Banche e immigrati: dall’analisi dei bisogni alla product offering
Un nuovo dialogo tra sistema bancario e imprenditoria immigrata
Per sintetizzare gli atteggiamenti delle banche nei confronti degli immigrati possiamo notare due tendenze essenziali.
La prima tende ad equiparare il cliente immigrato a quello italiano e propone un modello di inclusione bancaria con qualche sfumatura di social banking.
Di solito i prodotti sono quelli retail di tipo elementare, generalmente definiti “servizio bancario di base”.
Questo servizio, già presente in diverse banche, ha ricevuto un ulteriore impulso sulla spinta di social banking voluta dall’ABI e dal progetto “Patti Chiari”. Questi prodotti, infatti, sono disegnati per soddisfare le esigenze finanziare di base con l’obiettivo del banking the unbanked, categoria che da un punto di vista statistico comprende oltre agli immigrati anche diversi giovani e pensionati italiani.
Questo progetto del 2004 prende spunto da un’iniziativa degli anni 80 voluta da una larga confederazione di Stati nord-americani proprio per rendere più attraente l’offerta di servizi bancari, soprattutto per gli immigrati. Questo scopo veniva raggiunto applicando costi di gestione nulli o estremamente bassi al fine di favorire il processo di integrazione economica e di promuovere quindi tutti i vantaggi sociali che questo comporta. Il servizio bancario di base è un conto corrente “semplificato”, che non comprende alcuni servizi: il libretto degli assegni, la carta di credito, le diverse forme di finanziamento, le carte di debito in circolarità interbancaria, l’acquisto di titoli come BOT, obbligazioni, azioni. Essenzialmente permette al consumatore di disporre del denaro in tutta sicurezza evitandogli di portare con sé tutto il contante o di tenerlo in casa. Gli consente inoltre di risparmiare tempo e semplificarsi la vita (ad esempio domiciliando le bollette), di utilizzare un servizio semplice e pensato per chi non ha mai avuto un conto corrente o ha un basso livello di educazione bancaria come gli immigrati, di avere costi di gestione contenuti.
Sempre in questa prima tipologia di offerte si trova anche qualche istituto che pur non offrendo prodotti ad hoc utilizza mediatori culturali o tenta comunque di ridurre la barriera linguistica analizzata nel primo capitolo di questo lavoro.
La seconda tendenza che invece si sta affermando sempre più considera i migranti come un segmento di mercato specifico che ha bisogno di prodotti calibrati.
Alla base di questa scelta vi è la profonda convinzione che la domanda primaria possa crescere in un mercato potenziale ancora poco sfruttato e in un contesto in cui il mercato potenziale assoluto è in continua crescita. In questo caso le opportunità da cogliere e le azioni da intraprendere sono orientate essenzialmente a conquistare quelle fasce di clientela caratterizzate da assenza di know-how, indisponibilità e talvolta assenza di informazioni, diffidenza nei confronti dei servizi, prezzo inaccessibile, assenza di valore percepito.
Ritengo che un’adeguata politica di marketing - si parla di una visione di marketing pull disegnata sul cliente – possa generare un vantaggio competitivo per le banche, interessate a conquistare il prima possibile quote strategiche di questo segmento. Inoltre lo sviluppo della domanda primaria favorisce tutti i concorrenti, ma è sicuramente più vantaggiosa per coloro che detengono inizialmente quote di mercato elevate.
[…]
Un discorso leggermente più complesso nei rapporti tra banche e immigrati riguarda l'imprenditoria. Usualmente nel processo di integrazione la fase imprenditoriale raramente coincide con l'arrivo nel nostro paese ma si innesta su esperienze, anche lavorative, che l'immigrato ha maturato in Italia come nel paese di origine.
Anche la cultura di origine, più o meno imprenditoriale, è una variabile chiave per comprendere la relazione tra banca e immigrati. Diversi sono le fonti dei finanziamenti come distinta è la propensione all'imprenditorialità.
Tra i paesi con il più alto tasso di imprenditori sul totale dei membri della stessa nazionalità notiamo l'alto tasso della comunità cinese (33%), seguito dai bangalesi (20%) e marocchini (18%). Nel campione è invece basso il livello dei lavoratori autonomi tra albanesi (5%), ecuadoriani (6,6%), filippini (7%) e ghanesi(7,6%). In posizione intermedia si situano senegalesi ed egiziani che sfiorano il 10% di lavoratori autonomi tra gli occupati.
Per quanto riguarda i finanziamenti all'imprenditoria possiamo notare un gap ancora maggiore tra banca e immigrati .
I prestiti alle imprese infatti provengono molto spesso da sistemi informali frequentemente utilizzati nei paesi di origine. Nella comunità cinese, ad esempio, la rete familiare è la tipica fonte del finanziamento e questo comporta molto spesso un’ingerenza della comunità nell’impresa secondo l’antica pratica del guanxi .
Il guanxi è un sistema di reciproche obbligazioni inteso come la necessità, puntualmente onorata, di ricambiare il favore ricevuto per poter rimanere all’interno del proprio gruppo di relazione, il guanxi-wan.
Talvolta si dice che il cinese è un uomo che ha attorno a sé tanti strati lamellari, come la cipolla: il primo strato, il più vicino ed importante è costituito dalle relazioni familiari che vedono i genitori al posto più alto, poi il fratello maggiore, quindi gli altri fratelli e membri della famiglia. I più anziani hanno quindi una notevole ingerenza nella vita familiare e, nel caso di prestiti in denaro tra familiari, il grado di intromissione è sicuramente elevato e molti imprenditori dinamici ne farebbero volentieri a meno.
Per le banche è importantissimo conoscere la struttura finanziaria delle imprese di immigrati e sulla base di questi dati maturare importanti riflessioni e proposte.
Le imprese di immigrati sono solitamente a basso capitale sociale – secondo un’indagine condotta a Biella il 67% degli imprenditori ha investito meno di 20.000 € per avviare la propria impresa – e sono concentrate prevalentemente nel settore del commercio (42,6%), nel quale spiccano per numero quelle marocchine; nel settore edile (26,4%), caratterizzato da una forte provenienza balcanica e in quello manifatturiero (11,9%), in cui si segnala una buona presenza cinese.
Come è stato messo in luce da una indagine sull’imprenditoria immigrata condotta dalle camere di commercio, dal punto di vista delle fonti finanziarie emerge che il ricorso all’autofinanziamento è la modalità prevalente e che gli imprenditori fanno generalmente ricorso ad un mix di fonti diversificate.
Pertanto l’autofinanziamento si affianca al supporto di amici e parenti per il 16%, delle banche per il 15% e in misura minore di altri istituti finanziari (5%).
Il finanziamento da parte delle istituzioni pubbliche non supera il 2,3%, indice di una difficoltà di accesso al sostegno finanziario che le politiche pubbliche dedicano alle imprese, alle categorie svantaggiate e discriminate ed alle iniziative di integrazione.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Banche e immigrati: dall’analisi dei bisogni alla product offering
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Informazioni tesi
Autore: | Niccolò Borracchini |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Management |
Relatore: | Alberto Mattiacci |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 213 |
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