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La mediazione linguistico-culturale nella gestione dei conflitti penali e della giustizia.

Problemi specifici dell’interpretazione in ambito giudiziario

Il primo fattore che rende più difficile l’interpretazione in ambito giudiziario è il setting (impostazione, regolazione). Rispetto ad altri contesti, ad esempio quello medico o commerciale, in quello giudiziario è fortemente regolamentato, e lo è per quanto riguarda sia i comportamenti, che il linguaggio di tutte le persone coinvolte nel processo in tutte le sue varie fasi.

Questa forte regolamentazione riguarda chiaramente anche l’interprete. È stabilito non soltanto dove deve stare, quando deve parlare, come deve comportarsi e così via, ma viene specificato (in codici deontologici, linee guida, e norme di tribunali, istituzioni, associazioni professionali) perfino il modo in cui l’interprete deve tradurre.

Quasi sempre si richiede che la sua traduzione sia ‘fedele’; Anna Caterina Alimenti, parlando delle norme etiche a cui deve attenersi il mediatore giuridico in Italia, sottolinea questo assoluto dovere di ‘fedeltà’ nella traduzione: “Un primo dovere è quello di scrupolosa fedeltà. Non dovremo enfatizzare quanto detto dallo straniero, magari aggiungendo qualche parola nostra, od al contrario sminuirne il significato, omettendo qualche frase. Un errore in cui incorrono molti mediatori è quello di far parlare a lungo l’imputato od il testimone, per poi riportare soltanto un riassunto. L’interprete di tribunale deve invece sempre ricordare che una frase che lui giudica insignificante può successivamente rivelarsi molto importante all’interno di un processo. Persino su una parola, a volte, si decide la libertà altrui. Egli non può quindi aggiungere né togliere nulla, anche se ciò è molto difficile, visto il modo disordinato e pressante in cui normalmente si lavora”.

Quindi si può notare che il setting giudiziario, fortemente regolamentato e perfino intimidatorio, indubbiamente crea delle difficoltà aggiuntive per il mediatore, anche a causa del fatto che, viene stabilito come deve essere eseguita la traduzione, anche se ormai vi sono molte voci che criticano questa impostazione.

Un altro aspetto di cui tenere conto è che il mediatore giuridico non deve soltanto tradurre il linguaggio giudiziario, utilizzato di solito soltanto dalle figure professionali nel sistema giudiziario come giudici, magistrati, avvocati, poliziotti e così via, ma anche il linguaggio di altre figure quali: l’imputato e i testimoni, che usano spesso versioni non-standard di una lingua.

L’interprete deve tradurre ‘fedelmente’ tutto ciò che viene detto dalle persone presenti, rendendo fattori come livello sociale, livello d’istruzione, registro, stile, (comprese le parole tabù, elementi non-verbali e così via). Sono tutti fattori questi che influenzano il mondo in cui vediamo una persona e aiutano a determinare il suo livello di credibilità. Susan Berk-Seligson, linguista statunitense, nella sua analisi di processi svolti negli Stati Uniti con l’aiuto di interpreti per la lingua spagnola, ha osservato come nella realtà l’interprete spesso non traduce in modo corretto questi fattori e come, in un sistema avversativo come quello americano, il modo in cui l’interprete traduce può fortemente influenzare la giuria. Esistono numerosi dialetti e sotto-dialetti in Italia, e perfino molti italiani hanno grosse difficoltà quando si trovano a dover affrontare ‘parlate’ di un’altra regione.

Quanti interpreti giudiziari sono in grado di capire e poi rendere le varianti del dialetto barese (inintelligibili a quasi tutti gli italiani) in inglese, o in italiano lo scouse (il famoso dialetto di Liverpool, inintelligibile anche a quasi tutti gli inglesi)?

Quanti sono a conoscenza delle tante varietà di inglese parlate in Africa o nel sub-continente indiano per quanto riguarda registro, stile, parole tabù, elementi non-verbali, e così via. Se il l’interprete deve, in teoria, rendere tutti questi elementi senza aggiungere o omettere niente, è fondamentale che in questo ambito, più che negli altri, abbia un’ottima conoscenza di molte varietà della stessa lingua.

Esiste un altro problema che crea delle grosse difficoltà agli interpreti giudiziari. In una situazione dialogica i partecipanti di solito collaborano tra di loro, cercano non soltanto di farsi capire, ma anche di capire gli altri. In ambito giudiziario questa collaborazione spesso non esiste affatto. Lo scopo non è tanto quello di far emergere la verità, quanto quello di vincere. In sistemi avversativi come quelli di tipo anglosassone non solo non vi è nessuna collaborazione tra le due parti, ma spesso l’accusa (poliziotti/magistrati) cerca di far dire all’accusato/imputato ciò che vuole l’accusa stessa, utilizzando negli interrogatori tutta una serie di accorgimenti che possono essere anche molto aggressivi (classiche scene di interrogatorio con domande ‘sparate’ in rapida successione).

Questo tipo di interrogatorio è stato osservato anche in Svezia. Il pubblico ministero, per cercare di dimostrare che l’imputato mentiva, poneva domande brevissime e incalzanti, creando notevoli difficoltà per l’interprete. È interessante notare come in testi autorevoli, destinati a chi vuol diventare interprete in ambito giudiziario o deve lavorare con interpreti giudiziari non vi sia alcun riferimento a modalità per affrontare questo tipo di situazione.

L’atteggiamento definito di ‘non-collaborazione’ è stato sottolineato anche dal giudice che presiede la commissione incaricata di migliorare la qualità della mediazione giudiziaria nello stato del Wisconsin negli Stati Uniti. Proprio questa ‘non collaborazione’ tra le parti può essere il motivo principale delle difficoltà incontrate dagli studenti durante le simulazioni di situazioni giudiziarie in sede d’esame. La ricerca sulla mediazione non si è finora occupata di quest’aspetto. E’ facile intuire comunque come quest’atteggiamento della ‘non-collaborazione’, possa rendere il lavoro dell’interprete estremamente difficile e faticoso.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La mediazione linguistico-culturale nella gestione dei conflitti penali e della giustizia.

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Informazioni tesi

  Autore: Rossella Cotellessa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Mediazione linguistica e comunicazione interculturale
  Relatore: Corinne Del Re
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 116

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Parole chiave

mediazione penale
linguaggi settoriali
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la lingua del diritto
la mediazione linguistica nei tribunali
linguaggio giuridico
giuristi-linguisti

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