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Le seconde Camere in Italia e in Belgio

Primi segnali di crisi dei rapporti inter-etnici e prime revisioni costituzionali

Il neocostituito Regno del Belgio veniva a configurarsi come uno Stato fortemente francesizzato: la conoscenza della lingua francese era condizione necessaria per entrare a far parte delle élites del Paese e per salire la piramide sociale, mentre il regime elettorale censitario impediva qualsiasi tipo di ricambio delle classi dirigenti. Tutto questo però “non sfociò nella assimilazione totale della popolazione fiamminga o nella accettazione da parte di quest’ultima di uno stato unilingue e monoculturale. […] Dall’altra parte della frontiera, in Olanda, una lingua affine ai dialetti fiamminghi, l’olandese, offriva, infatti, un modello linguistico e culturale alternativo a quello francese”.

Verso la fine del XIX secolo, la popolazione neerlandese acquisì sempre più consapevolezza della propria identità e cominciò ad opporsi alla “francesizzazione” dello Stato. Gli intellettuali a capo del c.d. “movimento fiammingo” si occupavano fondamentalmente della questione della disparità sociale tra le lingue usate nel Paese. Il movimento tentava di promuovere il diritto del popolo fiammingo ad utilizzare il neerlandese come lingua del governo, dell’istruzione, del commercio e dell’esercito.

Sulle pressioni di tale movimento iniziò a svilupparsi la c.d. “legislazione linguistica”, e cioè una serie di provvedimenti normativi sull’uso delle lingue: nel 1873 fu approvata una legge che prevedeva l’uso del neerlandese nei Tribunali della parte fiamminga del Paese; nel 1878 fu esteso ai rapporti con le pubbliche amministrazioni; nel 1890 la conoscenza del fiammingo fu resa obbligatoria per i funzionari pubblici che prestavano servizio nelle Fiandre e infine, nel 1898, il neerlandese venne finalmente riconosciuto lingua ufficiale dello Stato accanto al francese.
Parallelamente alla legislazione linguistica, un secondo processo di riforma contribuì a modificare il quadro delle relazioni tra le due comunità etnico-linguistiche: si tratta della prima revisione della Costituzione belga del 1893, che prevedeva un allargamento del suffragio e una modifica dell’assetto bicamerale.

La riforma del 1893 riconosceva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi con il sistema del voto plurimo: l’elettore, in base al grado di istruzione, ai beni di proprietà posseduti, alle tasse pagate o alla carica pubblica ricoperta, poteva avere diritto a un massimo di due voti supplementari. L’ampliamento del suffragio, benché “corretto” dal sistema del voto plurimo, costituì un fattore fondamentale ai fini dell’esaurimento dell’egemonia politica esercitata dalla borghesia francofona.

Per quanto riguarda il sistema bicamerale, la riforma costituzionale del 1893 prevedeva per il Senato una modifica sia per quanto riguarda la composizione, sia per quanto riguarda i criteri di eleggibilità. Veniva introdotta una nuova categoria di senatori, i senatori provinciali, eletti indirettamente dai Consigli provinciali per un numero variabile da 2 a 4, in misura dell’ampiezza demografica della Provincia. Tali senatori non erano sottoposti ad alcuna condizione di censo. Il censo rimaneva invece invariato per i senatori eletti e il numero rimaneva la metà di quello dei deputati, senza contare i senatori provinciali e i figli maschi maggiorenni del Re, i quali, in base al nuovo art. 58 Cost., divenivano senatori di diritto.

Le istanze regionaliste che si erano sviluppate nella seconda metà dell’800 a partire dalla questione linguistica propugnata dal movimento fiammingo andarono esaurendosi con lo sviluppo della legislazione linguistica. Nel periodo tra le due guerre la questione regionalista conobbe un momento di relativa stasi, in cui i Governi di unità nazionale proseguirono con il processo di equiparazione del neerlandese al francese all’interno delle istituzioni pubbliche.

Progressi si ebbero invece dal punto di vista del suffragio e dell’assetto bicamerale con la seconda revisione Costituzionale del 1920-21. La riforma prevedeva infatti l’introduzione del suffragio universale maschile e sostituiva il meccanismo del voto plurimo con il sistema proporzionale.

Per quanto riguarda la Camera alta venivano introdotte diverse novità. Alla classica lista dei criteri di eleggibilità dei senatori (come l’essere nato in Belgio o l’aver compiuto i 40 anni di età) veniva aggiunto un nuovo vincolo, che prevedeva la possibilità di candidarsi a senatore solo per chi avesse fatto parte di almeno una delle 21 categorie elencate nel nuovo articolo 56bis della Costituzione: per candidarsi diveniva necessario far parte dell’ élite politica, socio-economica o intellettuale del Paese (erano quindi passibili di elezione ex ministri, ex deputati, ex consiglieri provinciali, ex sindaci e consiglieri locali, direttori generali, proprietari ed usufruttuari di beni immobili situati in Belgio, capi di imprese industriali, capi di società cooperative o di sindacati ecc.).

Il numero dei senatori eletti rimaneva pari alla metà del numero dei deputati mentre il numero dei provinciali veniva aumentato a 40. Veniva poi introdotta la categoria dei senatori cooptati, ossia eletti secondo il sistema proporzionale dai senatori elettivi e dai provinciali, nel numero di un senatore cooptato ogni due elettivi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le seconde Camere in Italia e in Belgio

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Informazioni tesi

  Autore: Valeria Savarese
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Salvatore Bonfiglio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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