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Identità in movimento - Un progetto per lo studio dell'omofobia nelle performance di genere maschili

“Identità in movimento” mira alla comprensione dell’omofobia attraverso una lettura gender sensitive, secondo la quale possiamo definire il pregiudizio antiomosessuale come la discriminazione verso le persone (uomini) che mostrano-o alle quali si attribuiscono- certe qualità (o difetti) riconducibili al genere femminile (Welzer-Lang, 2007).
Per questa ragione il punto di partenza della dissertazione sarà la storia del femminismo, che insieme ad altri movimenti, ha favorito l'affermazione di nuove identità sessuate, e insieme la nascita di discipline accademiche -come i Gender Studies, i Women's Studies, i Men's Studies, i Gay & Lesbian Studies e i Queer Studies- che hanno indagato le dicotomie che dividono gli esseri umani in uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali.
La principale critica che è stata rivolta agli studi sulle identità di genere si riferisce ad un graduale allontanamento delle teorie sul gender dalle realtà messe in evidenza dai movimenti identitari. Con “identità in movimento”, ho cercato, di superare l'astrattezza contestata utilizzando l’approccio della grounded theory: che si concretizza in un processo di ricerca di carattere prevalentemente induttivo in cui viene privilegiato il rapporto del ricercatore con i dati raccolti sul campo (Tarozzi, 2008).
La tesi sostenuta parte dall’assunto che essere e definirsi “uomo” o “donna” non è una condizione stabilita una volta per tutte, ma il risultato di un divenire, un essere che è sempre, attivamente, in costruzione, ed è in queste dinamiche, chiamate progetti di genere che si manifesta l'omofobia (Connell, 2006). Inoltre l'omofobia gioca un ruolo fondamentale nell'acquisizione dell'identità maschile, è un principio cardine della nostra definizione culturale di virilità , ma se da un lato “i modi di articolare il genere sono una fonte di piacere e di riconoscimento, una base per la costruzione della propria identità, possono essere al tempo stesso, cause di ingiustizia e offese” (Kimmel, 1997; Connell, 2006, p. 35).
Lo strumento scelto, per l’indagine qualitativa, è quello delle interviste biografiche: i racconti di vita hanno avuto come protagonisti dei giovani lavoratori, maschi, di un'età compresa tra i 24 e i 36 anni, che provengono da famiglie di media o bassa estrazione sociale. Il campo dell'indagine sociologica si è focalizzato gradualmente intorno a tre tematiche principali:
1. le traiettorie di genere percorse dai soggetti che hanno partecipato alla ricerca, in quale maniera questi “giovani uomini” hanno plasmato la propria identità maschile;
2. il ruolo svolto dall'omosocialità, ovvero le relazioni sociali maschili, nella biografia degli intervistati; l'omofobia è stata associata alla paura di omosocialità, uomini che temono venga messa in discussione la propria maschilità, da un lato perché hanno paura di non essere considerati abbastanza virili dagli altri uomini, e allo stesso tempo hanno paura di essere etichettati come omosessuali (Kimmel, 1997);
3. l'influenza dello stereotipo normativo mascolino nei progetti di genere dei partecipanti, che può essere definito come l'ideale maschile al quale gli intervistati tentano di conformarsi (Mosse, 1996).
La ricerca empirica ha consentito di tracciare nelle narrative degli intervistati, in riferimento agli atteggiamenti assunti verso gli orientamenti omosessuali, tre differenti profili:
1. i “gay friendly convertiti” che accettano l’omosessualità, pur avendo avuto un passato “da omofobi”, in quanto si sono resi conto (attraverso il contatto diretto con omosessuali) che le credenze stereotipate, diffuse nel contesto socioculturale italiano, non corrispondo alla realtà che gli stessi intervistati hanno conosciuto;
2. troviamo inoltre coloro il cui pensiero, nei confronti degli omosessuali, può essere riassunto nella frase “basta che non si veda”, ciò significa che accettano il fatto che l'omofobia sia sbagliata ma si tratta di un'“accettazione condizionata”, in poche parole tollerano l'esistenza dell'omosessualità e degli omosessuali ma rifiutano l'omosessualità “ostentata”;
3. una minoranza dei giovani intervistati, gli “omofobi confusi”, non riesce ad accettare una condizione di cui non comprende il senso (Garelli, 2001).
Un ulteriore dato interessante consiste nella difficoltà, che ho riscontrato tra gli intervistati, di parlare di omosessualità che in alcuni casi suscita reazioni non verbali di evidente disagio, causando un irrigidimento della comunicazione intervistato-intervistatore.

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Introduzione Una tesi di laurea sull'omofobia è tristemente attuale e ci costringe a porci delle domande in merito. Chi studia i fenomeni discriminatori spera di farlo inscrivendo l'omofobia, il razzismo, il sessismo e “una lunga lista di tristi eccetera” in un contesto storico trascorso, pensando che il proprio lavoro possa essere utile per evitare, attraverso la comprensione delle cause del fenomeno violento, che la violenza si possa ripetere, ma l'approccio 'storico' patrimonio comune degli studiosi di quelle che sono state definite le “forme di odiare in prima persona plurale”, si scontra oggi con il presente che sta vivendo il nostro Paese, dove le diversità stanno divenendo il capro espiatorio dei mali della nostra società (Lingiardi, 2007, p. 45). Il 2009 sardo è stato l'anno in cui per la prima volta sono state organizzate delle manifestazioni contro l'omofobia, una nel capoluogo mentre l'altra ha avuto luogo a Sassari nel mese di maggio. L'esigenza di scendere in piazza contro il pregiudizio anti-gay è stata la risposta ad una serie di episodi omofobici verificatisi nell'isola: la morte misteriosa di un uomo di quarantadue anni in un luogo di incontri a Cagliari; i colpi di pistola sparati contro gli omosessuali che hanno scelto come punto di aggregazione sociale Platamona, una spiaggia a pochi chilometri da Sassari; il pestaggio con furto di un giovane olbiese; l'aggressione del cuoco di Villacidro, colpito alle spalle mentre tornava a casa; e lo stupro di gruppo ai danni di un abitante di Siniscola che aveva subito la stessa violenza cinque fa senza denunciarla, solo per citare i casi noti alle forze dell'ordine. Con la complicità dei mass media, i rom sono divenuti il nemico numero uno dell'italiano medio, coloro che commettono i reati più feroci, i protagonisti dei fatti di cronaca più efferati; i disperati che arrivano, quando la traversata va a buon fine, dall'Africa mediterranea, sfuggendo alle guerre e alla miseria, sono divenuti dei criminali che commettono il reato di clandestinità; mentre gli omosessuali sono indicati come i responsabili della crisi della famiglia tradizionale cattolica, e pochi rappresentanti delle istituzioni si “azzardano” a prendere le distanze dagli episodi sempre più frequenti di omofobia. La politica italiana, se da una parte vuole essere sempre più presente nella vita dei cittadini strumentalizzando i temi della biopolitica (attraverso la limitazione delle tecniche di fecondazione assistita, l'introduzione di una legge sul testamento 10

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