Irrappresentabilità e scrittura cieca in(oltre) Bataille
Negatività senza impiego
Questa «negatività senza impiego» che è l’uomo post-storico, che è Bataille in quanto «ferita aperta», lavora in pura perdita, lavora disoccupandosi e sottraendo gli oggetti all’utilità, sottraendo in ultima analisi l’oggetto che si è alla servitù sociale: l’unico impiego possibile è di ordine sacrificale e richiede il riconoscimento di questa vittimizzazione. Al di là della storia all’uomo non rimane che un sovrano olocausto.
Eppure, una prima espressione di questa negatività senza lavoro si dà nella storia, anzi nella preistoria, come arte (e parallelamente come religione): quel che produce non è un utilizzabile – sebbene lo possa diventare – ma qualcosa che si espone alla contemplazione. Ce lo insegna un vecchio adagio: l’arte non serve (a) nulla.
È in ogni caso una oggettivazione, una produzione e quindi un’affermazione: affermazione del negativo, ma non riconosciuto ancora in quanto tale, cioè come vuoto di contenuto.
In questa seconda parte del nostro lavoro intendiamo svolgere un’antistoria, o una post-storia, delle oggettivazioni artistiche di questa negatività che, in ultima analisi, è (l’) irrappresentabile. Si dirà: «eppure, se si può oggettivare, è ben rappresentabile!» In verità, quel che se ne può rappresentare è sempre il risultato, l’effetto.
Dell’irrappresentabile si può dire infatti con certezza che si agita nel dominio dell’esperienza interiore: è a posteriori esteriormente designabile ma intimamente inesprimibile poiché, nel momento in cui lo si patisce, «non si è in casa».
Ora, se consideriamo la Haine de la philosophie come la storia dell’irrappresentabile, cioè come il dispiegarsi squisitamente filosofico (sebbene di una filosofia perturbata, odiante ed odiosa) di una categoria – che è performativa dal momento che mostra ciò che è, facendo quel che non si può fare – secondo un procedere ancora discorsivo, ancora servo della causalità, considerandola insomma come una tesi, l’in sé di un’idea, non sarà difficile immaginare che questa seconda parte ne costituirà l’antitesi, il per sé: sarà il momento in cui l’irrappresentabile si rappresenta nell’arte, prende coscienza di sé rappresentandosi (ma, come abbiamo visto, non ancora facendosi riconoscere in quanto vuoto di contenuto – ne è anzi fin troppo pieno nell’affermare la sua verità), negatività che lavora presentandosi come perdita.
Ovviamente, non c’è sintesi possibile dal momento che la ferita aperta, il «dente malato», sono insanabili nell’abbandono del pensiero, nel pensiero dell’abbandono che è il sistema moribondo batailleano (e i francesi hanno visto lontano nel volgere il pensiero al femminile, nel transitare dal logos a la pensée, dalla potenza di Dio all’impotenza-impossibile della prostituta sacra).
Questo brano è tratto dalla tesi:
Irrappresentabilità e scrittura cieca in(oltre) Bataille
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Informazioni tesi
Autore: | Nicola Apicella |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica |
Relatore: | Aldo Trione |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 172 |
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