Politiche attive e buone pratiche: un modello di inserimento lavorativo nell'area della salute mentale
Un viaggio dentro la sofferenza psichica
Mi è doveroso fare una premessa in termini antropologici per cercare di comprendere e collocare l’origine della rappresentazione collettiva della diversità, in particolare poi di quella legata alla sofferenze psichica.
L’uomo, per non estinguersi, si è dovuto costruire attraverso la cultura, un mondo artificiale, un mondo simbolico. Egli per sopravvivere ha cercato di manipolare l’ambiente esterno asservendolo alle sue esigenze, considerando la natura ed il mondo come suoi subordinati, ordinandoli attraverso la ragione. La cultura, cioè l’insieme di tutte quelle attività che hanno permesso all’essere umano di soddisfare i suoi bisogni, lo ha differenziato sostanzialmente dall’animale.
Per trasformare il mondo comunque, l’uomo si è unito agli altri ma non per amore o solidarietà, concetti questi nati dopo l’avvento della cultura, ma per utilità, spinto dalla paura, quale meccanismo di difesa, della sua estinzione.
Quindi l’essere umano si trasforma in essere comunitario per la necessità di procurarsi il cibo, ma agendo insieme egli ricava anche il proprio senso di identità, di unità collettiva, da cui nascono la solidarietà, l’amicizia, la collaborazione, la fraternità.
Ma la nascita del sociale è avvenuta attraverso un atto di violenza per il desiderio di possedere tutto da parte di diversi che rende ciò impossibile e genera quindi una lotta violenta. Sia l’imprinting societario basato sulla violenza, che l’unione basata sull’utilità sono motivati dalla paura. Questa è stata la prima azione condivisa dagli uomini appartenenti al gruppo, essi si sono identificati con il branco e da qui nasce il primo rito su cui poi si basa la società e dalla cui ripetizione si costruirà il mondo sicuro. Cioè la ripetizione di questo atto, sotto forme diverse, unisce l’essere umano in società, trovando la soluzione all’estinzione.
Ne consegue che nell’essere umano la bramosia di consumare e godere di tutto ciò che gli ruota intorno, e la rinuncia di quei desideri per concentrarsi sulla soddisfazione dei bisogni utili per poter sopravvivere lo obbliga a dover ricorrere alla coscienza per mediare tra il suo voler essere ed il suo dover essere. Ma in lui resta comunque una cattiva coscienza, cioè la sofferenza che l’uomo ha di sé, conseguenza inevitabile nata dalla separazione del suo passato di animale, il suo nemico interno come dice Elias Canetti, il principale nemico di cui bisogna disfarsi al più presto possibile.
Quindi la prima azione collettiva non si è basata sull’amore, ma sull’utilità, a suo tempo funzionale all’uomo per sopravvivere. Oggi le cose non sono molto cambiate soprattutto per quanto riguarda il meccanismo proprio del capro espiatorio, cioè di colui che attira su di sé tutte le aggressività del gruppo. La violenza non è irrazionale, ha regole precise, e quella inappagata deve sempre trovare una vittima sostitutiva, un capro espiatorio appunto. Il meccanismo è sempre lo stesso, c’è soltanto uno spostamento dell’aggressività da una vittima ad un’altra. La bestia primordiale che catalizzava su di sé le aggressività del gruppo, ora viene sostituita da chi è vulnerabile. All’interno della comunità non esiste più un diverso come la bestia primordiale, ma una bestia simbolica.
La paura primordiale non è scomparsa, sposta soltanto la sua aggressività da una vittima sacrificale all’altra, ad un capro espiatorio, che per il popolo ebraico era un animale che con la sua morte espiava definitivamente la colpa del popolo, e che per un meccanismo di transfert era un animale che agli occhi di tutti non aveva caratteristiche di purezza, una bestia nauseabonda, sporca, colui cioè che oggi subirà le conseguenze del meccanismo di espulsione simbolica.
Ad un certo punto, compaiono nella società uomini considerati particolari, da poter essere scelti come vittime, che nella società moderna osserviamo, consciamente o inconsciamente, come diversi, portatori di colpe fittizie, sui quali scarichiamo tutta la nostra aggressività, spostandola dall’oggetto della nostra collera a qualcuno che non ha commesso nulla contro di noi. [...]
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Politiche attive e buone pratiche: un modello di inserimento lavorativo nell'area della salute mentale
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Informazioni tesi
Autore: | Adriana Magnarini |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Sociologia |
Corso: | Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali |
Relatore: | Angela Genova |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 147 |
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