Love and Be Silent. La retorica del silenzio in Shakespeare e nel King Lear
Tutto il mondo in un teatro: estetica e poetica di William Shakespeare
l bardo di Stratford-Upon-Avon è stato colui che meglio di chiunque altro ha incarnato lo spirito del suo paese in una fase storica folta di vistosi contrasti, ovvero l'età rinascimentale, e più in particolare, quella elisabettiana.
Importato in Inghilterra da studiosi ed umanisti del calibro Sir Thomas North, Thomas Sackville ed Erasmo da Rotterdam, che tradussero testi antichi e vennero a contatto con la cultura italiana del tempo, il Rinascimento inglese fu ben distinto da quello di matrice italiana.
Molto meno armonico e più traumatico, esso racchiudeva le tensioni della Riforma, lo scisma dalla chiesa di Roma operato da Enrico VIII, le ostilità tra cattolici e protestanti e le persecuzioni subite da questi ultimi.
Il Rinascimento Inglese non rimanda, difatti, all'idea di una civiltà compatta ed organica imperniata sull'individuo e sulla ritrovata armonia con la natura, ma è la coesistenza di idee tumultuose e di forze divergenti che si urtano e respingono a vicenda: il cattolicesimo ed il protestantesimo, il modello anglicano e quello puritano, il misticismo e la magia, l'empirismo e l'astrologia.
Di conseguenza, non vige la visione di un'era aurea ed armonica come quella suggerita dalla società italiana, bensì una fase disomogenea ed aspramente conflittuale. Machiavelli pose in crisi l'ordine politico, Copernico quello cosmico, Lutero quello teologico, e questa triade, assorbita dal contesto storico-sociale dell'Inghilterra di quegli anni, non solo determinò la peculiare natura e fisionomia del Rinascimento Inglese ma amplificò anche, al massimo grado, la frantumazione di baluardi e certezze proprio in funzione del sostrato culturale e religioso che caratterizzava il paese.
I fattori che cooperarono alla sua diversità furono disparati, come la lentezza con cui il rinnovamento culturale si annidò nell'isola poiché per un lungo periodo lo spirito umanistico non esercitò un notevole influsso su prosa e poesia.
Non meno importanti, l'impeto e il potente raggio d'azione della riforma protestante: l'affermazione del protestantesimo recise i legami con il Medioevo più che altrove, ma sul piano rigorosamente letterario, il paese non si svincolò dai canoni di quell'epoca, a causa del persistere di componenti del patrimonio popolare come i miracle e morality plays, che rappresentavano il contrasto tra vizio e virtù.
È esattamente questa la condizione, un'epoca di marcati paradossi e vivi conflitti, che confluisce nell'universo shakespeariano diventando, così, materiale da rielaborare ed oggetto di indagine.
Tuttavia, pur ereditando forme e convenzioni di un patrimonio ancorato alla tradizione medievale, Shakespeare non usa le sue fonti intatte lasciandole immacolate, ma attinge ad esse per poi stravolgerle e conformarle al suo tempo e linguaggio.
Come ogni artista, anch'egli compie un'opera di trasgressione, rompendo in parte con il passato e rinnovando l'arte drammatica. Del resto, la creatività risiede nell'abilità di rifondare il nuovo e Shakespeare, difatti, non si limita ad imitare il mondo ma ricrea la realtà.
Non poteva instaurarsi una condizione diversa da quella materializzatasi, in quanto tutto il teatro elisabettiano dileggia i generi e le definizioni tradizionali di commedia, tragedia e tragicommedia, alterandoli e modificandoli; per cui, era inevitabile che tutto ciò accadesse anche nel caso di Shakespeare, il quale, più di chiunque altro, ribalta e capovolge le categorie accademiche e si spinge ben oltre la "deformazione" di tali confini, conducendo ad esiti estremi la sua tensione e passione per la ricerca della verità e dell'assoluto.
Tale processo è confermato dalla produzione dei suoi primi anni, che malgrado si connoti per l'uso di diversi strumenti offerti dalla tradizione, fin dall'inizio è affiancata dall'opera di smantellamento e di nuova creazione.
Ogni forma utilizzata subisce una metamorfosi, nessuna di esse resta ciò che era soprattutto perché, da ciascuna, un'altra prende vita.
È un costante rigenerarsi in cui lo stesso autore sembra nascere e rinascere più volte e, ogni volta, egli non è mai uguale a se stesso ma sempre diverso.
La sua personalità esplica il suo universo vulcanico, un incessante divenire, un eterno movimento e cosi è il teatro, o meglio la vita, che egli racconta e rende visibile in scena.
In Shakespeare, nulla è mai statico o passivo e per questo si configura come figlio legittimo del suo tempo: il drammaturgo appartiene ad una realtà composita, eterogenea e multiforme, ad un'età in cui si scoprono l'America e nuovi mondi, in cui si sgretolano le gerarchie del cosmo, dell'ordine divino e dei rapporti umani, avanza la nuova scienza, si impone la visione tolemaica, declinano il sistema feudale e aristocratico, si pone in discussione il potere monarchico.
È un'epoca, dunque, di profonda crisi e mutamenti che decretano la transizione dall'Inghilterra medievale e feudale a quella moderna degli "enclosers", della proprietà privata e del Rinascimento.
Tutto ciò motiva e giustifica perché la sua opera sia versatilità, pluralismo, conflittualità ma, al contempo, anche terrore per i radicali cambiamenti che andavano susseguendosi.
Si è soliti dividere l'evoluzione della carriera artistica di Shakespeare in quattro diversi periodi, ma al di là della mera cronologia e della classificazione psicologica di ciascuno di essi, il pessimismo o la maggiore serenità, l'unico criterio che può essere valutato ed isolato all'interno della sua parabola letteraria è la disposizione del poeta dinanzi alla crisi epocale e alla sua risonanza.
Lo conferma lo spirito che percorre i suoi history plays: ispirati dal ciclo del patrimonio teatrale del medioevo e volti a celebrare la dinastia Tudor, essi esibiscono un senso della storia e della regalità non affatto rassicurante; tale il caso di Henry V e Richard III i quali rivelano una strisciante angoscia ed inquietudine soprattutto nel raccontare le trame ed insidie politiche.
La sua qualità drammatica lo induce ad interrogasi sull'uomo e sull'artista, sul suo destino nel mondo, su Dio e sulla vita, come accade ad esempio in Amleto, giungendo, poi, a salutare la fine di ogni mito in Julius Caesar, dramma in cui non si esalta la romanità e i fasti della classicità, ma al contrario si fa luce sul tramonto degli eroi, al fine di evidenziare come la sua epoca fosse priva figure forti, di punti fermi e certezze.
Tale opera segna la maturata e piena consapevolezza di quella crisi e tutte le forme da lui adoperate, estrinsecano questa presa di coscienza: ricorrente è l'immagine del fuoco come elemento che distrugge ed insieme purifica, l'impiego del teatro come metafora del mondo, l'ampio ricorso ad un linguaggio logoro, alla parola lacerata che denuncia la natura fallace, ambigua ed illusoria del reale dove regna unicamente il dubbio e nient'altro.
Il mondo di Shakespeare, soprattutto quello delineato e descritto nelle sue tragedie, è un mondo senza eroi e senza dei, dove non trionfa l'assoluto, la presenza di un Dio in cui trovare conforto e consolazione, ma predomina la realtà più ruvida, mordace e corrosiva. Non si tratta di un mondo trascendentale ma immanente, tutto umano, dove non c'è nulla di divino, dove non esistono convinzioni e l'unica certezza concessa all'uomo è il conseguimento della verità unicamente attraverso l'esperienza personale. Una visione della vita alquanto desolante ma altamente realistica.
I suoi personaggi, difatti, non sono gli eroi del mondo classico, lo dimostra ampiamente Amleto che vorrebbe vendicare suo padre, adempiendo al suo dovere di figlio, ma purtroppo non vi riesce.
Essi sono uomini, non eroi, essere umani che, analogamente a tutti gli altri, soffrono, amano, odiano; le loro emozioni, nonché problematiche, sono le stesse di ogni tempo, anche del nostro, ed appartengono ad un mondo, palcoscenico della vita e del teatro, di cui si porta in scena la fine.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Love and Be Silent. La retorica del silenzio in Shakespeare e nel King Lear
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Informazioni tesi
Autore: | Annapaola Panico |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lingue e letterature moderne euroamericane |
Relatore: | Michele Stanco |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 91 |
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