La Corporate Governance degli enti del terzo settore
Posizioni e ruoli. Differenze tra proprietà e management
Le relazioni che intercorrono tra proprietà e manager vanno analizzate strutturalmente studiando a fondo il rapporto che intercorre tra proprietà del capitale e titolarità del potere di governo. Occorre anzitutto fare una opportuna distinzione tra soggetto giuridico e soggetto economico.
Il soggetto giuridico è colui che detiene la possibilità di dettare obiettivi e linee strategiche dell’impresa, mentre il soggetto economico è colui (o coloro) che esercitano un potere volitivo rappresentando il centro decisionale, fissando gli obiettivi e le conseguenti attività per raggiungerlo, nel caso in cui esso sia una persona giuridica pubblica l’impresa si definirà pubblica, se invece la persona giuridica è una società per azioni il soggetto economico sarà la persona fisica o giuridica che controlla la società.
Ne deriva che qualunque natura abbia il soggetto economico esso legittima il suo potere dalla titolarità dei diritti di proprietà sufficienti a garantire il controllo di voto nelle assemblee.
Il volto delle imprese si è molto modificato nel corso degli ultimi anni e la sola titolarità dei diritti di proprietà non consente un efficace controllo dell’impresa, a maggior ragione li dove non vi è il governo di un solo imprenditore ma di un insieme di persone.
La creazione di strumenti di regolazione, come le azioni senza diritto di voto, le soglie di sbarramento e i patti sindacali, contribuiscono a complicare un quadro già di suo molto complesso nella determinazione delle posizioni e dei ruoli per il governo di impresa.
Il soggetto giuridico invece detiene, all’interno della società, il potere di governo dell’impresa attraverso ruoli formali e responsabilità all’interno degli organi direttivi, il tutto regolamentato dallo statuto dell’ente.
Tale soggetto ha la facoltà di esercitare egli stesso il governo dell’impresa o di delegare a terzi (scelti da lui) tale compito; è evidente però come tali soggetti non possono stravolgere decisioni che sono già state assunte dalla direzione guidata dal soggetto economico.
Abbiamo già visto nel paragrafo precedente come a volte soggetto economico e soggetto giuridico possano coincidere con la stessa persona, nel caso dell’impresa individuale; al crescere dell’impresa invece tale sovrapposizione viene meno in quanto il capitale di rischio viene frammentato fra più investitori, questo accade, ad esempio nelle società a nome collettivo o ancora di piu nelle società per azioni.
Il capitale conferito viene distinto in capitale di comando e capitale controllato.
Il primo è la quota conferita dal soggetto economico che gestisce e controlla l’impresa e che manterrà il controllo della società.
Il secondo invece è quella quota conferita dagli soggetti, di minoranza, che non partecipano direttamente alla gestione.
Il nodo sulla legittimazione del potere all’interno dell’impresa permane ed è controverso; bisogna infatti analizzare con attenzione l’attribuzione alla proprietà di un ruolo più o meno rilevante nel governo dell’impresa.
Il codice civile non aiuta, infatti lo stesso articolo 832 identifica il proprietario come colui che detiene diritti e azioni ma non titolare dell’impresa stessa. Tali diritti possono comunque essere distinti in due aree: diritto dell’esercizio di controllo sull’impresa e diritto di appropriarsi del risultato residuale di gestione.
Ne deriva che, in via preliminare, sembra prevalere il concetto secondo il quale la titolarità del capitale di rischio legittima la proprietà nell’esercizio del controllo dell’impresa sia come capacità di indirizzo relativamente alle scelte strategiche da adottare sia verso il conseguimento degli obiettivi prefissati.
Tale teoria è avallata nel concreto dall’alto rischio a cui sono esposti i soggetti titolari del capitale di impresa che diversamente a tutti gli altri stakeholder, non possono negoziare la propria prestazione e il relativo compenso.
Giova ricordare, infatti, che tutti gli altri attori che gravitano attorno all’impresa sono, a vario titolo, contrattualizzati con la stessa; all’interno del contratto saranno presenti clausole, prestazioni e controprestazioni che regoleranno il rapporto, compreso il relativo compenso. La remunerazione del lavoro o della prestazione non è soggetta a remunerazione residuale ma a compenso fisso sancito all’interno del contratto.
La mancata “remunerazione fissa” del titolare di impresa, il quale viene ricompensato attraverso il meccanismo residuale, espone maggiormente quest’ultimo (unitamente ad eventuali altri azionisti o soci) al c.d. “rischio impresa”.
È anche vero però che se il concetto di legittimazione di impresa fosse solo il capitale sociale conferito all’interno dell’azienda si rischia di includere nel governo di questa anche i finanziatori in capitale di credito e i prestatori di lavoro.
È chiaro però che nella realtà i titolari del potere non sempre sono in grado o disponibili ad accettarlo; infatti il proprietario può svolgere il ruolo di imprenditore, di azionista, di comando del soggetto economico, può anche essere azionista di minoranza.
Ne deriva che la legittimazione a governare, a parte il caso dell’impresa individuale dove i soggetti coincidono, spetta alla proprietà nel senso generico del termine ovvero a quei soggetti, anche in forma associata, di cui solo una parte detiene il capitale di comando e governa, il resto sono normali investitori su cui non ricade l’intero rischio aziendale.
È bene sottolineare come a volte la proprietà può disinteressarsi della gestione o ancora come essa possa essere estremamente frazionata; tali impedimenti non permettono una corretta individuazione del soggetto detentore del capitale di comando; nel primo caso il possesso del capitale di comando deve necessariamente essere associato a una precisa volontà di esercitare il governo dell’impresa nel caso in cui tale condizioni non è presente la proprietà può non esercitare il potere che ne deriva ed affidarlo a terzi; nel caso invece dell’estrema frammentazione del capitale gli azionisti si troveranno ad eleggere gli amministratori ma non a sceglierli con la conseguenza che l’organo di governa viene deciso dal management in carica.
Giova spiegare qui, cosa intendiamo per management.
Esso rappresenta la categoria dei soggetti che risultano controllati direttamente dal soggetto economico (espressione della proprietà) e che sono legati all’impresa da un rapporto di lavoro.
I manager fanno capo ai centri decisionali; si possono individuare tre livelli gerarchici di rilevanza decisionale:
- Top Management. A questo livello i manager esercitano funzioni di indirizzo strategico e di coordinamento;
- Middle management. Le decisioni assunte a questo livello hanno per oggetto o un’area funzionale o una divisione di impresa;
- Management esecutivo. Traduce in azioni attuative le direttive dei livelli gerarchici superiori.
Può anche accadere, all’interno del ciclo di vita aziendale, che all’interno del vertice aziendale non sia presente il detentore del capitale di comando.
Possono a questo punto configurarsi due casi:
- Caso A. Assetto aziendale con presenza e partecipazione a livello del top management della figura dell’imprenditore/proprietario con gestione e organizzazione diretta dei beni di proprietà dell’impresa;
- Caso B. Presenza del manager/funzionario con separazione sia tra proprietà e direzione sia tra rischio impresa e remunerazione.
Tra questi due casi, che possiamo allocare agli estremi opposti, troviamo una serie di soluzioni intermedie le quali contemplano sia la presenza di un ristretto numero di manager sia la proprietà all’interno del board.
I problemi relativi al controllo esercitato dalla proprietà sull’organi di governo possono essere risolti o ex ante o ex post.
Nel primo caso la proprietà si può inserire all’interno dell’organo di governo influenzandone le decisioni nel secondo caso invece può instaurare particolari relazioni con l’organo stesso assicurando un controllo sull’operato.
È evidente come, nel caso di controllo ex post, il potere viene esercitato in maniera indiretta attraverso la nomina e l’eventuale revoca dei membri dell’organo di governo.
In quest’ultimo caso quindi, con la proprietà fuori, le modalità di pressione sul board aziendale possono essere di due tipi: partecipativo, attraverso i voti dei soci o coercitivo impugnando gli atti da esso emanati.
Nei casi limite ove vi è una netta e marcata separazione tra proprietà e organo di controllo la proprietà può trovarsi impossibilitata nella capacità di destituire il board.
Questo brano è tratto dalla tesi:
La Corporate Governance degli enti del terzo settore
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Informazioni tesi
Autore: | Andrea Bruno |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli Studi di Catania |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali |
Relatore: | Rosario Faraci |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 90 |
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