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Luce dentro e Ombra fuori: Baltasar Gracián e la nuova saggezza moderna

Propedeutica all’eroismo e costruzione di sé

I primi capitoli de El Héroe (I-V) sono dedicati all’approfondimento di una serie di nozioni preparatorie alla realizzazione dell’ideale eroico. Difatti, in essi si indagano quelle fondamentali qualità, sia negative, sia positive, che devono coesistere in un uomo, affinché costui possa divenire compiutamente un héroe.
Significativamente, a capo di tale impianto teorico, Gracián pone una speciale arte, che meglio indagheremo nel corso del capitolo successivo, “del levare e del nascondere, una vera e propria cifratura tanto dei talenti quanto degli scopi”187. Il fine di questa negativa abilità di occultamento consiste, dunque, “in un paradossale non esercitare (il che è sommamente arduo: proprio perciò Gracián inizia con questi ammonimenti la sua trattazione)”188. Nello specifico, nel primo capitolo dell’opera (Que el héroe platique de incomprehensibilidades de caudal) il belmontino sostiene quanto sia importante non farsi conoscere a pieno nella propria grandezza, pur dandone allo stesso tempo un assaggio:
Gran treta es ostentarse al conocimiento, pero no a la comprehensión; cebar la expectación, pero nunca desengañarla del todo. Prometa más lo mucho, y la mejor acción deje siempre esperanzas de mayores. Excuse a todos el varón culto sondarle el fondo de su caudal, si quiere que le veneren todos189.
Orbene, in questo mostrare e, persino, ostentare il proprio potere e il proprio valore, senza tuttavia abbandonarsi all’altrui comprensione delle proprie potenzialità, risiede una delle chiavi per il successo mondano del varón maximo. Secondo Gracián, infatti, “la realidad del poder estriba en conocer otener las claves de lo que acontece para poder actuar sobre ello”190. Pertanto, riuscire a comprendere totalmente gli altri, negando ad essi la possibilità di penetrare sino al fondo de su caudal191, equivale a dominare senza mai rendersi domi: “Si el que comprehende señorea, el que se recata nunca cede”192. Questo particolare gioco di occultamenti permette, inoltre, al varón culto graciano di sembrare agli occhi della gente un ente infinito e, dunque, di godere anche del creditoe della stima che solitamente si tributano alle insondabili realtà divine:
Formidable fue un río hasta que se le halló vado, y venerado un varón hasta que se le conoció término a la capacidad; porque ignorada y presumida profundidad, siempre mantuvo con el recelo el crédito. […] Ventajas son de ente infinito envidar mucho con resto de infinidad. Esta primera regla de grandeza advierte, si no el ser infinitos, a parecerlo, que no es sutileza común193.
Da notare, poi, come il belmontino, per avvalorare la sua tesi, si appoggi sul topos classico del giusto mezzo, rappresentato dal detto “la metà vale più del tutto”194, che da Diogene Laerzio viene attribuito a Pittaco, uno dei sette savi della Grecia antica:
En este entender ninguno escrupuleará aplausos a la cruda paradoja del sabio de Mitilene: más es la mitad que el todo, porque una mitad en alarde y otra en empeño más es que un todo declarado195.
Nel primor successivo (Cifrar la voluntad196), Gracián concluderà il discorso sull’arte del celarsi, esortando il suo héroe a scoprire le intenzioni e i desideri altrui, riuscendo, allo stesso tempo, a mantenere segreti i propri. La vittoria a cui conduce l’esercizio di tale abilità viene ingegnosamente veicolata dall’immagine dell’assalto, che soltanto gli accorti sanno condurre, alla fortezza del caudal:
Arguye eminencia de caudal penetrar toda voluntad ajena, y concluye superioridad saber celar la propia.Lo mismo es descubrirle a un varón un afecto que abrirle un portillo a la fortaleza del caudal, pues por allí maquinan políticamente los atentos, y las más veces asaltan con triunfo. Sabidos los afectos, son sabidas las entradas y salidas de una voluntad, con señorío en ella a todas horas.197
In sintesi, neidue capitoli iniziali dell’opera, il belmontino fissa il primo punto cardinale dell’ideale eroiconella pratica della ocultación volitiva. Quest’ultima diviene una vera e propria prenda del varón máximo, il quale deve saper essere, allo stesso tempo, riconosciuto nella propria grandezza, “para estar así acreditado, y, permanecer […] desconocido en su intención (II) y sus límites (I)”198.
Il terzo primor è, invece, riservato all’entendimiento (di cui abbiamo già parlato nel paragrafo 2.2), che si configura come la qualità prima, poiché da esso derivano altre due doti fondamentali dell’eroe graciano: profondità di giudizioe altezza di ingegno. Queste, a loro volta, si articolano rispettivamente in sindéresis e agudeza:
Es el juicio trono de la prudencia, es el ingenio esfera de la agudeza199.

Abbiamo già visto come, per Gracián, la sinderesi corrisponda al perfetto esercizio critico della facoltà di giudizio. Ebbene, in maniera simile, l’acutezza, che “si esprime egualmente nella metafora, in un detto pungente, […] in un’azione o gesto”200, è la manifestazione diretta di un ingegno elevato201. Se, inoltre, il giudizio appartiene all’ambito del dire e dell’agire ponderati, l’ingegno, al contrario, è proprio delle parole e delle azioni improvvise, intuitive e non ragionate. Entrambe le doti, se riunite in un uomo, ne causano la perfezione:

Adécuase esta capital prenda (entendimiento) de otras dos: fondo de juicio y elevación de ingenio, que forman un prodigio si se juntan202.
Il varón máximo viene, perciò, concepito da Gracián sia come hombre juicioso, sia come hombre de buenos repentes203. Egli sa quando convenga affidarsi alla riflessione o quando, invece, all’intuizione. Detto ciò, l’acutezza, in quanto dote rivelatrice di un ingegno smisurato, è altresì dimostrazione di prontezza sia nel dire che nel fare:
Todo héroe participó exceso de ingenio. Son los dichos de Alejandro esplendores de sus hechos. Fue pronto César en el pensar, como en el hacer204.
Alla celebrazione della presteza o prontitud come virtù esibita da chi, con un detto o un fatto estemporanei, riesce a tirarsi fuori da situazioni complicate è dedicato, poi, il XV realce de El Discreto (Tener buenos repentes). In questo modo, ciò che Gracián preannuncia già nel terzo primor de El Héroe (“las prontitudes de ingenio […] alas son para la grandeza, con que muchos se remontaron del centro del polvo al del sol, en lucimientos”205), si completa con quanto, in seguito, il gesuita scrive nella sua terza pubblicazione:
No cabe artificio donde apenas la advertencia socorre la facilidad del concebir, donde no hay lugar para discurrir; y la felicidad del ofrecerse, donde no hubo tiempo para pensarse, ayúdase del señorío contra el ahogo y del despejo contra la turbación, y con esto, muy señora la prontitud de la dificultad y de sí misma, no llega, ve y vence, sino que vence y después ve y llega206.
Come si può notare dal frammento citato, alla felice riuscita di questi buenos repentes contribuisce un’altra qualità eroica strettamente connessa alla prontezza, ovvero il despejo207. Non si può, infatti, reagire istantaneamente alle circostanze più intricate, se non si è capaci di agire con disinvoltura e naturalezza. Nell’ottica del belmontino, despejo e prontitud crescono con l’esperienza. Di conseguenza, quante più difficoltà si incontrano, tanto più si ha la possibilità di rispondere tempestivamente e con successo ad esse:

Suele un aprieto aumentar el valor, así una dificultad, la perspicacia: cuanto más apretados hay algunos que discurren más, y con el acicate de la mayor urgencia vuelan; a mayor riesgo, mayor desempeño, que […] sutilizando el ingenio, engorda sustancialmente la prudencia208.
In questo modo, il varón máximo, una volta affinato il suo ingegno superiore, è capace, in quelle occasioni in cui ve ne sia bisogno, di pervenire alla risoluzione di un problema ancor prima di averlo pensato ed elaborato mentalmente. A ciò alluderebbe, quindi, il rovesciamento del celebre motto di Cesare (“no llega, ve y vence, sino que vence y después ve y llega”209) veni, vidi, vici, pronunciato, secondo Plutarco e Svetonio, al ritorno dalla fulminea e vittoriosa spedizione contro Farnace II del Ponto210. Ma l’esempio classico non si esaurisce qui, perché Cesare stesso, insieme ad Alessandro, vengono presentati da Gracián come modelli di hombres de buenos repentes. Il primo per essersi rialzato da un imbarazzo con un detto arguto, il secondo per aver risolto una questione complessa come quella del nodo gordiano, agendo in modo netto e tempestivo:
Merecieron ser primogénitos de la fama Alejandro y César: célebre fue el de aquél al cortar el nudo gordio y plausible el de éste al caer; a entrambos les valieron dos partes del (Asia e Africa rispettivamente) mundo dos repentes211.
Per quanto riguarda l’episodio del nodio gordiano, di cui Alessandro Magno si è reso protagonista durante la campagna in Asia Minore212, la fonte del belmontino è ancora una volta Plutarco:
In seguito, vinse quei Pisidi che gli si erano opposti e assoggettò la Frigia, e presa Gordio, che si dice fosse la abituale residenza dell’antico Mida, vide quel celebrato cocchio legato da corteccia di corniolo e venne a conoscenza di quella tradizione divulgata tra i barbari secondo la quale chi ne avesse sciolto il nodo sarebbe diventato il re del mondo (ovvero dell’Asia). La maggior parte degli storici afferma che Alessandro, non essendo in grado di sciogliere quel nodo perché i capi delle corde erano nascosti e tra loro aggrovigliati in più giri, lo tagliò con la spada213.
In modo strategico, Gracián restituisce soltanto questa versione della leggenda, mentre ne ignora completamente l’altra (riportata dallo stesso Plutarco nelle righe immediatamente successive214) secondo la quale Alessandro scioglie semplicemente il nodo. Per il gesuita, infatti, quel taglio netto rappresenta l’esempio perfetto di buon repente, non solo perché si configura come risposta istintiva, ma decisiva e ingegnosa, a uno scoglio apparentemente insormontabile, ma anche perché tale repente riesce d’un tratto a ribaltare il negativo in positivo, conducendo l’héroe al trionfo. In altre parole, secondo Gracián proprio nel taglio del nodo, e non nel suo scioglimento, sta la dimostrazione della grande prontezza e spigliatezza del Conquistatore, qualità, queste ultime, che gli hanno permesso di risolvere quel complicato groviglio, compiendo la profezia: sconfiggendo l’esercito di Dario, egli sarebbe poi divenuto effettivamente padrone dell’Asia, che i greci identificavano con il regno di Persia215.
Per ciò che concerne, invece, l’esempio cesariano, il belmontino si riferisce a un preciso evento della guerra civile romana (49 - 45 a.C.): lo sbarco di Cesare in Africa (46 a.C.), dove la fazione filopompeiana, in seguito alla sconfitta riportata a Farsalo e la morte dello stesso Pompeo (48 a.C.), si rifugia e si riorganizza ottenendo l’appoggio di Giuba, re di Numidia216. L’approdo alle coste africane del dictator non è accompagnato dal migliore dei presagi: Cesare, scendendo dalla nave, inciampa e cade rovinosamente a terra. Egli, però, reagisce subito al momentaneo disagio, dimostrando, tramite la parola, la stessa prontezza di riflessi alessandrina. Cesare, invero, esclamando «Teneo te, Africa!», proprio come se avesse voluto toccare di proposito il suolo per impossessarsene simbolicamente, riesce a trasformare in propizio217 un segno nefasto:

E quando, uscendo dalla nave, scivolò e cadde in avanti, esclamò, interpretando nel modo più ottimistico il funesto presagio: «Ora ti tengo, Africa! (“Teneo te, Africa!”)»218.
Successivamente, Gracián colloca il cuore al centro del quarto primor (Corazón de rey219) de El Héroe. Si tratta di qualche cosa di più che una semplice facoltà, visto che sembra delinearsi come una vera e propria potenza dell’anima senza la quale non brillerebbero le altri doti del varón máximo (“¿Qué importa que el entendimiento se adelante, si el corazón se queda?”220). Per Gracián, infatti, “los valores de la inteligencia y de la agudeza no eran suficientes en la constitución del héroe, toda vez que las hazañas provienen de un prodigioso corazón que sabe llevarlas a buen término”221. Peculiare caratteristica del gran corazón è, quindi, il rivolgere la mente e il corpo soltanto alle cose grandi:
Proceden grandes efectos de gran causa, y portentos de hazañas de un prodigio de corazón. Son gigantes los hijos de un corazón gigante; presume siempre empeños de su tamaño, y afecta primeros asuntos222.
Ora, possiamo notare come questa grandezza di cuore graciana risenta di un certo influsso aristotelico, in quanto la sua descrizione collima con ciò che lo stagirita afferma riguardo alla μεγαλοψυχία (“megalopsychia”):
[…] Magnanimo (“μεγᾰλόψῡχος”) è colui che si reputa degno di grandi cose, essendone effettivamente degno. […] Chi infatti è degno di piccole cose e di queste si reputa degno, è sensato, ma non magnanimo, giacché è nella grandezza che risiede la magnanimità, come anche la bellezza risiede in un corpo grande223.
Megalopsychia e gran corazón coincidono, dunque, con il concetto di magnanimità, che per Cicerone, in modo analogo, consiste “nella grandezza e fortezza di un animo sublime ed invitto”224. Sia in Gracián, sia in Aristotele, tale dote non solo funge da motore per tutte quelle virtù che il saggio riunisce in sé, ma è innanzitutto ciò che rende queste ultime veramente grandi (“La magnanimità sembra essere […] una sorta di ornamento delle virtù, giacché le rende più grandi e non ha luogo senza di esse”225). All’atto pratico, la magnanimità, che è alla base della grandezza dell’eroe, si esplica nel valore, coraggio e fermezza dimostrati in tutto ciò che si decide e in tutto ciò che si fa. Secondo il gesuita, giudizio e ingegno non hanno, infatti, alcuna utilità, se non si è anche capaci di difendere strenuamente le proprie idee e di inseguire con fervore i propri obiettivi. Ancora una volta, Gracián pone quali modelli da emulare Alessandro Magno e Giulio Cesare. L’archicorazón conferito al primo, in virtù della grande caparbietà dimostrata nelle numerose conquiste, è attributo anche del secondo:
Máximo, el de César, que no hallaba medio entre todo y nada226.

Si tratta, in questo caso, di un’allusione alla delicata vicenda dell’elezione di Cesare al pontificato massimo (63 a.C.), evento che, di fatto, segna l’avvio della sua ascesa politica. Nello specifico, il belmontino si concentra sulla straordinaria determinazione e convinzione con cui costui, non ancora quarantenne, affronta la campagna elettorale, che porta avanti indebitandosi fino al collo e rischiando la rovina227.
[…]



187 Antonio Allegra, “Appendice”, in Baltasar Gracián, L’eroe, ed. cit., p. 25. Cfr. Aurora Egido, Bodas de Arte e Ingenio…cit., p. 264.
188 Ibidem.
189 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., I, p. 1.
190 Pedro Cerezo Galán, El héroe de luto. Ensayos sobre el pensamiento de Baltasar Gracián, Institución Fernando el Católico. Zaragoza, 2015, p. 75.
191 Il termine caudal, assai ricorrente nelle opere di Gracián, si riferisce all’insieme delle capacità o virtù che sono proprie di un uomo, e che ne condizionano le aspirazioni. Cfr. Ciriaco Morón Arroyo, “Conceptos de Gracián: gusto”, Conceptos. Revista de Investigación graciana, 2, 2005, p. 57.
192 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., I, p. 2.
193 Ivi, pp. 2-3.
194 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi (a cura di Marcello Gigante), Laterza, Bari, 1962, I, IV, 75, p. 34.
195 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., I, p. 3.
196 Cfr. Baltasar Gracián, “Oráculo Manual”, ed. cit., aforisma 98, p. 259.
197 Ivi, II, pp. 6-7.
198 Pedro Cerezo Galán, El héroe de luto…cit., p. 75.
199 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., III, p. 12.
200 Antonio Allegra, “Parole Chiave”, in Baltasar Gracián, L’eroe, ed. cit., p. 149.
201 Cfr. Ibidem.
202 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., III, p. 11.
203 Cfr. Baltasar Gracián, “Oráculo Manual”, ed. cit., aforisma 56, p. 239.
204 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., III, p. 13.
205 Ibidem.
206 Baltasar Gracián, “El Discreto”, ed. cit., XV, p. 141.
207 Nell’ideale eroico graciano il despejo assume una grandissima importanza, tanto da meritare un primor autonomo, il XIII. Nel corso di questo capitolo, dopo aver definito il despejo come l’anima di ogni virtù, Baltasar Gracián (El Héroe. Edición Facsímil, ed. cit., XIII, pp. 73-74) approfondisce la questione, spiegandoci in che cosa esso consista (disinvoltura, spigliatezza) e cosa comporti (la buona riuscita delle azioni): “Consiste en una cierta airosidad, en una indecible gallardía, tanto en el decir como en el hacer, hasta en el discurrir”. […] Tienen su Lucina las acciones, y débesele al despejo el salir bien, porque él las parterea para el lucimiento.”
208 Baltasar Gracián, “El Discreto”, ed. cit., XV, p. 141.
209 Vedi nota 206.
210 Cfr. Plutarco, “Cesare”, in Vite Parallele, ed. cit., 50, 1 - 4, p. 421; Caio Svetonio Tranquillo, Vitedei Cesari, Club del Libro, Milano, 1962, I, 37, p. 56.
211 Baltasar Gracián, “El Discreto”, ed. cit., XV, p. 142.
212 Per ciò che concerne la campagna anatolica di Alessandro Magno, in cui il re macedone affronta la Persia di Dario III, si veda Hans-Joachim Gehrke, Alessandro Magno…cit., pp. 31- 44.
213 Cfr. Plutarco, “Alessandro”, in Vite Parallele, ed. cit.,18, 1 - 3, p. 75.
214 Scrive Plutarco (Ivi, 18, 4): “Aristobulo invece racconta che gli riuscì molto facile scioglierlo perché dal timone che teneva stretto il giogo egli sfilò la cosiddetta spina, e in tal modo estrasse il giogo.”
215 Per quanto riguarda la conquista della Persia e la concezione tipicamente greca dell’Asia, si veda Hans- Joachim Gehrke, Alessandro Magno…cit., pp. 45-54.
216 Cfr. Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, Storia Romana, Mondadori, Milano, 2011, p. 156-159; Adrian Goldsworthy, Cesare: una biografia, Castelvecchi, Roma, 2014, pp. 591-592; 597-598; Plutarco, “Cesare”, in Vite Parallele, ed. cit., 52, pp. 423-425.
217 Egli avrebbe, di fatto, trionfato in Africa, sconfiggendo l’esercito dei pompeiani (Catone l’Uticense, Quinto Cecilio Metello Scipione e Giuba) nella battaglia di Tapso (46 a.C.). Cfr. Giovanni Geraci, Arnaldo Marcone, Storia romana…cit., p.159; Adrian Goldsworthy, Cesare: una biografia…cit., 605-615. Plutarco, “Cesare”, in Vite Parallele, ed. cit., 53-54, pp. 425-428; Svetonio, Vite dei Cesari, I, 35, pp. 54-55.
218 Svetonio, Vite dei Cesari, ed. cit., I, 59, p. 73.
219 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, IV, p. 18.
220 Ivi, IV, p. 19.
221 Aurora Egido, Bodas de arte e ingenio…cit., p. 194.
222 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, IV, pp. 19-20.
223 Aristotele, Etica Nicomachea (a cura di Marcello Zanatta), ed. cit., IV, 7, 1123 b, p. 281.
224 Cicerone, I Doveri, ed. cit., I,15, p. 87.
225 Aristotele, Etica Nicomachea (a cura di Marcello Zanatta), ed. cit., IV, 7, 1124 a, p.283.
226 Baltasar Gracián, El Héroe. Edición Facsímil, IV, p. 20.
227 Cfr. Adrian Goldsworthy, Cesare: una biografia…cit., pp. 163-167; Ettore Lepore, “La decisione politica e l’auctoritas senatoria: Pompeo, Crasso, Cesare”, in Arnaldo Momigliano, Aldo Schiavone, Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Vol. 15 (L’egemonia di Roma), Einaudi, Milano, 2008, pp. 765-767.

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Informazioni tesi

  Autore: Leonardo Sacchini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Macerata
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue, culture e traduzione letteraria
  Relatore: Luciana Gentilli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 103

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