L'evoluzione degli studi di settore e la valorizzazione del contraddittorio
Studi di settore: evoluzione storico-normativa
Gli studi di settore vennero introdotti nel nostro ordinamento con l'art. 62-bis, D.L. 30agosto 1993, n. 331: "Gli uffici del dipartimento delle entrate del ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1995, in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all’articolo 11 del decreto legge 2 marzo 1989, n. 69, convertiti, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministero delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995."
La legge aveva previsto quindi una rapida entrata in funzione del sistema degli studi di settore, che, però, all'atto pratico non fu possibile attuare e vi furono quindi una serie di proroghe.
La successiva legge 28 dicembre 1995, n. 549, nel prorogare il termine per l'elaborazione degli studi di settore al 31 dicembre 1996, introdusse un nuovo metodo di accertamento dei ricavi, compensi e volume d'affari attribuibili al contribuente in base alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta: l'accertamento basato sui cosiddetti parametri.
Con riferimento al profilo soggettivo, una novità interessante di tale strumento è stata l'applicazione dello stesso non solo agli esercenti attività d'impresa, arti e professioni in regime di contabilità semplificata, come era previsto dalla cosiddetta Visentini-ter, ma anche a quelli in regime di contabilità ordinaria, sempreché non abbiano dichiarato compensi o ricavi di ammontare superiore a 10 miliardi di lire, quando, dal verbale di ispezione redatto ai sensi
dell'art. 33, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, risulti l'inattendibilità della contabilità (in base ai criteri appositamente individuati dal D.P.R. 16 settembre 1996, n. 570).
La natura dei parametri quale meccanismo che, a prescindere da qualsiasi ispezione contabile e quindi anche in presenza di contabilità formalmente regolari, permette di addivenire alla determinazione di una base imponibile diversa da quella dichiarata e quindi tale da legittimare l'accertamento di tipo analitico-induttivo, è stata molto criticata sia a livello dottrinale che giurisprudenziale.
La legittimità costituzionale dei parametri è stata comunque sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, che, nella sentenza n. 105 del 1° aprile 2003, ne ha sancito appunto la legittimità.
L'attività di accertamento basata sui parametri, applicata per la prima volta nel 1995, è stata successivamente confermata, per gli anni 1996 e 1997, seppure con una rivisitazione operata con il D.P.C.M. 27 marzo 1997, che ha tra le altre cose previsto l'applicazione automatica della procedura solo nel caso di superamento di una certa percentuale di tolleranza.
A partire dal 1998, con l'entrata quindi in vigore dei primi studi di settore, i parametri continuano ad essere utilizzati limitatamente a quelle attività per le quali non è stato ancora elaborato lo specifico studio di settore o, seè stato elaborato, risulta nello specifico inapplicabile.
Come abbiamo visto, l'introduzione degli studi di settore, originariamente prevista dall'art. 62-bis, D.L. 331/1993 con decorrenza dal periodo d'imposta 1995, fu soggetta ad una serie di rinvii.
Una prima proroga al 31 dicembre 1996 fu pertanto prevista dall'art.3, comma 180, L. 28 dicembre 1995, n. 549, che si rivelò però insufficiente, e quindi con l'art.3, comma 124, L. 23 dicembre 1996, n. 662, il termine fu fissato al 31 dicembre 1998, condizionando all'emanazione degli studi entro tale data la possibilità di un loro utilizzo in sede di accertamento a partire dal periodo d'imposta 1998.
Successivamente, però, l'art. 21, comma 4, L. 23 dicembre 1998, n. 448, ha previsto la possibilità di emanare regolamenti per disciplinare i tempi e le modalità di applicazione degli studi di settore, cosicché, con il regolamento approvato con il D.P.R. 31 maggio 1999, è stato stabilito che gli studi di settore possono essere utilizzati per l'attività di accertamento a partire dal periodo d'imposta nel quale entrano in vigore, anche se la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti di approvazione avviene entro il 31 marzo del periodo successivo.
Per effetto, quindi, di questa serie di proroghe e di rinvii, la prima concreta applicazione degli studi di settore è avvenuta con riferimento al periodo di imposta 1998.
Agli studi di settore, come meglio verrà delineato nel terzo capitolo di questo lavoro, sono state attribuite nel corso di questi anni diverse valenze a livello accertativo: se ad un certo punto le risultanze degli studi avevano acquisito di fatto, almeno per l'Agenzia delle Entrate, la valenza di presunzioni legali relative, a partire dal 2007 si sono registrati una serie di interventi da parte della stessa Amministrazione che ne hanno ridimensionato la portata, anche se non sempre a livello periferico questo diverso indirizzo si è tradotto in un cambiamento a livello operativo.
Infine, con le sentenze della Cassazione a Sezione Unite del 18 dicembre 2009 è stata definitivamente affermata la natura di presunzione semplice degli studi, che necessita di essere supportata con ulteriori elementi probatori.
Questi cambiamenti stanno inducendo gli uffici ad un diverso approccio agli studi nell'attività di accertamento, venendo utilizzati a volte come meccanismo di selezione dei contribuenti da sottoporre all'applicazione del redditometro o ad accertamento di tipo induttivo.
In virtù dell'evoluzione normativa registratasi nel corso degli anni, è indubbio come gli studi di settore rappresentino in maniera sempre più accentuata il paradigma cui devono fare riferimento la maggior parte dei contribuenti, siano essi imprenditori o esercenti arti o professioni, nell'impostare l'assolvimento dei propri obblighi tributari e dei rapporti con l'Amministrazione finanziaria.
A partire dalla loro prima introduzione, avvenuta come abbiamo visto nel 1993, i vari Governi che si sono succeduti, guidati dalle esigenze del bilancio dello Stato ed allo stesso tempo dalla evidente difficoltà dell'Amministrazione finanziaria a monitorare e controllare un numero enorme di partite Iva, hanno via via accentuato la rilevanza degli studi di settore nell'ambito del nostro ordinamento tributario, gioco forza snaturandone però in parte la natura e la logica che ne avevano giustificato l'introduzione.
Per comprendere cosa rappresentino oggi gli studi di settore e quali siano le possibilità di difesa per i contribuenti, rimandiamo al terzo capitolo di questo lavoro, dove cercheremo di inquadrare l'assetto definitivo di questo strumento, anche alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali.
Questo brano è tratto dalla tesi:
L'evoluzione degli studi di settore e la valorizzazione del contraddittorio
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Informazioni tesi
Autore: | Duccio Palmi |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Scienze economico-aziendali |
Relatore: | Lorenzo Trombella |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 150 |
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