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Terapia antalgica, cure palliative e Care-manager. Verso una cosciente educazione tanatologica.

Tra etica e ''buona morte'': dal vitalismo medico alla sedazione palliativa

Uno dei requisiti principali che gli operatori di cure palliative devono avere è la "ἐποχή" (epochè), ossia la sospensione del giudizio. Va da sè la comprensione del motivo: è semplicemente impossibile poter conoscere e giudicare quanto sta soffrendo una persona diversa da se stessi. Ancora in medicina non esistono procedure o strumenti precisi per sapere esattamente il grado di tollerabilità del dolore in un essere umano. Rimane una condizione soggettiva, che varia da persona a persona e anche in base alle diverse situazioni in cui ci si trova. La tecnica migliore, quindi, che un infermiere o un medico possa adottare è quella dell'osservazione senza giudizio, cercando semplicemente di "sentire" ciò che l'altro sta provando ed agire di conseguenza.
Si sa, tuttavia, che all'interno dell'agire operativo della medicina palliativa vi si trovano sovente situazioni in cui i principi di etica e la morale si scontrano con ciò che sembrerebbe più giusto per la scienza, o comunque portano gli operatori sanitari a riflettere a lungo su determinate scelte. Spesso bioetica e morte non vanno d'accordo.
Per fortuna però questo era ciò che accadeva nel passato, anche abbastanza recente.
In questo ambito sono stati fatti passi da gigante, sebbene molti dilemmi persistano, specialmente con l'avanzare della tecnologia, la quale va molto più veloce rispetto a tutto ciò che le sta attorno.
Per comprendere meglio il contesto in cui tecnica, medicina, etica e morte si incontrano e si scontrano, bisognerebbe partire dall'inizio, che coincide col vitalismo medico.
Questo si configura come una dottrina composta da due tesi principali: la tesi assiologica e la tesi deontologica.
La prima afferma che la vita umana, biologica è sempre buona in sè, e per questo va difesa con ogni mezzo possibile, mentre la morte è il peggiore dei mali dal quale bisogna rifuggire. La seconda tesi poi, desunta dalla prima, afferma che il primo compito e dovere del medico è fare tutto ciò che gli è possibile per prolungare la vita del malato, e di contro tenere lontana la morte con ogni mezzo, proprio basandosi sul principio della bontà della vita in qualsiasi circostanza.
Da un certo punto in poi, invece, nella cultura e nel modo di pensare delle persone cambiò qualcosa: si insinuò il dubbio che forse non era così "giusto" e sensato cercare in tutti i modi di prolungare la vita del malato e con essa anche tutte le sofferenze e gli atroci dolori che portava con sè. Forse il potere di fare qualsiasi cosa (o quasi) non coincideva più con l'imperativo categorico di farla pensando di essere nel giusto.
Se vivere, per alcuni malati affetti da patologie cronico-degenerative e terminali, significava solo desiderare la morte, allora la vita non era sempre buona e degna di essere affrontata. Il vitalismo medico aveva generato il cosiddetto accanimento terapeutico, il quale a sua volta generava solo dolori infernali.
Da qui nacquero domande su domande, su cosa fosse realmente giusto o sbagliato, appropriato o dannoso, positivo o inutile. Si gettarono le basi per la nascita della bioetica e della medicina palliativa, una nuova branca dell'assistenza sanitaria con lo scopo principale di garantire una morte quanto più dignitosa possibile a chi ne aveva bisogno. Per la prima volta, quindi, si coniugavano scienza ed etica: questo produsse il risultato che anche una "buona morte" poteva rientrare tra i diritti fondamentali del malato. La qualità della vita biologica diventa così molto più importante della sua quantità, poiché è la qualità che apporta senso e gratificazione alla vita biografica.
Proprio questa centralità dell'etica e il prendere in considerazione e rispettare la personalità e i pensieri dei pazienti, senza però perdere il senso della vita e il significato del dolore, ha reso il reparto di cure palliative come un luogo in cui possono coesistere principi laici ma anche religiosi, in particolare quelli cristiani. La Chiesa infatti accetta di buon grado l'esistenza di questa medicina, e l'èquipe che vi lavora è composta da professionisti veri, i quali rispettano a vicenda il proprio ruolo e quello dei colleghi, in un regime operativo in cui non tutti fanno tutto. Solo la rilevazione e la raccolta dei segnali è un compito che deve essere fatto da tutti, sul piano dell'agire invece ci sono dei limiti e confini chiari tra le diverse professioni: la parola chiave che anche qui deve essere tenuta presente è empowerment. Nel momento in cui si avvicina la morte, l'attenzione alla gentilezza nelle parole e nei gesti, una comunicazione chiara e veritiera, la cura attenta per ogni piccolo bisogno sia del paziente sia della famiglia assumono una importanza maggiore, e creano un clima in cui la dignità è ancora percepibile, nonostante tutto intorno ricordi solo sofferenza, malattia e morte. Tutto questo può essere "superato" se in primo luogo è presente un clima di rispetto e di sostegno tra i gli operatori sanitari, e in seguito questa atmosfera di sostegno morale e psicologico si può trasmettere ai malati e rispettivi parenti. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Terapia antalgica, cure palliative e Care-manager. Verso una cosciente educazione tanatologica.

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Informazioni tesi

  Autore: Serena Sciolti
  Tipo: Tesi di Master
Master in Management delle cure primarie e territoriali: il professionista specialista
Anno: 2019
Docente/Relatore: Domenico Antonelli
Istituito da: Libera Università Mediterranea "Jean Monnet"
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 48

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Parole chiave

morte
dolore
medicina
bioetica
cure palliative
infermiere di famiglia
terapia antalgica
care-manager
educazione

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