Hikikomori: la silenziosa adolescenza
Profilo dell'adolescente Hikikomori e la sua fuga dalla società
L’adolescenza è una condizione della vita umana, una fase di passaggio che tutti attraversano e a cui ci si espone a difficoltà esistenziali e quotidiane, dalla quale tuttavia scaturiscono vantaggi positivi. Il ponte che conduce a questa fase è l’infanzia, ovvero l’origine di questo percorso esistenziale che porta alla rottura con la condizione infantile, avendo inizio così la percezione della disgregazione della protezione genitoriale da ciò che c’è all’esterno, avendo così la possibilità di fare distinzione tra i sogni i rapporti reali.
Questo avanzamento di esperienza di vita, non modifica solo la percezione di se stessi e di ciò che circonda l’individuo, modifica il corpo, facendo assumere nuove fisionomie obbligando i ragazzi ad una nuova consapevolezza, ed è quella di essere diventati protagonisti della propria vita e delle scelte che ora potranno prendere per se stessi e per coloro con i quali si crea un legame.
L’adolescenza da un punto di vista psicologico, è uno stato che si manifesta con delle modalità che non possono corrispondere con quelle della vita adulta, ovvero, ci sono degli atteggiamenti adolescenziali che in un adulto sarebbero classificati come patologici, mentre invece in un adolescente sono di natura fisiologica.
I comportamenti adolescenziali esprimono una sofferenza che non si limita unicamente a quella individuale, andando a toccare anche la sfera familiare, esistenziale e sociale. Il problema comportamentale esibito dal giovane, non è altro che l’espressione sintomatica di un malessere della società a cui appartiene e della sua famiglia. Questi comportamenti adolescenziali, generano un disagio psichico non solo a chi li esprime ma anche alle persone che sono accanto, per questo negli ultimi anni Hikikomori sta diventando oggetto di studio e riflessione.
Il mezzo più efficace per comunicare la propria sofferenza è il corpo, ed è proprio questo che i giovani usano facilmente per trasmettere il proprio malessere. Esso è un mezzo efficiente che permette loro di attirare l’attenzione sulla propria esistenza e dare finalmente voce al silenzio.
Quando ci si sottrae allo sguardo altrui, ci si priva di ciò che gli altri scorgono di noi o ciò che presumibilmente vedono in noi, come per uno specchio, il quale riflette e restituisce la nostra immagine, il nostro essere.
Se la necessità di essere scorto diventa un attributo necessario per poter esistere, nel giovane Hikikomori avviene il contrario, conducendo la propria presenza ai limiti della sparizione agli occhi altrui, tuttavia proprio per questo il suo silenzio viene ascoltato.
Rinchiuso nell’intimità della propria camera che lo protegge dal resto della casa e l’esterno, il giovane tenta di dare un valore e un senso alla propria esistenza e quella altrui, dando vita ad un inevitabile rito che soffocherà se stesso e gli altri.
I giovani non riescono ad uscire fuori dalla propria stanza, che li protegge dall’esterno e da tutto ciò che ne comporta, arrivando a nascondersi per mesi o anni interi, incapaci di adoperarsi nell’ambito lavorativo, studiare o agire socialmente con gli altri, risultando estremamente spaventati da tutto ciò. I genitori sono ben disposti nel permettere ai figli di rimanere in casa anche ad un età avanzata, vista l’agiatezza economica che negli anni il Giappone ha costruito, pertanto non si pongono problemi quando devono pagare le spese che i ragazzi fanno su internet.
Tuttavia esiste un’altra spiegazione: il Giappone, nel corso degli anni, ha riconosciuto al mondo virtuale una dignità pari a quella della realtà, molti giovani si sono abituati a vivere una dimensione “altra”, ovvero virtuale. Non bisogna dimenticare che in questo paese è stato inventato il cane-robot, il tamagotchi, ovvero un cucciolo virtuale sul display che può morire se il padrone non si prende cura di lui come per un vero cagnolino.
La causa più comune di morte era la dimenticanza per un certo periodo di tempo di dare da mangiare all’animaletto che quindi poi moriva di stenti. Un'altra causa era quella di trascurare le sue ore di sonno, che se venivano a mancare, sopraggiungeva la morte.
Tuttavia il Tamagotchi poteva perire anche per malanni improvvisi e se non curati in tempo, spezzavano la sua vita. A quei tempi, molti giovani ma soprattutto i genitori che avevano acquistato il prodotto, possono ben ricordare i pianti dei loro bambini dovuti alla perdita del loro animaletto elettronico, il quale tuttavia, anche se era impossibile riportarlo in vita, bastava pigiare un pulsantino interno per resettare e così ricominciare da zero.
Il Giappone è frequentemente visto sia come uno dei paesi che incarnano la postmodernità, sia come un luogo che tuttavia rimane profondamente legato alle proprie tradizioni, seppur abbia dato dimostrazione di integrare a se elementi culturali esterni, assimilandoli alle tradizioni locali.
Anche se la nazione è uscita dilaniata dal secondo conflitto mondiale, ha saputo compensare ottenendo tecnologie e tecniche dai paesi vincitori a tal punto che, dopo gli anni Settanta e Ottanta, è divenuto uno dei primi paesi simbolo per lo sviluppo di tecnologie avanzate. Questa crescita ha mutato la visione dell’immaginario degli occidentali, i quali non vedono più il Giappone come culla dei samurai, ma come la nazione madre dei microprocessori, computer, videogiochi e robot.
La cultura Giapponese in questo caso sembra essere divisa in due: da un lato si ha una ostentazione di una cultura ben definita, dai forti valori che l’hanno sempre caratterizzata; dall’altra si ha una trasformazione che si basa su influenze esterne, una ridefinizione che si cerca di dare per sperimentare forme di convivenza originali tra comportamenti e mentalità differenti.
La visione ambigua che alle volte si ha nella percezione esterna come schizofrenia culturale, viene raffigurata in modo efficace dagli articoli della popular culture, ovvero, fumetti, cinema, disegni animati e romanzi di consumo.
La cultura pop dunque si rivela essere un ottimo strumento rivelatore di tendenze, di mode, ambiguità e sensazioni della società, in particolar modo per le generazioni più giovani.
Queste innovazioni legate al modo di vedere e pensare, si riflettono nell’immaginario, ove attecchiscono rappresentazioni sociali e si formano gli archetipi dell’esperienza umana. Ed è proprio in questo immaginario che giapponesi generano quel che poi è divenuto uno degli emblemi più significativi dell’animazione giapponese, ovvero, i robot. Esso non viene visto principalmente come mezzo per raggiungere possibilità utopistiche, quanto invece come un luogo per elaborare il vissuto, il quale si riflette sull’esperienza del confronto della tecnologia occidentale e della bomba atomica. Se si considera sotto quest’ottica dunque, il robot acquisisce un simbolo di difesa più che di trasformazione.
Dunque il rinchiudersi nella propria stanza diventa la malattia che palesa una generazione esposta e resa ansiosa dall’eccezionale progresso tecnologico, rendendola vulnerabile.
Il governo ha preso la questione molto seriamente e viene considerato Hikikomori chi vive in isolamento per più di sei mesi, basandosi sui primi studi fatti sul fenomeno.
Tamaki Saitō nelle sue ricerche afferma che chi soffre di questo disagio, mostra una serie specifica di sintomi che non si riscontra in nessuna patologia mentale nota e vede come fattori scatenanti il ritiro gli elementi culturali, la famiglia, e le relazioni di genere.
Sono noti casi in cui i soggetti non hanno rapporti nemmeno con i membri della propria famiglia, vivendo in uno stato invertito di sonno-veglia.
Tamaki Saitō identifica una serie di sintomi, tra cui come basilari, il ritiro dalla società, l’angoscia per l’ambiente scolastico e la conseguente fuga da ogni relazione con l'esterno. Altri secondari, che si manifestano successivamente rispetto al ritiro e che attivano un circolo vizioso che infine produce un anomalia sociale.
Ci sono anche casi più critici dove l’Hikikomori si rifiuta di uscire dalla propria stanza per lavarsi o nutrirsi, richiedendo che il cibo sia portato e lasciato di fronte la porta della propria camera, rimanendo sveglio solitamente la sera, dove si intrattiene con i videogiochi, la lettura dei manga o navigando su internet dove per lui è possibile crearsi una nuova identità virtuale, iniziando a chattare sviluppando così amicizie online.
Gli Hikikomori tuttavia possono sfruttare un altro elemento pur di non interagire con la famiglia durante i pasti, recandosi nei Konbini, ovvero, dei piccoli supermercati aperti 24 ore su 24, nei quali acquistano cibi precotti da consumare nella propria stanza, ormai divenuta un rifugio da opporre dall’ambiente esterno in cui si è costretti a vivere, un luogo dove non corrono rischi dal punto di vista relazionale, dal quale si rifiuta ogni tipo di contatto.
Il fuori, ovvero Soto, viene percepito come un ambiente debilitante e insostenibile; il dentro, Uchi, viene inteso come la propria stanza, un luogo pacifico che offre una libertà impossibile da esprimere e percepire altrove.
Il senso di vergogna sparisce, arrabbiarsi è consentito e non si ha più il timore di essere rifiutati.
La schizofrenia non è da attribuirsi allo stato di Hikikomori, poiché sono assenti allucinazioni, deliri e nonostante l’assenza di comunicazione, è possibile determinare ciò che il soggetto desidera o contro cui protesta.
Gli adolescenti che vivono in questa condizione, assumono una posizione disinteressata nei confronti nel mondo, tuttavia non presentano sentimenti di inadeguatezza dalle critiche e dalle paure che ne comportano, come per il disturbo evitante di personalità, con il quale i medici giapponesi, hanno tendenza ad assimilare i soggetti Hikikomori.
Ciò può essere definita come “anoressia sociale”, dove i soggetti Hikikomori adottano uno stile di vita caratteristico, nel quale questi giovani adolescenti, decidono volontariamente una esistenza di reclusione nella quale la realtà virtuale diventa un nuovo mondo, sostituendosi a quella reale. La rete dunque assume una posizione comunicativa non indifferente, nella quale è probabile che gli adolescenti Hikikomori possono crearsi un’identità specifica anche se fittizia.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Hikikomori: la silenziosa adolescenza
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Informazioni tesi
Autore: | Patrizia Leoni |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2016-17 |
Università: | Università Telematica Internazionale Uninettuno |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia |
Relatore: | Massimo Squillaciotti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 87 |
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