Morire di carcere. Disagio psichico e suicidio nella realtà penitenziaria
Sovraffollamento e pandemia: come il Covid-19 ha influenzato la vita negli istituti penitenziari
La condizione di sovraffollamento che caratterizza le carceri del nostro Paese (e non solo) non ha certamente facilitato la gestione del virus né dal punto di vista puramente sanitario, né dal punto di vista sociale. Se già prima della pandemia le nostre carceri erano caratterizzate da alcuni problemi strutturali, essa non ha fatto altro che acuirli. Negli istituti penitenziari italiani erano reclusi, prima del problema del virus, più di 62.000 individui (sebbene la capienza regolamentare fosse pari a 40.000 unità): il problema tutt'ora presente del sovraffollamento carcerario ha fatto, così, registrare all'Italia il dato peggiore d'Europa, con circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili (secondi solo a Cipro, con 134,6 detenuti ogni 100 posti disponibili). L'arrivo della pandemia ad inizio 2020, congiuntamente alle rivolte messe in atto dai detenuti in alcune carceri italiane (per motivi legati a situazioni socio-sanitarie prese in carico non a dovere, oltre che per via della volontà, da parte loro, di sapere di più relativamente alle misure di restrizione attuate dopo l'arrivo del virus), hanno portato ad esiti tragici: le rivolte hanno coinvolto circa 6.000 prigionieri di 49 istituti diversi, portando alla morte di 14 di loro, al ferimento di 40 agenti del corpo della polizia penitenziaria, alla distruzione di sezioni di strutture degli istituti e, addirittura, all'evasione dal carcere di Foggia di decine di detenuti. Esattamente come accaduto nella società esterna ai penitenziari, inizialmente i contagi erano molto contenuti, salvo poi prendere la piega che tutti noi abbiamo potuto provare su noi stessi. Tuttavia le amministrazioni penitenziarie hanno giocato d'anticipo introducendo una serie di misure restrittive (ben prima della quarantena generale imposta alle nazioni) atte a ridurre al minimo le possibilità di contagio. Dati, poi, i già menzionati fattori di sovraffollamento e condizioni igienico- sanitarie tutt'altro che dignitose, i governi europei hanno messo in atto strategie atte ad evitare l'ingresso del virus in un sistema chiuso come quello degli istituti penitenziari, oltre a strategie mirate alla diminuzione del numero dei detenuti. Nel nostro Paese, poi, sono stati sospesi i colloqui con i familiari, oltre all'entrata di persone esterne con le quali i detenuti svolgevano varie attività (gli educatori, i volontari, ecc.). Tutti questi accorgimenti si sono inaspriti con la proclamazione dello stato di emergenza, tanto che alcuni Paesi dell'Unione europea hanno deciso di introdurre misure alternative al carcere atte a limitare o neutralizzare la diffusione del contagio.
La Francia, ad esempio, ha visto calare la popolazione detenuta dai 72.575 detenuti del 15 marzo 2020 ai 58.695 di inizio luglio 2020, a seguito di una condanna da parte della convenzione europea dei diritti dell'uomo - risalente al gennaio 2020 - causa sovraffollamento e condizioni di detenzione. Un tale risultato è stato possibile da ottenere solo grazie ad un più largo uso della liberazione anticipata per i detenuti che erano in procinto di lasciare il carcere ed alla riduzione dell'attività giudiziaria. Tale processo è avvenuto anche nel Belpaese, seppur in maniera ridotta, ma, dopo la prima ondata del virus, il numero dei detenuti ha ricominciato a crescere, raggiungendo il picco di 62.673 unità con l'inizio dell'anno 2021. Tuttavia se si riuscisse a far persistere il modello per cui vengano scarcerati i detenuti a fine pena, il numero di individui presenti nelle carceri italiane potrebbe stanziarsi quasi in corrispondenza di quello relativo alla capienza regolamentare.
Per quanto riguarda l'aspetto rieducativo, la pandemia è andata ad influenzare anche esso. Da quando conviviamo con il virus, infatti, nel 60% degli istituti penitenziari italiane le attività in presenza hanno subito un'interruzione di almeno 3 mesi. Esattamente come è successo con gli istituti scolastici, sebbene vi sia un particolare molto importante: al contrario delle scuole, sono pochi i casi in cui è stata garantita la didattica a distanza per i reclusi, andando così a mettere in crisi la funzione rieducativa del carcere. Certamente vi è un aspetto del quale è doveroso tenere conto: il non perfetto sviluppo della digitalizzazione nelle carceri italiane. Perché tenere conto di questo? La risposta è più semplice di quanto possa sembrare, soprattutto se si va a prendere come termine di paragone il modello penitenziario tedesco. Infatti, se nelle carceri italiane il 33% dei detenuti ha deciso di abbandonare gli studi, in quelle tedesche il periodo di chiusura delle attività all'esterno e all'interno degli istituti penitenziari ha fatto registrare un crescente interesse dei detenuti per quanto riguarda corsi di formazione, di lingue, ma anche di pratica e teoria. La risposta a questa richiesta è stata la proposta di cento nuovi corsi relativi alla lingua tedesca, ma anche alle attività pratiche e teoriche di cui sopra. Riprendendo quanto detto poc'anzi, questo è stato possibile grazie alla molto avanzata digitalizzazione dei penitenziari tedeschi.
Rimanendo in tema di educazione, è bene dire che le nostre carceri siano molto indietro rispetto a quelle di molti Paesi dell'Unione in materia di offerta di servizi educativi ai detenuti, i quali sono fondamentali per attuare il principio costituzionale per cui la pena deve avere finalità rieducativa. L'84% dello staff penitenziario si occupa esclusivamente della sorveglianza dei detenuti (percentuale che cala al 61% se si fa riferimento alla media europea). Gli addetti all'attuare attività di rieducazione, tuttavia, sono l'1.9% del totale, contro una media europea del 3.3%. Nelle carceri italiane sono presenti meno educatori (733) rispetto a quelli previsti (896). Gli agenti di polizia penitenziaria impiegati indicati dal Ministero della Giustizia come "dotazione organica" per il settore nel 2017 dovrebbero essere 38.571, mentre ve ne sono circa 36.939.
Andando ora ad esaminare il passato più recente, l'Associazione Antigone ha voluto porre il focus sul problema dell'aumento dei contagi che ha colpito le carceri italiane a gennaio 2022: oltre 1.500 i detenuti risultati positivi ad inizio anno, mentre se ne contavano circa 200 a dicembre 2021. La variante Omicron, infatti, ha messo a dura prova anche il sistema carcerario italiano, non essendo vaccinati con tre dosi i detenuti e la salute dei quali non è impeccabile. A dimostrazione della gravità della situazione del sovraffollamento delle carceri italiane, in alcuni istituti non vi è stata la possibilità di separare i positivi dai negativi a causa degli esigui spazi delle strutture, le quali non offrono spazi liberi da sfruttare per compiere tale separazione. Dopo il calo del numero dei detenuti presenti negli istituti italiani successivo al dilagare del virus, tale cifra ha ricominciato a salire, andandosi a stanziare sui 54.000 reclusi (mentre la capienza regolamentare è attualmente fissata a 50.000 unità). Una situazione del genere mette a dura prova la psiche dei detenuti, i quali sono già sottoposti a forte stress a causa della privazione della propria libertà.
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Morire di carcere. Disagio psichico e suicidio nella realtà penitenziaria
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Informazioni tesi
Autore: | Federico De Santo |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi di Parma |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Scienze del servizio sociale |
Relatore: | Chiara Scivoletto |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 98 |
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