Dal punto di vista dei pubblicitari. I processi produttivi delle rappresentazioni di genere.
Pubblicità all'italiana
L’eterogeneità delle risposte ottenute alla prima domanda mostra uno scenario non facilmente decifrabile. L’assenza, in alcuni casi, della percezione dell’attualità del tema potrebbe far pensare a un’inesistenza del problema stesso. Tuttavia, la diffusione di immagini distorte e anacronistiche è riconosciuta dalla quasi totalità degli intervistati. Proseguendo con le domande è stato richiesto al campione di avanzare un giudizio sulle rappresentazioni di genere in Italia; questo secondo interrogativo era: come giudica la maggior parte delle rappresentazioni pubblicitarie di donne e uomini in Italia? Data la genericità di tale quesito, questo ha anticipato in parte le risposte a interrogativi specifici relativi alle immagini di genere maggiormente ricorrenti e ai cambiamenti in atto percepiti.
Dall’analisi delle opinioni, ciò che appare rilevante è la ridondanza di un aggettivo che va a caratterizzare la quasi totalità delle risposte a questo richiesta: stereotipata. CD7, rifacendosi alla teoria del modello culturale, afferma che questo genere di raffigurazioni non dovrebbero essere definite stereotipate, ma bensì “all’italiana”; si pone così anch’egli tra coloro che si orientano verso il presupposto concettuale secondo cui esiste una sola realtà a cui la pubblicità attinge, prelevando gli elementi simbolici e convenzionalmente definiti.
Entrando nel merito della valutazione data alla pubblicità italiana, i pareri non sono positivi. CD1 parla di «scarsa qualità» e dello stesso pensiero appare CD6, che giudica le raffigurazioni pubblicitarie italiane come «rozze e imbarazzanti. Non solo a livello di giudizio etico-sociale, ma anche a livello di efficacia comunicativa».
Ancora più forte è il giudizio di CD8 che, oltre a definire la pubblicità come uno strumento di discriminazione sessuale si discosta dall’idea secondo cui essa sia il riflesso della società:
Al di là della ricerca che ho fatto, che è stata fatta in modo molto laico, posso dire che, se prima era un impressione generica, ora posso affermare che in Italia la pubblicità non racconta le donne come racconta gli uomini e non rispecchia nemmeno la società. Quindi sì, la nostra pubblicità è complessivamente sessista.
Gli unici pareri che differiscono da queste posizioni e che non vedono quest’uso così smisurato di ritratti standardizzati, sono quelli di AS, di GM e CD5.
Questi rilevano come ad esempio il palinsesto televisivo sia nettamente più responsabile della trasmissione di certe convenzioni sociali rispetto alla pubblicità:
In realtà io credo che la pubblicità sia meno infetta da questo tipo di utilizzo rispetto alla televisione in genere. Quindi penso ci sia una situazione sobria con alcune cadute di stile che sono quelle che avviano questo tipo di discussioni, che vengono consumate durante la campagna e basta.
Simile è il punto di vista di AS, che esprime anche una più generale valutazione politica e sociale.
Secondo me, parte più dalla televisione, insomma l'aver avuto personaggi politici di un certo tipo non ha fatto bene alla società e se da lì scaturiscono le pubblicità, questa non è altro che la rappresentazione di quello che le persone vedono in tv o comunque di quello che vedono in giro.
A esclusione di queste tre opinioni divergenti, la centralità dei cliché nella pubblicità italiana risulta evidente per tutti; difatti, alla domanda: In termini percentuali, approssimativamente, quanto crede che pesino le immagini stereotipate e distorte di donne o uomini sul totale delle rappresentazioni pubblicitarie diffuse in Italia? E quali sono le più ricorrenti?, i valori dichiarati oscillano tra il 30% e il 100%, con una media percentuale del 71,6 sul totale di coloro che hanno espresso un valore.
Il dato più basso è riportato da AS, mentre si sono astenuti dal fare valutazioni percentuali GM e CD5, risultando così coerenti con quanto affermato in precedenza,
Da quello che vedo tutti i giorni io direi che, se metto da parte quello dell’intimo della donna, in un 30% non vedo rappresentazioni, come magari in passato, di stereotipi femminili forti, non so, la donna a casa piuttosto che il papà supermanager; anzi, in molte pubblicità, anche di mass market, si stanno invertendo anche i ruoli […] quindi c'è la mamma che non va più a fare la spesa, il papà che va a fare la spesa con il figlio piuttosto che famiglie separate, quindi vedo che sta un po' scemando.
Il valore più alto è stato comunicato invece da CEO1.
In base alla mia percezione, sembra che lavoriamo con i cliché di sempre, ci sono quei topos e basta. Nel mercato della pubblicità prodotta in Italia e per l’Italia, in quanto quella estera è difficilmente collocabile in Italia, direi il 100%.
Segue CD4 che indica un 95% di distorsioni.
A proposito dei ritratti maggiormente utilizzati, in risposta alla domanda: quali sono le immagini più ricorrenti?, le posizioni risultano abbastanza omogenee; relativamente alla raffigurazione femminile, le opinioni sono polarizzate verso due direttrici: la donna seduttrice con un corpo perfetto e la mamma casalinga che si dedica esclusivamente alla cura della casa e dei bambini. Per quanto riguarda il genere maschile, emerge principalmente la figura dell’uomo in carriera e dello sportivo capace di grandi imprese.
La donna è dipinta in due varianti: come classica donna di casa, mamma e moglie che si occupa di bambini e della casa, o come una seduttrice, come nei profumi e nel beauty in generale.
Per quanto riguarda gli uomini mi sembra che al 90% sia un uomo professionista, in carriera, affascinante, che sa quello che vuole, vedo sempre abbastanza dominante questa figura qui.
Sulla stessa linea è la visione di SMA:
Molto spesso la donna viene canonizzata o in donna sensuale, che valorizza il suo corpo, o donna in quanto madre; Per l’uomo lo scenario è più eterogeneo, c’è il lavoratore di successo o medio, il padre di famiglia, il marito, l’uomo sensuale e irraggiungibile. La donna rientra in stereotipi più definiti.
Alcuni individuano il ritratto di una donna più indipendente e impegnata: per CEO1, per esempio, essa è rappresentata come «casalinga, mamma di famiglia/business che deve fare tante cose insieme»; tale rappresentazione porta per alcuni intervistati alla proiezione di una donna meno femminile. CS afferma che una delle immagini più ricorrenti è quella della “donna maschilizzata” e sulla stessa linea è l’opinione di SPA, che afferma: «esistono anche delle rappresentazioni di donna più indipendente, ma un po’ meno donna, che diventa quasi mascolina nei suoi modi». Una cosa appare dunque chiara circa gli stereotipi utilizzati: salvo qualche eccezione, risultano essere sostanzialmente quelli della tradizione, «le pubblicità prodotte in Italia riportano immagini maschili e femminili identiche a quelle di cinquanta anni fa: l’uomo impegnato professionalmente e la donna che cucina, stira e si occupa della famiglia». Medesima pessimistica osservazione è quella di SPA, che, oltretutto, è l’unica che nota come in alcuni casi vi sia una posizione di subordinazione dell’uomo alla donna, anche se solo nel contesto delle mansioni domestiche:
Sembra che negli ultimi venti anni non ci sia stata nessuna evoluzione. Sembra che le donne siano o mamme o mogli o delle seduttrici e che gli uomini siano affascinanti, eppure, quando si tratta di faccende femminili, vengono trattati come degli idioti che devono aspettare il parere della moglie per uscire da un problema.
CD8, invece, puntualizza come ci si debba preoccupare di più del basso livello intellettivo con cui spesso viene raffigurata la figura femminile.
Allora, il cliché rispetto a quello che poteva essere una superficiale sensazione prima del lavoro da noi svolto era: “ah abbiamo la mamma e abbiamo tanto corpo”. Ora posso affermare che la mamma non è poi così tanta secondo i dati, quindi il problema è più sottile, come si rappresenta la donna sia nel corpo che nella testa; perché a volte è quasi più devastante la rappresentazione che si dà della testa della donna che dell’uomo.
Simile è la percezione di CD2, che vede come ridondante la proposta di una donna «un po’ stupida, non intelligente e non particolarmente brillante, non forte, attiva o con le palle».
Dall’analisi di questi punti di vista si può sostenere che non vi sono differenze a livello percettivo tra gli intervistati sulla base delle differenze di genere e professionali.
In entrambe le risposte risultano omogenee tra le variabili considerate; le uniche opinioni che si discostano dalla maggioranza appartengono a tre professionisti di cui due ricoprono ruoli strategici e uno creativo; tuttavia questi rappresentano il 50% tra coloro che svolgono la loro attività all’interno di agenzie di grandi dimensioni.
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Dal punto di vista dei pubblicitari. I processi produttivi delle rappresentazioni di genere.
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Informazioni tesi
Autore: | Serena Tomassetti |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2014-15 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze politiche, sociologia, comunicazione |
Corso: | Organizzazione e marketing per la comunicazione d'impresa |
Relatore: | Paola Panarese |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 129 |
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