La condizione degli Italiani nel dopoguerra nell'ottica della cinematografia neorealista
Roma città aperta (1944-1945)
Roma città aperta prende spunto da eventi realmente accaduti durante i mesi dell’occupazione nazista della città, tra il settembre del 1943 ed il giugno del 1944. Il film fu realizzato tra il gennaio e l’agosto del 1945, a distanza quindi di pochissimi mesi dagli eventi che lo ispirarono e che ancora bruciavano nella memoria di tutti.
Quel suo situarsi così a ridosso dei fatti storici fa di Roma città aperta un’insostituibile documentazione storiografica. Ciò che risulta più evidente è il clima di profonda paura che circondava il popolo italiano.
Vivere a Roma durante i mesi dell’occupazione, per chi era più e meno vicino ai gruppi clandestini o non aveva collaborato col fascismo della Repubblica di Salò, significava rischiare ogni giorno l’arresto e, con questo, la propria vita. L’idea di partenza di Rossellini e di Amidei, lo sceneggiatore, era quella di realizzare un cortometraggio su don Morosini, un sacerdote partigiano fucilato il 3 aprile del ’44.
A questo fatto si aggiunsero diversi spunti narrativi tratti dalla cronaca di quei tempi: una bomba fatta esplodere da un gruppo di ragazzi contro un deposito di munizioni; l’assassinio di Teresa Gullace, avvenuto il 3 marzo del ’44 mentre cercava di trattenere suo marito che i tedeschi le stavano portando via; le torture subite dai partigiani nella prigione di via Tasso. La storia che Rossellini porta sullo schermo è quella di Pina, interpretata da una memorabile Anna Magnani, una massaia, vedova, che vive in un caseggiato popolare con il figlio Marcello, un ragazzino che insieme ad altri suoi coetanei compie atti di sabotaggio contro i nazifascisti.
Il giorno prima del suo matrimonio con il tipografo Francesco, un partigiano, dal quale aspetta un figlio, durante una retata messa a punto dal maggiore Bergmann, viene fucilata dalle SS che le stanno portando via il suo futuro marito. La resistenza fisica del personaggio rappresenta la resistenza morale di un’intera collettività vittima ma non schiava della guerra, di una collettività che crede nella libertà.
L’intensità degli ultimi gesti della sora Pina esasperano l’atrocità del suo assassinio: l’urlo (Francesco!! Francesco!!), lo scatto, la corsa frenetica di questa donna portatrice di vita, ci dicono che proprio la vita è slancio. Nel suo scatto è presente tutta la protesta contro l’ingiustizia che il popolo italiano ha tenuto per molto tempo dentro di sé, fino a che non è incontenibilmente esplosa.
La sua storia si intreccia con quella dell’ingegner Manfredi (un comunista tradito dalla fidanzata Marina, una cocainomane ed una spia al servizio della Gestapo) che, pur di non rivelare i nomi dei suoi compagni, accetta di subire terribili torture da parte dei tedeschi, fino alla morte, e con quella di Don Pietro che, accusato di collaborare con la Resistenza e risoluto nel tacere i segreti confessionali, verrà fucilato al poligono davanti ai bambini che, oltre il reticolato, gli rendono l’ultimo affettuoso saluto. Significative sono le ultime parole che pronuncia: “Non è difficile morir bene, difficile è vivere bene…).
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La condizione degli Italiani nel dopoguerra nell'ottica della cinematografia neorealista
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Calenco |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Libera Univ. degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Claudio Siniscalchi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 127 |
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