Come la ginestra divenne fanciullo. L'influenza leopardiana e il suo superamento nell'opera di Nietzsche.
Un pessimismo «dionisiaco»
La concezione nietzschiana della grecità fu inattuale fin dal principio. Si fondava sulla credenza che «ciò di cui la tragedia morì» fosse «il socratismo della morale, la dialettica, la capacità di accontentarsi e la serenità dell'uomo teoretico», che avevano spazzato via l'unione quasi simbiotica tra spirito dionisiaco e spirito apollineo dalla vita degli uomini.
Questa uccisione ingiustificabile – l'uccisione della dimensione dell'istintività umana – ha portato, secondo Nietzsche, a una disposizione dell'umanità fasulla e mistificatoria; «i Greci, sinché non abbiamo nessuna risposta alla domanda “cos'è dionisiaco?” sono come prima completamente sconosciuti e inimmaginabili». Attraverso questa incapacità di comprendere i greci, il filologo-filosofo tedesco vuole mostrare l'incapacità dell'uomo di comprendere l'uomo, poiché se ne è perduto lo spirito più intimo e sincero. L'imperdonabile fautore di questo crimine è, manifestamente, Socrate.
È nota la profonda avversione per l'ateniese filosofo del non sapere, largamente espressa nella celebre Nascita della tragedia; in quest'opera l'influenza di Schopenhauer in Nietzsche è ancora visibilmente marcata, pertanto il pensiero che ne emerge presenta echi rilevanti del pessimismo schopenhaueriano, pur non rispecchiandolo senza deviazioni. Singolare, per quanto non sorprendente, è invece l'affinità di questo pensiero con Giacomo Leopardi. Come si è visto, anch'egli – seguendo altre strade – fa partire da Socrate il decadimento dell'umanità, e vede nella Grecia antica un modello ormai impossibile da imitare.
[…] E, per dirla in termini morali, qualcosa come viltà e falsità? Per dirla in termini immorali, un'astuzia? Oh Socrate, Socrate, era forse questo il tuo segreto? Oh misterioso ironico, era forse ciò la tua – ironia? – –
Insieme a Euripide, Socrate fu l'iniziatore di una battaglia serrata contro la natura istintiva e in qualche maniera 'incontrollabile' dello spirito dionisiaco. Vate della ragione e della dialettica il secondo, il primo autore di 'tragedie' incentrate sull'analisi dei sentimenti dei protagonisti nel loro sviluppo dal principio alla conclusione della scena, questi due personaggi hanno ucciso l'impulso vitale e spontaneo dell'uomo.
Morto lo spirito dionisiaco, comprensibilmente si è spezzato l'equilibrio fondante della vita umana e, per diretta conseguenza, quello apollineo ha perduto qualsiasi pretesa di coerenza. «Nel segreto più riposto della vita», osserva acutamente Giorgio Colli in merito, «cadono e svaniscono tutte le distinzioni». Lo spirito dionisiaco è considerato da Nietzsche nella sua foggia ancestrale, pressoché delirante, di estrema gioia ed estremo dolore al tempo stesso; lo spirito apollineo, invece, come fautore della creazione artistica, per mezzo del sogno e della bellezza come parvenza di fronte all'altrimenti inesprimibile primordialità dell'istinto umano. Tuttavia nessuno dei due, infine, è divisibile dall'altro, e Nietzsche sceglie la tragedia per dimostrarlo.
Nietzsche si scaglia violentemente contro quest'assassinio, che ha portato l'umanità a credere unicamente in un ottimismo razionale e scientifico – una sorta di spirito teoretico, che provoca una grave rottura con la dimensione istintuale – dimenticando la forza vitale, inebriante e autentica che, incanalata dalla capacità espressiva navigante nel sogno, muoveva il tumulto delle più sincere emozioni umane, e che corrispondeva implicitamente a un certo grado d'ignoranza.
[…] Similmente, leggendosi nelle dette Vite come Socrate affermava essere al mondo un solo bene, e questo essere la scienza; e un solo male, e questo essere l'ignoranza; disse: della scienza e dell'ignoranza antica non so; ma oggi io volgerei questo detto al contrario.
Con questo brano si intende mostrare come sia doveroso non tralasciare l'affinità di questi concetti con i temi leopardiani espressi innanzitutto nelle Operette morali. Il tema del progresso-regresso è sempre presente nelle riflessioni leopardiane, e parimenti il pensiero nietzschiano subisce mutazioni e sviluppi in parte ad esso affini.
È tuttavia necessario fare alcune precisazioni a riguardo, in particolar modo confrontando l'inattualità nietzschiana e il rapporto con l'antica Grecia di Leopardi. Come abbiamo potuto osservare nei capitoli precedenti, Leopardi, pur cercando di mantenere – da perfetto filologo-poeta creatore qual è – un dialogo con la grecità nella sua produzione prosastica e poetica, ritiene del tutto esclusa la possibilità di un ritorno a quelle grandiose origini della cultura. Il motivo lo conosciamo: il regresso dell'umanità si è ormai spinto troppo oltre, e noi moderni non abbiamo i mezzi per ritrovare la maestosa bellezza raggiunta da quell'epoca dorata.
Quella leopardiana è una visione senza dubbio classica dell'antichità, ma quanto ha realmente in comune la sua inattualità – poiché egli è inattuale, se messo a confronto con il romanticismo di Schiller e Hölderlin i quali, come si è brevemente accennato, ritengono superabile la cesura venutasi a creare con la perfezione della Grecia antica – con quella nietzschiana, che si fa invece, in maniera per certi versi affine a quella dei due tedeschi, vitale promotrice di un ritorno alla Grecia dionisiaca, al lato più oscuro ed ebbro di vita della grecità?
Ciò che Nietzsche auspica per il futuro è un risveglio della tragicità antica, Leopardi rifiuta fermamente la possibilità di un vero e concreto riavvicinamento alla perfezione classica ormai inaccessibile. Entrambi inattuali, sono tuttavia padri di inattualità non solo differenti, ma del tutto antitetiche, pur partendo dal comune amore per la perduta culla della cultura europea.
Il discorso, per quanto concerne Nietzsche, si fa più sottile con l'entrata in gioco del pessimismo. Ricordiamo che il titolo originale dell'opera riguardante la tragedia nell'antica Grecia che egli pubblica nel 1872 era La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Questo 'spirito della musica' è chiaramente identificabile nello spirito dionisiaco (come fulcro delle pulsioni umane) che per l'appunto nella tragedia greca si manifestava nella musica; lo spirito apollineo sgorgava invece dall'arte plastica, la parte razionale e luminosa tramite cui tali pulsioni potevano essere espresse senza gettare l'uomo nell'oblio della non-sopportazione della vita. Dioniso e Apollo, dèi opposti e complementari, rappresentano un equilibrio nell'uomo che rimane possibile soltanto finché nessuno dei due prevale sull'altro. […]
Questo brano è tratto dalla tesi:
Come la ginestra divenne fanciullo. L'influenza leopardiana e il suo superamento nell'opera di Nietzsche.
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Brusa |
Tipo: | Diploma di Laurea |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Francesco Cattaneo |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 51 |
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