''En finir avec Eddy Bellegueule'': il racconto di sé come contropotere.
Scrivere contro Jean Genet e Pier Paolo Pasolini
Premettiamo che Édouard Louis si iscrive nella filiazione di Pasolini e Genet.
L'autore non nega la portata intellettuale e politica di questi predecessori, ma constata che essendo cambiati i tempi è necessario che il messaggio cambi forma. Si adegui al nuovo contesto e alle nuove esigenze. Scrivere contro questi due autori è il suo modo di rendere loro omaggio, un tentativo di fare per gli stigmatizzati di oggi, quello che loro fecero per gli stigmatizzati di allora.
«En racontant l'enfance d'Eddy Bellegueule, en brossant le portrait de son village, des gens qui l'entourent, c'est l'expérience de la domination sociale que j'ai d'abord voulu montrer. La violence, l'humiliation, qui traversent nos vies et nous constituent, qui sont comme les fondations plus ou moins invisibles de nos existences. Qui n'a pas vécu cela? Je n'aime pas beaucoup l'idée d'universel, mais s'il y a bien quelque chose qui s'en approche, c'est la domination. Le fait d'être une femme, un homosexuel, un Juif, un immigré, de venir des classes populaires, d'arriver depuis la province à Paris… tout le monde ou presque, à un moment de sa trajectoire, est marqué par l'expérience de l'injure ou de l'infériorisation. Réussir à dire cette violence passait par deux choses. La première, c'était d'écrire contre Jean Genet, qui, dans une scène du Miracle de la rose, se fait cracher dessus parce qu'il est homosexuel et métamorphose ces crachats en roses: comme si la littérature consistait à esthétiser, comme s'il fallait rendre les choses lyriques pour se les réapproprier, les rendre belles, métaphoriques. La seconde, c'était d'écrire contre Pasolini, c'est-à-dire contre la mythification, l'idéalisation des classes populaires. Toute son oeuvre est traversée par une vision des classes populaires comme plus simples, plus authentiques, plus vraies, les bons vivants. C'est ce double refus, ce parti pris de montrer la violence dans sa crudité qui a peut-être produit ce dialogue avec les gens qui ont lu le livre».
Sartre (che non era omosessuale) raccontò che un giorno Genet gli chiese perché, apprezzasse Le miracle de la rose. Egli rispose che lo apprezzava precisamente perché non era omosessuale. Ovvero, se Genet fu inizialmente sostenuto da un pubblico prevalentemente omosessuale – tra cui scrittori illustri come Jean Cocteau –, non furono pochi gli "omofili" a criticare personaggi come Genet, Cocteau e Proust per l'immagine che davano all'esterno dell'omosessualità. Lo stesso Sartre constatava che il messaggio di Genet poteva fare adirare numerosi omosessuali.
Come accennato prima, André Gide, nella prefazione di Corydon, intendeva contrastare l'immagine che Proust dava dei "pederasti", anche se per motivi discutibili. Uno dei paradossi tipici della cultura gay, è proprio il volersi dissociare dalla cultura gay per un motivo o per un altro. A credibilizzare o meno quel dissociamento però possono essere le motivazioni. André Baudry, fondatore e attivista dell'associazione omofila – ovvero omosessuale – Arcadie, nel 1954, scrisse non celando la sua adirazione, nella prefazione del libro di Maurice Chevaly Genet:
«Il y a cent manières de mettre en pratique l'art de déplaire. Celle utilisée par Genet est la plus ignoble. Il a ravalé le corps à une simple machine à jouissance. Il a insulté les passions pour qu'elle ne brûlent que d'un feu païen. […] Je voudrais pouvoir espérer qu'aucun homosexuel, conscient de sa diginité humaine, ne se reconnaît en cet homme. La cause homosexuelle, qui demeure au sein d'un laxisme généralisé, ne peut être illustrée, malgré les apparences, que par ceux qui gardent la mesure de leur comportement. Genet fut l'un des plus infernaux types du monde homosexuel, et malheur aux homophiles sils étaient tous comparés aux tristes pantis sans coeur et sans âme que le romancier à cru devoir peindre».
A difesa di Genet, sarebbe da specificare che la sua letteratura va obbligatoriamente ricontestualizzata. Parlare di omosessualità negli anni ‘40 rimaneva un fatto rarissimo e vissuto alla luce dello scandalo. Si può dire che ha spostato il limite del dicibile. La sua letteratura tanto criticata da molti omosessuali – maggioritariamente dichiarati – è rimasta comunque una pietra angolare della cultura gay internazionale. Dopo numerosi decenni di invisibilità (ma anche durante questi anni) politica e culturale dell'omosessualità, gli scritti di Genet, come quelli di Proust, seppur criticabili per numerose ragioni, fornivano a molti un riferimento visibile col quale identificarsi o scontrarsi. Imponevano, comunque, un confronto, non solo esterno ma anche interno. I libri di Genet hanno nutrito l'immaginario erotico e poetico di generazioni di omosessuali. Anche se non hanno la pretesa di fornire un discorso politico o erigersi a norma sub-culturale, sono comunque frutto di un'autoelaborazione del proprio essere che è servita da autoelaborazione "collettiva" per molti suoi lettori. I libri di Genet, Proust, Gide o Wilde erano venduti alla Cité des livres, nel cuore di Parigi, non più in qualche angolo oscuro di libreria. Per dare un'idea del peso della letteratura, per definire un omosessuale la prima metà del ventesimo secolo usava dire che un tale è un Oscar – da Oscar Wilde -, un Sebastian – da Sebastian Melmoth, pseudonimo di Wilde – o in Francia un Charlus – Charlus essendo un personaggio di Proust.
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''En finir avec Eddy Bellegueule'': il racconto di sé come contropotere.
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Informazioni tesi
Autore: | Elisabeth-Astrid Beretta |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze linguistiche, letterarie e della traduzione |
Relatore: | Daria Galateria |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 127 |
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