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Una lettura psicoanalitica della guerra: le implicazioni della scissione

Perché la guerra? Carteggio fra Einstein e Freud

In “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte” (1915) Freud aveva cercato di aprire gli occhi sul comportamento, ritenuto incivile, di così tanti concittadini del mondo durante la prima guerra mondiale: la delusione si fondava su un’illusione, alla quale tutti si erano abbandonati ciecamente. L’illusione era che, con il progresso della civiltà, l’uomo fosse moralmente progredito. In realtà con la guerra l’uomo non cade in basso quanto ci verrebbe naturale supporre, e ciò per il semplice fatto che non ha mai raggiunto le altezze che immaginavamo (Freud, 1915).

Come ci rappresentiamo, infatti, il processo mediante il quale un singolo essere umano sia giunto tramite la società ad un più elevato livello etico? La trasformazione delle pulsioni che chiamiamo “cattive” (comprese in realtà fra i moti primitivi, che non sono per se stessi né buoni né cattivi), è dovuta all’azione congiunta di due fattori: uno interno, ovvero la trasformazione di pulsioni egoistiche in pulsioni sociali a seguito della comprensione che l’esseri amati costituisce un fattore così positivo da rinunciare agli altri vantaggi più aggressivi ed egoistici; ed il fattore esterno, ovvero la coercizione educativa. “La civiltà si è costituita mediante la rinuncia al soddisfacimento pulsionale ed esige che da ogni nuovo individuo che ad essa partecipa una rinuncia corrispondente” (Freud, 1915, p.25).

Questi meccanismi possono ottenere il risultato che in un individuo si imponga un comportamento civile, senza che in lui la vita pulsionale si sia ingentilita. La società, che è dominata da considerazioni pratiche, non si cura della distinzione fra comportamento eticamente buono e pulsione motivazionale sottostante, si accontenta del fatto che l’uomo impronti il proprio comportamento e le proprie azioni a precetti di civiltà. Se il risultato è identico, è difficile distinguere un tale che agisce bene perché i suoi moti pulsionali lo costringono in quella direzione, ed un altro che agisce bene solo fintanto che il suo modo civile favorisce le sue mire egoistiche sottostanti. La nostra considerazione superficiale dell’individuo non ci fornisce i mezzi per distinguere l’uno dall’altro, e il nostro ottimismo ci fa sopravvalutare il numero degli uomini trasformati in senso civile (Freud, 1915).

La società civile si cura della condotta, ma non del moto pulsionale che la motiva, ed ha costretto ad obbedire alla civiltà uomini che in questo processo non seguono “la loro natura” (ivi, p. 27). La civiltà moderna produce quindi secondo Freud una forma di ipocrisia, in cui gli uomini non vivono secondo la loro “verità psicologica” (ivi, p.28). “Vi è un numero infinitamente maggiore di uomini i quali accettano ipocritamente la civiltà, che non di individui veramente civili” (ivi, p. 28). E’ per questo che la delusione per il comportamento incivile non può essere giustificata, perché l’incivilimento non ha significato una soppressione delle pulsioni di odio, ma soltanto una loro tenuta a freno. In prossimità dello scoppio di una guerra i sovrani, i popoli e gli stati abbandonano le restrizioni morali a cui i loro rapporti reciproci li obbligavano, e allora questi individui, che si erano precedentemente sforzati a tenere a bada le loro pulsioni distruttive per sottostare ad un ordine superiore, possono adesso finalmente lasciarsi andare e sottrarsi anche loro per un poco alla pressione della civiltà ed aprire alle loro pulsioni una momentanea valvola di sfogo.

La situazione di guerra può allora essere paragonata al sogno, in cui “ogni volta che ci addormentiamo ci sbarazziamo, come di un abito, della nostra moralità così faticosamente acquisita, per rivestircene all’indomani” (ivi, p.31). Lo svestimento morale nel sogno è senza pericoli, in quanto il sonno ci paralizza e pone in una condizione di inattività. Come in sogno anche in guerra avviene una regressione della nostra vita emotiva verso uno dei primissimi stadi evolutivi; ed è indicativo per esempio che tutti i sogni siano dominati da istinti egoistici.

Gli influssi esercitati dallo spirito di guerra provocano, secondo il pensiero dell’autore, un’ “involuzione di stati emotivi infantili”, in particolare in quelle persone che avevano fortemente subito il processo di civilizzazione, e non è lecito quindi disconoscere un’attitudine alla civiltà a tutti coloro che in questa situazione si comportano in modo deviante dalla morale. Persone intelligenti si sono rivelate ostinate davanti anche agli argomenti più convincenti a discapito della guerra, e questo perché l’intelligenza non può essere considerata una forza autonoma, ma una forza estremamente dipendente dal sentimento.

Possiamo infatti giudicare razionalmente solo quando non siamo sotto l’influenza di intense emozioni, in caso opposto il nostro intelletto sarà solo uno strumento per il fine che le pulsioni vogliono raggiungere. “L’annebbiamento delle facoltà intellettuali che questa guerra ha spesso provocato proprio nei nostri migliori concittadini del mondo è quindi un fenomeno secondario, una conseguenza dell’eccitazione emotiva, e appunto per ciò è destinato sperabilmente a sparire con essa” (ivi, p.33).

Nel carteggio fra Einstein e Freud viene esplicitata la fatidica domanda “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?” (Einstein, 1932, p.59) E’ Einstein a rivolgerla a Freud, incoraggiato dalla Società delle Nazioni ad uno scambio d’opinioni via epistolare su un tema a piacimento e consapevole lui stesso che nel fenomeno siano nascosti motivi intrapsichici più profondi di quelli apparentemente sociali ed economici. Einstein (1932) ritiene che, con il progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda sia diventata una questione di vita o di morte per la civiltà, e che i politici a cui spetta affrontare il problema divengano ogni giorno più consapevoli della loro impotenza a riguardo.

Lo scienziato propone come soluzione organizzativa la formazione di un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di sanare tutti i conflitti che sorgano fra i vari stati, istituzione immaginaria che anticipa (senza connotazioni psicologiche) l’idea dell’istituzione Omega teorizzata da Fornari circa trent’anni dopo.
Ma il problema che si pone in fase d’attuazione è che la ricerca della sicurezza internazionale implica secondo quest’idea che ogni Stato rinunci incondizionatamente ad una parte della sua libertà d’azione, vale a dire alla sua sovranità. L’insuccesso dei tentativi di quegli anni a realizzare questa meta gli fa concludere che esistano fattori psicologici che paralizzino gli sforzi in vista della pace, come la sete di potere della classe dominante.

Ma com’è possibile, si chiede, che la minoranza “riesca ad asservire alle cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere?” (Einstein, 1932, p.61) Una sola risposta gli si impone chiara, ovvero che l’uomo “ha già dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere” (ivi, p.62). In tempi di pace questa passione, secondo lo scienziato, rimarrebbe latente, ma è piuttosto facile attizzarla per mezzo di strumenti politici e portarla alle altezze di una “psicosi collettiva” (ivi p. 62).

La domanda conclusiva che Einstein rivolge a Freud è se ci sia una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere “alle psicosi dell’odio e della distruzione” (ivi, p. 62), sia per quanto riguarda i conflitti internazionali che le guerre civili interne o la persecuzione di minoranze razziali. Nel rispondere alla domanda, Freud non può che incorrere nella spiegazione della teoria delle pulsioni. E’ per mezzo delle pulsioni, che dentro ad ognuno premono per dirigersi in quella direzione, che gli uomini assetati di potere possono attirare con le proprie idee ed infiammare di passione la folla, la quale apparentemente non trarrebbe nessun beneficio dall’entrare in guerra.

La pulsione dell’odio e della distruzione, è infatti pronta ad accogliere l’istigazione alla guerra, senza una mediazione di natura razionale. Le pulsioni dell’uomo sono di due specie: quelle che tendono a conservare e ad unire (erotiche o sessuali) e quelle che tendono a distruggere e ad uccidere (aggressive e distruttive). Questa distinzione non deve essere incatenata ai valori di bene e male; tutte e due le pulsioni sono infatti parimenti indispensabili, “poiché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto” (Freud, 1932, p.73). Una pulsione non può agire isolatamente: non possiamo compiere un gesto d’amore senza richiamare in minima parte anche la pulsione di distruttività, come non possiamo odiare una persona senza una motivazione d’amore sottostante.

La pulsione amorosa, per esempio, necessita di una parte di pulsione di appropriazione se vuole arrivare ad impadronirsi dell’oggetto. E’ questa difficoltà nell’isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni che, secondo Freud (1932), ha impedito per tanto tempo di riconoscerle.
[…]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Una lettura psicoanalitica della guerra: le implicazioni della scissione

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Informazioni tesi

  Autore: Giada Finucci
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia della personalità e delle relazioni interpersonali
  Relatore: Emilia Ferruzza
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 34

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