Il pubblico ministero nel processo civile

I compiti del pubblico ministero nel processo civile sono già de iure piuttosto circoscritti ed ancora più limitati sono quelli che gli riserva la prassi. Gli articoli 69 e 70 c.p.c. disciplinano rispettivamente le ipotesi in cui il pubblico ministero esercita l’azione civile promuovendo egli stesso il giudizio e quelle in cui deve o può, a seconda dei casi, intervenire in un processo da altri instaurato.
Nel campo civilistico vige la regola consistente nella dipendenza della tutela giurisdizionale dalla volontà dell’interessato, per cui le deroghe a tale regola non possono non essere che per casi tassativi. È quanto prevede l’articolo 69 c.p.c.: “il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge”; lo stesso principio è contenuto nell’articolo 2907 c.c., ai sensi del quale alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio, ma solo “quando la legge lo dispone”; a sua volta l’articolo 75 comma 1 dell’ord. giud. stabilisce che il “pubblico ministero esercita l’azione civile ed interviene nei processi civili nei casi stabiliti dalla legge”. Quindi tassatività dei casi in cui il pubblico ministero è legittimato ad esercitare l’azione civile. Invero, alcune decisioni richiamandosi all’articolo 73 ultimo comma dell’ord. giud.: “ha pure azione diretta per far eseguire ed osservare le leggi d’ordine pubblico e che interessano i diritti dello stato, sempre che tale azione non sia dalla legge ad altri organi attribuita”, hanno ammesso l’azione del pubblico ministero anche fuori dai casi espressamente previsti dalla legge. Ma questa tesi non può essere accolta perché in realtà l’articolo 73 esprime, più che delle effettive e concrete funzioni, delle enunciazioni programmatiche generali come risulta dallo stesso testo sull’ordinamento giudiziario.