I grandi prematuri: nuovi scenari della bioetica tra accanimento e cura. Possibili prospettive.
Nuovi modelli: imparare la care come principale aspetto educazionale nelle Unità di Terapia Intensiva Neonatale
Fino agli anni ’80 anche l’Olanda era ancora sprovvista di una regolamentazione concernente le decisioni di fine vita in Neonatologia e il medico di turno sceglieva da solo, senza consultazione né di altri colleghi, né di specialisti di altre discipline, e senza – cosa ancora peggiore – il consenso dei genitori, come agire.
Furono – cosa abbastanza sconcertante per noi italiani – un neonatologo e un teologo calvinista ad iniziare il dibattito contro l’uso indiscriminato della terapia intensiva neonatale, sostenendo che sia compito precipuo del neonatologo quello di evitare cure sproporzionate e quindi l’accanimento terapeutico.
Da questo dibattito, nel 1986 prese vita un gruppo di lavoro nominato dalla Società Olandese di Pediatria per regolamentare il processo decisionale sulla somministrazione dei trattamenti salvavita in terapia intensiva neonatale. Nello stesso periodo, venne nominata una commissione anche da parte dell’Ordine dei Medici; le due commissioni collaborarono e redissero un documento, completando i loro lavori nel 1992.
La principale differenza tra questo documento della Società Pediatrica Olandese e il famigerato protocollo di Groningen consiste nel fatto che il primo è rivolo ai neonati dipendenti da terapie salvavita, come possono essere ad esempio le operazioni chirurgiche, mentre il secondo è rivolto ai neonati indipendenti da tali terapie, ma che soffrono senza alcuna possibilità di miglioramento e prevede che il medico, su richiesta dei genitori, possa interrompere la vita del neonato attraverso la somministrazione di un’iniezione.
In questo caso, a differenza del primo, la morte non è un processo naturale, ma indotto, mentre nel primo, sospendendo le cure intensive, la morte verrebbe come conseguenza naturale. Questo protocollo stabilisce sei criteri per discriminare tra trattamento impossibile e cure sproporzionate:
1. l’aspettativa bassissima di vita porta a qualificare un trattamento come impossibile;
2. la valutazione della sofferenza sia fisica che psicologica ed esistenziale, sia attuale che futura, sia per il neonato
che per chi se ne prende cura, che potrebbe crearsi delle aspettative che si rivelerebbero poi illusorie;
3. la capacità o meno del neonato di comunicare, nel senso di interagire con l’ambiente circostante, sia verbalmente che non, valutabile come capacità di ricevere degli stimoli e di sapervi rispondere;
4. l’autosufficienza, ovvero il non dipendere dalla cura di altri esseri umani nelle pratiche quotidiane (ovviamente si parla del futuro, essendo i neonati umani inetti per i primi anni di vita);
5. la dipendenza dalle cure mediche: le cure sono sproporzionate se il neonato è costretto ad entrare ed uscire dagli ospedali con estrema frequenza e non per migliorare in modo definitivo la sua vita, piuttosto per prolungare la sua sopravvivenza;
6. lo sviluppo della persona, inteso come successiva possibilità del neonato di alfabetizzarsi e capacità di lavorare; capacità che non implica la produzione di un reddito, ma che concerne la possibilità dell’individuo di partecipare attivamente alla vita sociale.
Ancora più interessante è l’iter decisionale che viene proposto (in questo documento del 1992), che prevede cinque passaggi cruciali:
1. la pianificazione anticipata delle cure, cioè decidere da subito se in caso di un dato evento, rianimare o meno;
2. la nomina di un neonatologo per ogni neonato, che sarà il punto di riferimento per genitori e colleghi;
3. il coinvolgimento dei genitori, che devono essere informati e che hanno un peso determinante nelle scelte terapeutiche;
4. lo svolgimento di meeting interdisciplinari cui partecipano i genitori, lo staff medico e gli specialisti di altre discipline;
5. la consultazione con medici di altri centri
Si vede come i genitori diventino in questo modo parte attiva del processo decisionale e vengano presi in carico sia come componente affettiva, sia come soggetti etici e giuridici sul trattamento del neonato. Credo che un simile modello – che come si è visto pone al centro le relazioni e il dialogo - possa essere un modello adottabile in tutte le Unità di Terapia Intensiva Neonatale, in quanto, tra le altere cose, non ha grandi costi a livello economico e limita cause penali conseguenti ad un processo decisionale che abbia escluso i genitori.
Credo poi che ci siano altri fronti su cui intervenire per poter migliorare la situazione anche in Italia, e qui i modelli sono già presenti nel nostro Paese e sono dei casi che hanno avuto grande successo proprio perché prestano attenzione a tutti quegli aspetti che in una situazione delicata come quella della nascita dei grandi prematuri, della rianimazione o della somministrazione di cure palliative, abbiano un ruolo essenziale. Mi riferisco a tutti quei sentimenti che possono emergere nelle persone vicine al neonato, in particolare i genitori e in primis la madre.
Nel caso in cui, infatti, si decida di proseguire con la terapia, è di fondamentale importanza continuare sulla scia della care che finora abbiamo seguito. Illustri esempi ne sono Clinica di Neonatologia e T.I.N. dell’Università di Sassari, l’Unità di Terapia Intensiva di Cagliari e la Sezione di Patologia neonatale dell’ospedale di Treviglio - Caravaggio (Bergamo), che insistono molto sul concetto di cura inteso come prendersi cura non soltanto del neonato, ma di tutti i personaggi che inseriscono questa nascita e quindi in particolare i genitori.
Questo brano è tratto dalla tesi:
I grandi prematuri: nuovi scenari della bioetica tra accanimento e cura. Possibili prospettive.
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Informazioni tesi
Autore: | Samantha Maruzzella |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Master II Livello in Etica pratica e bioetica |
Anno: | 2011 |
Docente/Relatore: | Botti Caterina |
Istituito da: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 50 |
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