellicola è stata impressionata dalle variazioni della luce a lui dovute.
Nella nostra tesi ci siamo mossi attraverso un percorso che coinvolge e lascia interagire tempo, malinconia e aria barthesiana. Nelle fotografie, infatti, il tempo appare immobilizzato, ostruito. Come arte puntuale, la fotografia mostra sempre la violenza dell’atto, violenza che instaura regimi alterati di passato, presente e futuro dentro la situazione di enunciazione, agitando il corpo dello spettatore e mettendolo a confronto con situazioni temporali a lui lontane. Per questo la Morte appare come tempo cristallizzato, come un vincolo che lega embrayage e debrayage all’interno di un continuum. Questo ultimo aspetto è esemplificato perfettamente nelle foto in cui il corpo fotografato guarda verso l’obiettivo, cioè interpella direttamente il corpo dello spettatore: il primo guarda il secondo senza vederlo e il secondo guarda il primo senza essere visto. Entrambi appaiono così prigionieri di una situazione temporale diversa e separata.
Inoltre il rapporto fra fotografia, Morte e Tempo, ci ha permesso di analizzare il fenomeno della malinconia e della nostalgia di cui questi testi appaiono permeati. Il nostro complesso oggetto di analisi è capace di trasmettere all’enunciatario il senso di un passato che non ritorna, di un passato morto che però continua ad essere visto e rivisto, un passato in grado di rinnovarsi ad ogni nuovo sguardo senza però trasformarsi. La malinconia è quindi partecipare alla mortalità di un’altra persona o di una situazione storica.
L’aria barthesiana invece è l’anima del soggetto che si imprime sul proprio simulacro corporale inscritto nella fotografia. E’ quel qualcosa che va ad aggiungersi alla semplice riproduzione analogica della persona: è il valore di una vita, il valore morale, ciò che dota l’individuo del suo valore, rendendolo per questo unico.
Il nostro percorso si è così snodato attraverso questi assi di ricerca ed è giunto alla dimostrazione che le varie fotografie instaurano rapporti diversi con la Morte. Abbiamo inoltre spiegato le caratteristiche che un testo fotografico deve possedere per veicolare il preciso significato di Morte e provocare così la corrispondente reazione nel corpo dello spettatore.

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Sulla fotografia sono stati scritti molti libri: manuali di tecnica, citazioni di artisti, dispute fra pittori e fotografi e letture storiche dell’evoluzione fotografica. Noi invece abbiamo deciso di approfondire il tema della fotografia dal punto di vista semiotico. Punto di vista controverso, complicato e sfuggente, come è emerso anche dal recente convegno internazionale “Semiotica e fotografia” tenutosi a Urbino. Questo sia per la capacità di quest’arte di sconfinare in più campi sia per le diverse pratiche di cui è stata ed è oggetto. Il tema portante del saggio di Barthes “La camera chiara” è il rapporto che la Fotografia intrattiene con la Morte. Nella nostra tesi noi abbiamo sviluppato ulteriormente questo tema e lo abbiamo riattualizzato, giungendo al rapporto che le fotografie intrattengono con la Morte. Per far questo siamo partiti da un’ottica strutturalista, in particolare Floch, e ci siamo spostati fino alla semiotica dell’impronta fontanilliana. Siamo infatti convinti della fondamentale importanza di cui sono portatrici le istanze corporali nella significazione dei testi fotografici. Per questo abbiamo analizzato approfonditamente i tre corpi iscritti in ogni fotografia: il corpo fotografato, il corpo fotografante e il corpo dello spettatore. Ci siamo così trovati di fronte a tre diversi rapporti con la Morte, ciascuno meritante una speciale trattazione. Il nostro obiettivo è stato quindi di analizzare la morte inscritta nelle fotografie: vedere i corpi fotografati come attori dotati di un corpo vivo e morto allo stesso tempo, assistere alle sensazioni messe in scena dal corpo fotografante e alle pulsioni che devono muovere il corpo dello spettatore. Per dimostrare le nostre ipotesi ci siamo serviti di un corpus di testi estratto da “La camera chiara”. Abbiamo fatto questa scelta in virtù di una duplice motivazione: andare oltre le parole spese dall’autore del libro e rendergli omaggio. La differenza principale fra noi e Bathes è che quest’ultimo si pone in un’ottica fenomenologica ed analizza la propria situazione affettiva di spettatore. Noi invece ci siamo serviti della coerenza dei modelli strutturalisti e corporali, mettendoli nuovamente alla prova sullo stesso complicato oggetto di

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