Il Bullismo sul posto di lavoro: effetti sulla Salute mentale e sulla Soddisfazione lavorativa
Tipologie di bullismo sul posto di lavoro e relative reazioni comportamentali
La ricerca scientifica ha dimostrato come il fenomeno del workplace bullying presenti tassi di incidenza differenti a seconda dei Paesi presi in considerazione. Le ricerche condotte in Paesi europei presentano tassi di incidenza che oscillano tra il 5 e il 10% (Einarsen et al., 2011). A cambiare, nei vari scenari organizzativi, è sicuramente la forma assunta dal bullismo, vale a dire le tipologie di comportamento che, ripetute in maniera sistematica, arrecano danno alla salute psico-fisica del target. Einarsen (1999) distingue, in primis, le azioni legate al lavoro che rendono difficile per le vittime eseguire la loro attività, o che vanno a svuotare progressivamente il loro ruolo professionale sottraendo ad esso responsabilità, dalle azioni dirette verso la persona, come ad esempio l’esclusione sociale, le diffamazioni, la circolazione di pettegolezzi nell’ambiente lavorativo, le prese in giro e le molestie sessuali. Nella forma di bullismo che ha ad oggetto atti negativi rivolti verso la persona, Einarsen distingue ulteriormente due tipologie di bullismo:
a) Bullismo predatorio (predatory bullying) – nei casi di bullismo che assumono tale fisionomia, gli individui non mettono in atto alcuna azione provocatoria che inneschi, in maniera complementare, una reazione aggressiva da parte del bullo. Si tratta di una tipologia di bullismo attivo che si manifesta con aggressioni verbali e dirette nei confronti di target accidentali, ovvero di individui che non sono la fonte diretta del malcontento che porta i bulli ad agire. Un esempio di tale condotta è rappresentato dal fenomeno del “capro espiatorio”, ovvero da quelle situazioni in cui lo stress e la rabbia, provati dai bulli, hanno una fonte indefinibile o troppo potente per essere attaccata, e si riversano, di conseguenza, su un individuo meno potente, diventando così target di bullismo da parte di uno o più individui. Secondo Archer (1999), i lavoratori che vengono percepiti come rappresentanti di una minoranza, che non rispecchia i principi della cultura dominante dell’organizzazione, possono essere target di bullismo sul posto di lavoro, avendo come unica “colpa” quella di presentarsi al lavoro;
b) Bullismo legato alle controversie (dispute-related bullying) – esso trae origine dal conflitto interpersonale tra due o più individui che, in caso di degenerazione, porta la parte più debole ad assumere la posizione del target di bullismo (Björkqvist, Österman e Hjelt Bäck, 1994). Alcuni studi hanno riscontrato che il bullismo viene praticato in risposta ad un conflitto che riguarda questioni lavorative e che rende l’interazione tra le parti negativa a tal punto da considerare legittima qualsiasi azione volta a sminuire l’avversario (Leymann, 1990; Zapf e Gross, 2001).
A queste tipologie di bullismo, individuate da Einarsen, si aggiunge la classificazione realizzata dal collega Zapf (1999) che introduce cinque tipologie di bullismo sul posto di lavoro:
1) Bullismo legato al lavoro – una pratica che richiama la concettualizzazione di Einarsen (1999) e che riguarda la modifica delle attività della posizione occupata dal target al fine di ostacolarne la gestione e la prestazione che ne deriva;
2) Isolamento sociale – il bullismo viene praticato attraverso l’esclusione del target dalla rete di relazioni sociali presente nell’organizzazione, innescando in esso vissuti di inadeguatezza e inutilità rispetto alla propria presenza all’interno dell’organizzazione;
3) Attacchi rivolti alla persona – che si manifestano mediante insulti e commenti che hanno ad oggetto la vita privata dei target;
4) Minacce verbali – attraverso le quali si viene ingiustamente criticati per il proprio operato e sminuiti di fronte ad altri individui per la presunta incapacità professionale;
5) Diffusione di voci – vale a dire la divulgazione nell’ambiente lavorativo di pettegolezzi che hanno come protagonista il target e che possono recare pregiudizio alla sua reputazione sociale.
Le classificazioni di fine secolo riportate da Einarsen (1999) e Zapf (1999), si collegano alla visione del fenomeno del bullismo come “transazione sociale” negativa sul posto di lavoro che ha l’obiettivo di umiliare il soggetto frequentemente esposto ad atti negativi contro la sua volontà. A ciò si aggiungono ulteriori meccanismi di bullismo individuati dalla ricerca svolta nei contesti lavorativi. Un primo esempio riguarda il bullismo umoristico, ovvero lo scambio di battute, le prese in giro e l’eccessivo umorismo interpersonale che può caratterizzare l’interazione tra due o più persone in un ambiente di lavoro. L’umorismo interpersonale, tuttavia, può svolgere due funzioni diametralmente opposte all’interno delle organizzazioni: nelle realtà lavorative dove l’umorismo caratterizza l’interazione tra colleghi in maniera simmetrica, esso può giovare agli individui aumentando l’impegno e la soddisfazione lavorativa, ma, d’altro canto, laddove il comportamento umoristico ha luogo in una interazione asimmetrica, in cui uno degli attori sociali occupa una posizione di preminenza rispetto all’altro, il soggetto più debole diventa oggetto di scherno e può percepire le prese in giro come comportamenti aggressivi che aumentano la sensazione di essere target di bullismo (Matthiesen e Einarsen, 2002). Inoltre, un’ulteriore tipologia del fenomeno è legata al bullismo sul posto di lavoro nei confronti dei nuovi arrivati: si tratta di un fenomeno che ha radici storiche in ambito militare e nautico (Brodsky, 1976), e che si manifesta attraverso rituali intimidatori nei confronti del nuovo arrivato che rappresentano l’occasione per metterlo subito alla prova. Questo rito tradizionale, a volte, può assumere forme eccessivamente violente e durature, tali da essere percepite come fonti di bullismo dal soggetto costretto a subirle. Le vittime che denunciano i comportamenti di bullismo subiti, al fine di ottenere giustizia, possono correre il rischio di subire un bullismo secondario, ovvero il verificarsi di comportamenti elusivi da parte del datore di lavoro, del sindacato o delle autorità sanitarie e di sicurezza che agiscono, così facendo, in maniera ostruzionista. É necessario sottolineare, infine, che anche i testimoni di episodi di bullismo che si espongono all’interno dell’organizzazione (rivolgendosi al capo del personale) o all’esterno (rivolgendosi alle autorità di sicurezza) rivelando l’accaduto, possono essere sottoposte a vittimizzazione secondaria. Questo fenomeno chiamato whistleblowing (Near e Miceli, 1996), si basa sugli atti ritorsivi che il testimone riceve all’interno dell’ambiente di lavoro per aver rivelato l’episodio. Una modalità tipica per vendicarsi del testimone è data dall’ostracismo sociale nei confronti della persona, escludendolo anche dalla ricezione di informazioni necessarie per svolgere diligentemente il proprio lavoro (Miethe,1999). É ragionevole pensare che diverse tipologie di bullismo evochino comportamenti diversi nelle vittime, nel tentativo di ridurre l’intensità degli atti di bullismo subiti. Tali comportamenti assunti dalle vittime sono stati riportati all’interno di svariate tassonomie nel corso degli anni che, in realtà, presentano diversi elementi in comune riassumibili nella tassonomia realizzata da Olafsson e Johannsdottir (2004). Gli autori definiscono tre tipologie di reazioni comportamentali di fronte agli atti di bullismo:
a) risposte assertive, dirette nei confronti dell’autore delle condotte bullizzanti, per far valere i propri diritti e pensieri; b) reazioni di evitamento, finalizzate all’allontanamento dalla fonte del disagio; c) la ricerca di aiuto, ad esempio, da parte dei colleghi. Diverse ricerche hanno scoperto che le risposte assertive vengono impiegate dai target in misura maggiore rispetto alle richieste di aiuto, e che queste ultime si presentano con più probabilità rispetto alle reazioni di evitamento (Hoel e Cooper, 2000; Hogh e Dofradottir, 2001). In contrasto con queste valutazioni, uno studio di Djurkovic, McCormarck e Casimir (2005) ha analizzato un campione di vittime di bullismo sul posto di lavoro che riferiva di aver reagito mediante l’impiego di comportamenti elusivi in misura maggiore rispetto all’utilizzo di risposte assertive o volte a ricercare il sostegno dei colleghi. Ciò può essere spiegato dal fatto che l’evitamento rappresenti una risposta spontanea e passiva che implica sforzi inferiori per la vittima rispetto a rispondere con assertività o ricercando attivamente aiuto negli altri (Hogh e Dofradottir, 2001), ed è una modalità frequentemente adottata dai soggetti in risposta a situazioni stressanti (Folkman e Lazarus, 1991). Ad ogni modo, il contributo principale di questo studio è dato dalla constatazione che alla tipologia di bullismo subito dalla vittima si associ un determinato tipo di risposta comportamentale. Lo studio ha rivelato che il bullismo che assume le forme dell’isolamento e della minaccia allo status professionale presenta significative correlazioni positive con risposte assertive e di evitamento da parte delle vittime, ma non con la ricerca di aiuto. Inoltre, il bullismo agito sottoforma di attacchi legati alla persona presenta correlazioni positive con risposte di evitamento e con la ricerca di aiuto, ma non con le risposte assertive da parte delle vittime.
Infine, la sottovalutazione della capacità professionale della vittima e la relativa demoralizzazione che ne consegue correla positivamente solamente con reazioni di evitamento. Per ottenere un quadro completo del fenomeno del bullismo sul posto di lavoro sono necessarie, quindi, ulteriori ricerche che prendano in considerazione il fatto che le reazioni comportamentali delle vittime discendono dalle tipologie di bullismo subite.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Il Bullismo sul posto di lavoro: effetti sulla Salute mentale e sulla Soddisfazione lavorativa
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Informazioni tesi
Autore: | Domenico Graziano |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia applicata ai contesti della salute del lavoro e giuridico-forense |
Relatore: | Claudio Barbaranelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 135 |
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