"Dalle trame del buio": Alda Merini tra folllia e salvezza

Attraversando l’excursus di questa raccolta si è tentato dunque di ricreare una mappa tematica, concettuale e psicologica, della poetica della Merini, che affonda le sue radici, secondo questo studio, nel fulcro della gioventù dell’autrice se non addirittura nell’infanzia, stando a quanto la biografia conosciuta sostiene. Sempre secondo questo intervento è possibile ricollegare l’immenso valore della religione nella vita privata e letteraria – che spesso vivono sullo stesso piano – di Alda Merini.

La religione, ma meglio la fede, si instaura fin dall’infanzia nella vita della poetessa così da influenzare l’intero percorso della vita, non a caso, come abbiamo visto, l’intera produzione della poetessa verte sul fronte mistico. Ma può la fede, l’assoluto, Dio, convergere con la psicanalisi e con la logica – a volte sconosciuta – della mente? Alda Merini ha dato prova della convivenza di queste due grandi sfere, dimostrando come l’una sia necessaria all’altra e viceversa e di come l’una arrivi dove l’altra non arriva. Parliamo fondamentalmente di salvezza, come abbiamo visto, e ognuno trova la strada migliore, o quella che meglio sembra da percorrere anche se ostica, per arrivare alla soluzione dei propri enigmi che, in questo come in molti altri casi, sono emblemi umani, ma di una umanità così modesta che solo attraverso l’abbandono alla fede o alla mente – dunque alla propria coscienza dormiente ma vigile – può venire appagata quella sete immensa di risposta, la soluzione del rebus.

Nel contesto della Merini giovane troviamo, come si è già visto, tutti gli incipit per supporre e costruire ciò che potrà ritrovarsi nella postuma produzione letteraria. Il manicomio è stato il culmine, la vetta massima dell’espressione dolorante di un malessere già vivo che, a causa dell’internamento, ha lievitato in uno spazio ridotto rendendosi follia. Follia che tale è se ristretta nei tanto citati margini o limiti dove la stessa Merini riconosce – già in gioventù – essere la dimora del suo male che è la stessa dimora della sua furente ispirazione, poi curativa.

Non è un caso se la Merini piace: oltre all’innegabile valenza letteraria dei suoi componimenti, c’è quella parte più popolare che arriva direttamente a un pubblico vasto, giovani e adulti, che rivede nella storia dell’autrice una grande fonte di speranza, un esempio estremo di come a tutto si può sopravvivere, persino al dolore dell’anima. E la Merini è consapevole di questo dono, di questa forza, perché se così è stato per lei potrebbe altrove ripetersi la sofferenza che qualcuno sta tentando di curare.
Alda Merini non è fuggita dal pozzo plumbeo dove è stata rinchiusa. Lei stessa si è chiusa nel vortice gettando la soluzione e aspettando la totale immersione, passando per la paura – di Dio e della vita, dell’uomo in se – e per l’eccesso. Poi è riemersa, e la sua resurrezione è stata scritta mille volte nelle sue opere.