Lavoratori immigrati in Italia: Il fenomeno dell'overqualification e l'esclusione dalle qualifiche più elevate
Overqualification e spreco di capitale umano
Tra le numerose ricerche che in questi ultimi anni hanno riguardato il fenomeno dell’immigrazione, e in particolare l’inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro del paese di destinazione, un aspetto di grande interesse è l’esistenza di una sorta di mercato del lavoro duale, con gli immigrati spesso segregati nei lavori dequalificati e a bassa specializzazione. Tale fenomeno però non deriva necessariamente da una scarsa qualificazione dell’offerta di lavoro ma al contrario metterebbe in luce una certa sovraqualificazione tra gli immigrati. Come dicevamo in precedenza, sebbene in generale questo si rilevi nella maggioranza dei paesi Ocse, è soprattutto in quelli dell’Europa meridionale (e tra questi l’Italia) che gli immigrati hanno una probabilità molto più elevata rispetto agli autoctoni di risultare sovraqualificati, ovvero impiegati in lavori per i quali le qualifiche necessarie sono inferiori a quelle possedute (Fullin e Reynieri 2011).
Un elemento indispensabile per comprendere quale sia il grado di integrazione degli stranieri all’interno della società ospitante riguarda quindi l’inquadramento degli stessi e l’effetto dovuto alla dotazione di capitale umano. L’obiettivo di questo capitolo sarà quello di valutare l’impatto del livello di istruzione sul grado di inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro, e ciò attraverso l’analisi dei legami che intercorrono tra i titoli di studio posseduti e gli orientamenti della domanda di lavoro espressa dal mercato del lavoro di accoglienza. La struttura del capitale umano della popolazione straniera, espressa dalla distribuzione dei titoli di studio, può infatti essere analizzata per valutare il rapporto che tale struttura instaura con il sistema delle opportunità effettive che il mercato del lavoro offre alla manodopera di importazione.
I livelli di istruzione degli stranieri sono, nel complesso, piuttosto elevati e non molto dissimili da quelli degli italiani. Nel 2011, più della metà degli occupati stranieri tra i 15 e i 64 anni è in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di un titolo di studio di livello universitario (rispettivamente il 46.1 e il 10.3 per cento); mentre la restante parte (il 43.6 per cento dei lavoratori immigrati) possiede un grado di istruzione non superiore alla licenza media (CNEL 2012).
Se confrontate con le corrispondenti incidenze relative agli italiani, le differenze nel grado di scolarizzazione non sono imponenti. Divergenze più ampie nei livelli d’istruzione degli immigrati e degli italiani si manifestano quando si confrontano i dati nelle classi di età più giovani (15-34 anni), dato che la popolazione straniera ha una struttura demografica nettamente più giovane di quella italiana e che l’istruzione media della popolazione italiana è molto più alta tra le generazioni più giovani. In questo caso si osserva in effetti un più elevato livello di istruzione per gli occupati italiani (sia uomini che donne), che presentano una minore concentrazione di individui con titoli di studio inferiori o uguali alla scuola dell’obbligo e quote più elevate per quanto riguarda i titoli di studio superiore (laurea o diploma).
Il più elevato livello medio di istruzione degli italiani spiega comunque solo in parte la differente distribuzione per occupazione delle due popolazioni di lavoratori (Reynieri 2005). Esistono infatti differenze molto marcate tra italiani e stranieri per quanto riguarda la distribuzione per posizione nella professione, da cui emerge l’esistenza di una sorta di mercato del lavoro duale, dove gli immigrati tendono ad essere segregati nei lavori meno qualificati e a bassa specializzazione. Dai dati relativi al 2011 risulta infatti che circa il 70 per cento degli stranieri sono operai o svolgono un lavoro non qualificato; poco più di un quinto rientra nel gruppo delle professioni impiegatizie o collegate alle attività commerciali e dei servizi; e solo il 6.6 per cento svolge professioni qualificate (che, peraltro, nel caso degli stranieri coincidono prevalentemente con la gestione di piccole attività imprenditoriali nei campi della ristorazione e della vendita al dettaglio) rispetto al 37.2 per cento degli italiani. La quota di lavoratori stranieri sul totale passa da appena il 2 per cento del gruppo delle professioni qualificate al 32.1 per cento delle non qualificate (Fondazione Leone Moressa 2010). Vi sono in sostanza lavori del segmento inferiore del mercato del lavoro, dove in genere il lavoro manuale è preminente, che tendono ad essere diffusamente affidati alla componente straniera. Il fenomeno coinvolge entrambe le componenti di genere. Tuttavia, mentre gli uomini si collocano prevalentemente nel gruppo degli operai e artigiani (dove i margini di responsabilità e autonomia sono relativamente più ampi), le donne tendono a svolgere in prevalenza una professione non qualificata, risultando quindi inserite in un mercato del lavoro ancora più ristretto. La distribuzione degli occupati stranieri per gruppo professionale non sembra essere sostanzialmente cambiata rispetto a quanto si osservava prima della crisi, ma anzi la stratificazione occupazionale dei lavoratori immigrati nelle mansioni lavorative meno qualificate e meno pagate sembra essersi aggravata, in particolare per gli uomini (Blangiardo 2013).
Gli immigrati, quindi, più dei lavoratori italiani, svolgono più spesso mansioni che richiedono titoli di studio inferiori a quelli da loro posseduti o, detto in altri termini, sono più frequentemente “over-educati”. Questo fenomeno è solo in parte giustificabile con il minor livello di istruzione degli immigrati rispetto agli italiani, e implica che l’incidenza della over-education, cioè il possesso di titoli di studio più elevati di quelli richiesti per le mansioni lavorative svolte, è più elevata tra i lavoratori stranieri. Questo è un risultato comune a molte ricerche condotte a livello internazionale sul processo di integrazione della popolazione immigrata nel mercato del lavoro dei paesi di accoglienza e riguarda le enormi difficoltà per gli immigrati a veder riconosciuti gli investimenti in capitale umano da essi effettuati nel paese di origine (Fullin e Reynieri 2011).
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Informazioni tesi
Autore: | Jorge Andres Herrera Romero |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze del Lavoro |
Relatore: | Roberto Impicciatore |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 118 |
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