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L'Islam al governo in Turchia: l'impatto politico del Refah Partisi e il processo del 28 febbraio

Populismo, pragmatismo ed attivismo radicato nella comunità: l’organizzazione del Refah Partisi

Gli intellettuali e gli elettori della sinistra repubblicana si lamentano spesso delle imam-hatip okullari, le scuole per imam e predicatori, spesso gestite da enti religiosi di stampo radicale quali la loggia Fethullaçi e i Sufi Naksibendi. Secondo loro raccoglierebbero i giovani privi di mezzi e, tramite la concessione gratuita di alloggi e un supporto economico agli studi, praticherebbero un violento lavaggio del cervello, trasformandoli tutti in biechi Mucaeddin pronti a rovesciare la repubblica. La realtà è che l’assistenzialismo di matrice religiosa è una delle forme di vita comunitaria più radicate in Turchia, i cui diversi aspetti influenzano la quotidianità delle persone non diversamente, e sicuramente non meno, di come facciano le parrocchie con buona parte delle famiglie italiane.
In questo fertile humus fatto di incontri tra famiglie ed in moschea, scuole coraniche, istituti gestiti da logge Sufi e soprattutto forte spirito comunitario, ha messo radici l’organizzazione del RP, progettata per compenetrare la società sin dai livelli più basilari, e per affiancare nel loro lavoro – senza scalzarle – le associazioni comunitarie islamiche. Si parla addirittura di rappresentanti di condominio, di strada (sokak) e di via (cadde, l’equivalente dell’inglese avenue) sottoposti ad un ufficiale di quartiere, responsabile nei confronti di un ispettore, che risponde ad un presidente di distretto, a sua volta controllato da un consiglio provinciale, composto da 50 membri regolari e 50 riserve. Lo stesso schema si ripeteva a livello nazionale, ed aveva al vertice il capo del partito, Necmettin Erbakan. All’interno della piramide, differenze d’età corrispondevano spesso a differenze di incarico. Se in cima alla piramide, a dirigere i comitati nazionali e provinciali sedeva gente relativamente anziana – si parla di sessanta-settantenni, spesso proveniente da importanti carriere nell’ambito dell’industria o del mondo accademico, lo strato intermedio, i dirigenti cittadini e i membri dei comitati provinciali, era composto da persone di mezza età, fungendo da filtro contro l’estremismo dottrinale della base, fatta di attivisti spesso fortemente radicali, compresi tra i 20 e i 35 anni, addetti ai più basilari ruoli di copertura locale e proselitismo.
Questa macchina cresciuta di anno in anno dai tempi del MNP, penetrò profondamente nella vita di ogni quartiere di ogni città della Turchia, comportandosi anche appena dopo le trionfanti elezioni locali del ’94 “come se il giorno dopo si dovessero tenere delle altre elezioni”.
I rappresentanti di quartiere del Refah nominavano almeno tre responsabili per ogni circoscrizione elettorale (ballot box), informati sul numero di possibili elettori ed incaricati di spronarli ulteriormente al voto (anche così si è raggiunta la cifra record di affluenza alle urne dell’85% nel 1996 ). Questo attivismo sempre in movimento, ancora più stupefacente se confrontato con l’inesistenza all’atto pratico degli altri partiti sul territorio, era affiancato dalle iniziative populiste dei sindaci Refah: distribuzioni dei beni più vari (carbone in inverno, cibo durante il Ramazan, vestiario, zuppe ed addirittura soldi e monete d’oro in certi quartieri di Istanbul), pagamento per cerimonie di circoncisione e matrimonio religioso, svendite di pane a metà del prezzo, e ad Ankara da una serie di “ultra mega progetti” (nelle parole dello stesso sindaco), come l’elettrificazione di villaggi sperduti e la costruzione di case popolari , completamente finanziate da privati. Ma il Refah fu capace di attirare a sé nuovi elettori anche e sopratutto con iniziative dal carattere meno “quantitativo”. I suoi rappresentanti, dal condominiale al nazionale, ricevevano precise direttive sul modo di vestirsi e di comportarsi, ad esempio salutando con formule dal carattere più formale (selam aleikum in luogo del più comune merhaba), praticando abitualmente visite di cortesia, recando doni ed interessandosi attivamente della vita e delle famiglie dei propri vicini-elettori, contribuendo spesso a risolvere piccoli problemi di carattere economico e sociale: in una società così pervasa da simbolismi e piccoli rituali come quella turca, simili comportamenti sono il logico corollario del panem, più che gli stessi circenses.
In modo simile, ai sindaci era richiesto di intraprendere precise politiche “morali”, basate su una visione etica dichiaratamente islamica. Notevoli, da questo punto di vista, certe iniziative come la volontà di chiudere i bordelli di Istanbul da parte di Recep Tayyip Erdogan, dei sindaci di Ankara e Konya.

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L'Islam al governo in Turchia: l'impatto politico del Refah Partisi e il processo del 28 febbraio

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Informazioni tesi

  Autore: Niccolò Fattori
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze internazionali e diplomatiche
  Relatore: Marcella Emiliani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 53

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