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Beyond pixels - le potenzialità dello storytelling visuale nei videogiochi

Storytelling visuale: cos’è?

Prima di tutto, va specificato che non tutti i ‘visual’ sono storytelling. La discrimine principale sta nell’intenzione di raggiungere un obiettivo specifico tramite immagini che narrano una storia. Come per lo storytelling, anche questa pratica esiste fin da quando l’uomo è stato in grado di applicarla, in questo caso, di realizzare immagini a fini narrativi. Una pubblicazione del 2015 (Fritz & Tosello, 2015) rivela come il primo caso effettivo di visual storytelling risalga circa al 36.000 a.C. e di come nelle pitture rupestri della grotta di Chauvet venga raccontata l’eruzione di un vulcano e la successiva fuga degli animali nell’area circostante. Passando per le epoche successive, si trovano i geroglifici egizi e le ceramiche greche che utilizzavano in larga parte le immagini per raccontare delle storie o dei pezzi di storia al fine di esemplificare racconti orali o tramandare tradizioni, spesso a sfondo mitologico.

Bisogna aspettare fino al Medioevo affinché le immagini vengano corroborate al testo vero e proprio, come nelle miniature medievali. È però con la nascita della stampa attorno al 1450 che il visual storytelling assume connotati simili a quelli di oggi, poiché viene introdotta la qualità della replicabilità delle immagini, fondamentale per la comunicazione strategica. Si arriva dunque al 1499, anno in cui Aldo Manuzio, editore dell’epoca, stampa quello che per molti sarà considerato come il più bel libro della storia della stampa: “Hypnerotomachia Poliphili”. L’autore delle illustrazioni è ignoto mentre le innovazioni introdotte da questo testo sono ben chiare, per cui le immagini raccontano, descrivono, criptano messaggi e arricchiscono la pagina (Orzati, "Definizione e origini del visual storytelling", 2019).

Un altro passo avanti verso il visual storytelling, volto alla comunicazione strategica, è stato compiuto da Andrea Alciato con il suo libro Emblemata nel quale vi è un recupero della tecnica dell’emblema che egli usa come rappresentazione simbolica. In questo testo vi è l’introduzione inoltre della composizione tripartita, nel quale è presente un titolo, un’immagine ed una descrizione, il quale non è altro che lo schema tipico della cartellonistica: headline, visual e bodycopy.

I principi dello storytelling visuale
Una volta definita quindi una cronistoria dei momenti salienti dello storytelling visuale, occorre definire ciò che Orzati chiama “Grammatica del racconto” (Orzati, "L'immagine narrativa", 2019), ovvero un insieme di cinque regole che consentono di raccontare una storia attraverso le immagini:
✓ Io-eroe-protagonista: mostrare o suggerire i dettagli di un personaggio a livello anagrafico, qualitativo e sociale;
✓ Ferita-impresa: il trauma è la benzina delle storie a cui segue un’impresa che funge da catarsi per la ferita;
✓ Sfide-avversario: un personaggio affronta una sfida (a cui segue il momento del massimo rischio), spesso contro un avversario dai valori invertiti,
✓ Aiutante e oggetto significante: si basa sulla relazione con il protagonista dell’immagine, per cui deve essere coerente ad esso ed il mondo narrativo. Spesso la marca si fa ‘aiutante’ del protagonista, ricalcandone i valori;
✓ Tesoro e fine: il tesoro alla fine della storia, che può essere anche immateriale e la fine della vicenda, che spesso non è altro che un nuovo inizio.

Un caso esemplificativo dove questi elementi compaiono in modo chiaro e facilmente analizzabile è la commovente sequenza della storia d’amore fra Carl ed Ellie presente nel film Disney-Pixar ‘UP’ [14]. Non viene detta alcuna parola, ma è presente come supporto sonoro la colonna sonora del film che fa da specchio a ciò che avviene a schermo. La sequenza ci mostra il carattere, la psicologia, i sogni ed il rapporto fra i protagonisti, in cui si susseguono ferite ed imprese in poche singole immagini. Nell’ottica totale del film, ogni elemento è presente ed è al posto giusto, vediamo infatti Russell come aiutante, i palloncini come oggetti significanti, Muntz come avversario e la promessa mantenuta sul finale che chiude il cerchio. La struttura, poi, segue quella classica di un contesto iniziale seguita da una caduta, una risalita ed infine un nuovo contesto (Orzati, "Il racconto visivo", 2019).

Un caso interessante da analizzare sempre in campo filmico è quello del celeberrimo regista Alfred Hitchcock, la cui forza sta nel linguaggio visuale introdotto nel genere da lui prediletto: il thriller. È infatti tipico notare nei suoi film una serie di tecniche narrativo-visuali che rivelano molto dei personaggi o degli oggetti in scena senza però essere accompagnati da una descrizione vocale. Alcune di queste tecniche sono:
✓ Iniziare una sequenza con un enstablishing shot13: lo scopo di questa tecnica è quello di passare da un campo largo ad un primissimo piano facendo capire allo spettatore dove sono tutti i personaggi della scena, cosa stanno facendo e alla fine chiudere su un punto focale (può essere la smorfia o l’azione di un personaggio che diventeranno rilevanti ai fini della storia);
✓ Usare i primi piani sugli oggetti: lo scopo di questa tecnica è far intuire allo spettatore che quell’oggetto diventerà fondamentale per la storia;
✓ Usare i primi piani sulle mani: lo scopo di questa tecnica è far capire allo spettatore le emozioni di un personaggio inquadrando solo le sue mani (se tremano, se sono calme, se stanno sudando).

Un osservazione degna di nota è quella per cui nello storytelling visuale così come nel semplice storytelling, si sono affermati con il tempo degli schemi narrativi che funzionano meglio di altri. Bartezzaghi mette in analogia la ‘dispositio14’ ciceroniana con gli schemi narrativi [2]: se per esempio si vuole raccontare una storia d’amore occorrono due protagonisti innamorati, un evento traumatico che li separa ed un finale di riconciliazione. L’innovazione, in quest’ottica, è data da quelle persone che ad un certo punto creano un nuovo schema, o ne innovano uno, facendolo diventare cult. Un esempio a proposito è la cosiddetta ‘Frankenstein story’ di Mary Shelley, un’innovazione che porta con sé la necessità di immaginare non solo per iscritto ma anche visualmente una nuova serie di elementi. Il genere ‘Noir’ per esempio porta con sé la necessità di inquadrature strette, elementi visuali cupi, un’atmosfera misteriosa ed in generale un’ambientazione metropolitana. Ogni genere, dunque, ha una sua traduzione ottimale in forma visuale che ogni storyteller conosce e sa rappresentare. Nel prossimo capitolo, invece, si analizzerà come questo rapporto fra rappresentazione visiva e coinvolgimento emotivo si intrecci nel medium videoludico.



13 Enstablishing shot: inquadratura molto larga, spesso all’inizio di una scena, che funge da impostazione per le scene successive.
14 Dispositio: termine latino che significa ‘disporre’ è spesso accostato all’organizzazione di un testo narrativo, argomentativo o poetico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Beyond pixels - le potenzialità dello storytelling visuale nei videogiochi

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Informazioni tesi

  Autore: Daniele Celestino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2023-24
  Università: Università degli Studi di Ferrara
  Facoltà: Scienze Umanistiche
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Michele Bonazzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 60

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