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Il private equity nel processo di crescita delle piccole medie imprese italiane

Le piccole medie imprese, definibili come imprese in cui un soggetto, solitamente l’imprenditore o la famiglia, detiene una quota di capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell’impresa, rappresentano la spina dorsale del tessuto industriale italiano. Se da una parte il modello della piccola e media dimensione è vincente nel caso sia possibile attuare strategie di nicchia elusive della competizione, dall’altra ne penalizza lo sviluppo a causa della difficoltà nel reperimento delle risorse. Tale assunto rappresenta il fulcro su cui si è voluto sviluppare il presente lavoro, con l’obiettivo di individuare nel private equity una possibile “via di uscita” per le PMI, alternativa ai meccanismi di crescita tipici di tali realtà imprenditoriali, basati principalmente sull’indebitamento. L’esigenza di approfondire la relazione che intercorre tra il private equtiy e le PMI, deriva dal cambiamento di mentalità che sta avvenendo in molte realtà aziendali di piccole e medie dimensioni. Nonostante questa inversione di tendenza, persistono ancora grandi barriere di cui è protagonista la PMI italiana. Tali difficoltà risiedono nell’inadeguatezza degli investimenti in risorse manageriali esterne, nella ricerca e sviluppo, e nella difficoltà di costruire alleanze strategiche con imprese complementari, per usufruire dei potenziali benefici derivanti dalla partnership. Oltre a tali ostacoli, il problema principale delle PMI italiane è riconducibile alla resistenza ad incrementare le proprie dimensioni e a sostituire i modelli di gestione mediante l’apertura della compagine proprietaria a terzi. La possibilità di superare i gap del sistema delle PMI, è racchiusa nel potenziale utilizzo degli strumenti di private equity, che giocano un ruolo rilevante nella definizione della struttura proprietaria delle aziende e nel supporto ai processi di crescita e di sviluppo. La finalità di questo lavoro è dimostrare come il ricorso al private equity possa essere determinante per il successo dei programmi di crescita e di miglioramento dell’impresa e possa innescare un circolo virtuoso tra strategie vincenti e forme di finanziamento adeguate. Il private equity, rappresenta uno strumento molto efficace grazie all’ottica di medio lungo periodo dell’investitore in capitale di rischio volto ad ottenere un capital gain nel momento della dismissione della partecipazione. Oltre all’apporto puramente finanziario, le PMI, attraverso il private equity possono attingere a risorse strettamente connesse all’esperienza e alla professionalità degli investitori, che rappresentano un contributo strategico e gestionale fondamentale nell’attuazione dei progetti imprenditoriali.
Con il presente lavoro si intendono dimostrare le modalità con cui le operazioni di private equity possono inserirsi nella realtà delle PMI italiane, permettendo di sfruttare due aspetti: le opportunità offerte dai finanziamenti nel capitale di rischio in alternativa all’indebitamento e le opportunità fornite dal servizio consulenziale degli operatori.
Il lavoro è strutturato in tre aree: quella iniziale, costituita dai primi due capitoli, ha l’obiettivo di definire l’oggetto dello studio.

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1 Introduzione Le piccole medie imprese, definibili come imprese in cui un soggetto, solitamente l’imprenditore o la famiglia, detiene una quota di capitale di rischio sufficiente ad assicurare il controllo dell’impresa, rappresentano la spina dorsale del tessuto industriale italiano. Se da una parte il modello della piccola e media dimensione è vincente nel caso sia possibile attuare strategie di nicchia elusive della competizione, dall’altra ne penalizza lo sviluppo a causa della difficoltà nel reperimento delle risorse. Tale assunto rappresenta il fulcro su cui si è voluto sviluppare il presente lavoro, con l’obiettivo di individuare nel private equity una possibile “via di uscita” per le PMI, alternativa ai meccanismi di crescita tipici di tali realtà imprenditoriali, basati principalmente sull’indebitamento. A sostegno di questa tesi, si è ricorso a un’analisi approfondita delle operazioni tipiche dell’intervento nel capitale di rischio, al fine di individuare i benefici che il private equity potrebbe apportare alle PMI. L’esigenza di approfondire la relazione che intercorre tra il private equtiy e le PMI, deriva dal cambiamento di mentalità che sta avvenendo in molte realtà aziendali di piccole e medie dimensioni. Tale evoluzione è dovuta soprattutto al ricambio generazionale e alla cognizione a cui i nuovi imprenditori stanno giungendo, basata sulla convinzione che l’apertura del capitale di rischio a soggetti terzi non può che creare un vantaggio e una marcia in più rispetto alla concorrenza. Nonostante questa inversione di tendenza, persistono ancora grandi barriere di cui è protagonista la PMI italiana. Tali difficoltà risiedono nell’inadeguatezza degli investimenti in risorse manageriali esterne, nella ricerca e sviluppo, e nella difficoltà di costruire alleanze strategiche con imprese complementari, per usufruire dei potenziali benefici derivanti dalla partnership. Oltre a tali ostacoli, il problema principale delle PMI italiane è riconducibile alla resistenza ad incrementare le proprie dimensioni e a sostituire i modelli di gestione mediante l’apertura della compagine proprietaria a terzi. Soprattutto nei momenti di cambiamento, l’errore più ricorrente è quello per le imprese di mantenere quegli schemi mentali che non sono necessariamente adeguati per affrontare il cambiamento ed effettuare il salto qualitativo e quantitativo che permette all’impresa di rimanere sul mercato. La possibilità di superare i gap del sistema delle PMI, è racchiusa nel potenziale utilizzo degli strumenti di private

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