Mindfulness: rassegna sistematica sull'efficacia clinica
Questioni teoriche generali
Il termine Mindfulness indica la possibilità di una conoscenza che si manifesta quando l'attività discorsiva ininterrotta della mente si placa, creando lo spazio affinchè emerga spontaneamente una consapevolezza silente, al di là delle parole, dei concetti, del pensare, del significare. Questa modalità di comprensione non concettuale, di semplice presenza mentale, di attenzione cosciente a ciò che appare nella mente, apre la possibilità alla disidentificazione dai contenuti mentali, atto di profonda potenzialità terapeutica. Ma cosa significa il termine Mindfulness? Come detto nell'introduzione, potrebbe essere più o meno analogo a "consapevolezza senza pensiero". Più precisamente però: consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell'esperienza, momento per momento, con intenzione, nel presente e in maniera non giudicante. E' pero un po' contraddittorio voler rendere a parole qualcosa che per sua natura è slegato da vincoli verbali e concettuali e si riferisce innanzitutto ad un'esperienza, per tale motivo ho deciso di mantenere il termine invariato, senza dargli una traduzione precisa. La meditazione di Mindfulness comprende una gamma di tecniche originarie di diverse tradizioni, che però convergono in alcune caratteristiche essenziali e nel concordare su cosa sicuramente la meditazione non è: non è una condizione di trance, la quale comporterebbe un indebolimento della consapevolezza, non è una condizione mistica, non porta infatti involontarie visioni a contenuto religioso, non è soprattutto una semplice tecnica di rilassamento, poiché non ha per unico scopo il raggiungimento di uno stato di "benessere" fisico e mentale. Sviluppare consapevolezza significa tutto l'opposto: richiede il divenire attenti e presenti a ciò che la propria mente sta vivendo.
Anche la parola pratica assume un significato diverso: non è un allenamento in vista di prestazioni future, la prestazione ha luogo sempre e solo nell'istante presente. Lo sviluppo della Mindfulness è comunque affidato tanto a momenti formali (tecniche meditative), quanto a momenti informali, orientati a favorire la continuità della consapevolezza in ogni momento di vita quotidiana.
La prospettiva teorica che per prima ha cercato di creare dei ponti con le tradizioni orientali, provando ad incorporare principi e tecniche buddistiche nella propria pratica clinica, è stata il Cognitivismo clinico. Questo tentativo non è però esente da difficoltà e contraddizioni. Il perno del cambiamento terapeutico di tutte le principali correnti cognitiviste sembra ruotare attorno ai significati attribuiti dalla mente, significati che si ritiene debbano necessariamente farsi espliciti, semantici, proposizionali ecc. Ora, la Mindfulness è un'esperienza non concettuale e non linguistica, infatti avevo già accennato che viene spesso chiamata anche "insight meditation", che significa un vedere in profondità, in modo penetrante e non concettuale nella natura della mente. Anche la parola Vipassana significa "visione profonda". Entrambi i termini si riferiscono quindi alla possibilità di una forma di conoscenza che ha la qualità del vedere in profondità e generare, col tempo, insight, ovvero comprensioni intuitive profonde e non concettuali. L'esperienza diretta di questa forma di conoscenza è normalmente accessibile anche solo ad un livello minimale a chiunque pratichi poche sedute di meditazione. Tuttavia questa esperienza non trova posto nel lessico e nell'apparato concettuale di nessuna delle principali teorizzazioni cognitiviste. Nei termini del cognitivismo attuale la si può definire solamente attraverso negazioni: non è una forma di conoscenza implicita, ma non è nemmeno una conoscenza implicita-dichiarativa, né semantica né episodica, non è una modalità di coscienza primaria, poiché non si limita alle percezioni immediate, ma si estende alle a pensieri e ricordi e non è neppure una forma di conoscenza simbolica metaforica o per processi immaginativi, perché anzi permette di osservare consapevolmente, "dal di fuori", eventuali immagini mentali o pensieri metaforici. Si tratterebbe, per paradosso, di una forma di conoscenza non veicolata da significati, non rappresentativa, per quanto possa sembrare insensato.
John Teasdle (2002) ha coniato la nozione di metacognitive awereness, che parte da un concetto ampiamente utilizzato, quello di metacognizione, e lo riformula per sottolineare due aspetti: si tratta sì di una forma di conoscenza che abbraccia il funzionamento stesso della cognizione, del pensiero, ma si tratta di una conoscenza immediata e intuitiva, di una consapevolezza. Il non mettere subito capo ad una reazione accomuna questa nozione all'attuale concettualizzazione di metacognizione, tuttavia l'atto che ha luogo attraverso la metacognitive awereness non consiste nel pensare su pensieri, ricordi, emozioni. E' importante anche distinguere metacognitive awereness da metacognitive belief: Quest'ultima definizione si riferisce a quanto gli individui credono essere veri particolari pensieri circa la loro propira cognizione, al contrario la metacognitive awereness si riferisce alla misura in cui i pensieri , ad esempio, sono esperiti in quanto eventi mentali, piuttosto che come aspetti di se o rispecchiamenti della verità. Metacognitive insight invece si riferisce al modo in cui i fenomeni mentali sono esperiti nel momento stesso in cui sorgono, quindi la metacognitive awereness sarebbe una forma di metacognitive insight. Ancora la metacognitive knowledge implica invece il pensare ai pensieri come "diversi dai fatti" o il conoscere, intellettualmente, che il contenuto dei pensieri non sempre corrisponde allo stato del mondo.
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Mindfulness: rassegna sistematica sull'efficacia clinica
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Informazioni tesi
Autore: | Gianluca Maini |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Patrizio Tressoldi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 251 |
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