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I fratelli degli autistici: il ruolo dello psicologo clinico nel sostegno della relazione

Reazioni della famiglia di fronte alla disabilità

Oltre all’impatto iniziale della nascita di un figlio disabile che risulta essere molto forte e traumatico, i genitori devono affrontare la diagnosi che spesso viene comunicata con modi poco empatici e nella maggioranza dei casi vengono fornite poche indicazioni sulle implicazioni e conseguenze della malattia sullo sviluppo del bambino (Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Apprendendo la condizione di disabilità del figlio, i genitori proiettano le loro paure e domande nel futuro chiedendosi se il loro bambino potrà correre, parlare, leggere ecc. (Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Quindi la modalità di comunicazione della diagnosi è molto importante poiché una diagnosi esplicitata in modo esauriente, con disponibilità a fornire tutte le informazioni di cui i genitori necessitano, aiuta a ridimensionare il senso di angoscia e solitudine che connota l’impatto con questo tipo di situazioni (Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Spesso le istituzioni non riescono ad espletare questo compito fornendo una comunicazione rigida e poca assistenza anche dopo la diagnosi, alimentando sentimenti di solitudine ed abbandono (Zanobini, Manetti, Usai, 2010), proprio per la mancanza di informazioni rispetto a quali siano le decisioni immediate da prendere e a chi rivolgersi per avere assistenza concreta (Erikson, Upshur, 1989; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). L’impatto della comunicazione della condizione di disabilità del figlio dipende molto dal tipo di disabilità e dalla gravità di essa (Myers, 1990; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010), ma anche dalla situazione familiare e dalle caratteristiche personali dei genitori e di quest’ultimi come coppia (Farber, 1959; Farran, Metzger, Sperling, 1986; Wels, 1994; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Ogni nucleo familiare e ogni singola persona che lo compone necessita di un certo periodo di tempo per accettare l’evento e per attingere alle proprie risorse interne, reagendo ed agendo per riequilibrare la situazione (Zanobini, Manetti, usai, 2010). Rispetto ai compiti inerenti la cura dei figli, la famiglia in cui vive un bambino disabile si trova a dover organizzare la vita pratica in maniera più difficoltosa e questo porta ad un forte dispendio di energie fisiche e psichiche (Padeliadu, 1998; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). I compiti di cura possono essere più o meno gravosi e dipendono soprattutto dalle implicazioni mediche sua età, alla minore o maggiore autonomia, alle capacità linguistiche e sensoriali che possono rendere difficoltosa la comunicazione (Zanobini, 1999; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). 


Queste situazioni generano stress e ansia e portano il nucleo familiare necessariamente a dover riadattare le proprie abitudini ed attività e questo può favorire l’isolamento sociale, specie se gli impegni di cura verso il figlio disabile sono numerosi (Singer, Irvin, 1991; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Quanto detto sopra però viene anche compensato dal fatto che il figlio disabile, attraverso le conquiste ed i miglioramenti di ogni giorno, possa essere visto come fonte di soddisfazione (Ianes, 1991; Ianes, Celi, 2001; Kearney, Griffin, 2001; Singer, Irvin, 1991; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Tali soddisfazioni riguardano la presenza del figlio stesso, specie per quelle famiglie in cui il bambino disabile ha rischiato di morire alla nascita (Zanobini, Manetti, Usai, 2010); molte famiglie descrivono anche di aver provato, dopo il lungo percorso di accettazione ed adattamento alla condizione di disabilità del proprio bambino, una positiva sensazione di cambiamento e rinascita, come se a tutta la famiglia fosse stata donata una nuova vita e nuove opportunità di crescita emotiva e personale (Van Riper, 1999; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010), sensazione che tuttavia non porta a negare anche i momenti di frustrazione ed ansia generati dalle difficoltà che possono insorgere, ma che emerge comunque nel complesso dell’esperienza familiare (Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Le tappe dell’evoluzione del nucleo familiare sono le stesse sia per le famiglie con figli a sviluppo tipico, sia per le famiglie con figli a sviluppo atipico: la differenza è che per i nuclei in cui è presente un figlio disabile, tali tappe sono più difficoltose da affrontare (Zanobini, Manetti, Usai, 2010). 

Lo sviluppo del normale ciclo vitale di una famiglia con figli disabili viene influenzato da alcuni fattori; innanzitutto incide la consapevolezza del fatto che la condizione di disabilità non può essere cambiata (Zanobini, Manetti, Usai, 2010) e questo può generare anche a sensazioni di frustrazione, ansia e rabbia, specie nel periodo adolescenziale poiché i genitori si rendono conto che il figlio, che in questa fase dovrebbe iniziare il processo di separazione per creare la propria identità, rimane comunque sempre dipendente da loro (Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Inoltre, con la crescita e lo sviluppo, specie in presenza di alcune patologie che possono enfatizzare i problemi comportamentali (come ad esempio nel caso dell’autismo) del soggetto disabile, aumenta anche l’isolamento sociale della famiglia (Cunningham, 1996; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Altro fattore di influenza riguarda lo sviluppo e l’espressione della vita sessuale ed affettiva dei soggetti disabili, argomento che viene evitato o negato dai genitori ma anche dai ragazzi stessi (Veglia, 1991; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010) a causa della scarsa informazione e della reticenza nel valutare il peso di questo aspetto della vita del figlio (Govigli, 1987; in Zanobini, Manetti, Usai, 2010). Un altro problema è quello della sistemazione del disabile una volta diventato adulto e questo è un argomento molto sentito nelle famiglie dove vi sia un figlio con sindrome autistica (Lupo, 2015); in questi casi, se non vi sono fratelli o sorelle, i genitori sono spinti a scegliere la soluzione dell’istituzionalizzazione (Zanobini, Manetti, Usai, 2010) e questa scelta viene fatta spesso anche in base ai problemi comportamentali del soggetto autistico che può diventare ingestibile e richiedere il ricovero in strutture specializzate (Zanobini, Manetti, usai, 2010). Queste situazioni si connotano anche per l’isolamento che spesso è conseguenza inevitabile per l’adulto disabile: infatti sia i genitori, sia le istituzioni, tendono a considerare il soggetto ancora come bambino non sviluppando programmi educativi che gli permettano di emanciparsi (Zanobini, Manetti, Usai, 2010).

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I fratelli degli autistici: il ruolo dello psicologo clinico nel sostegno della relazione

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandra Ricci
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università Telematica "E-Campus"
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Gianmauro Manzoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 75

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Parole chiave

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fratelli
autismo
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psicologo clinico
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