La politica migratoria dell’UE e le prospettive di riforma del sistema comune di asilo
Nascita e caratteristiche delle politiche migratorie
Con il termine politica migratoria "si racchiude un insieme di norme che regolano l’ingresso degli stranieri ed il loro diritti e doveri all’interno del territorio nazionale, riferendosi alle politiche sociali rivolte agli stranieri, alle politiche di integrazione o di assimilazione e, infine, alle politiche di ingresso, vale a dire le politiche di frontiera ed eventualmente di regolarizzazione della popolazione straniera già presente sul territorio".
Mentre intorno agli anni Sessanta le politiche migratorie erano caratterizzate da punti ben definiti e l’Unione europea non si considerava un paese d’immigrazione ma “di soggiorno prolungato e temporaneo di lavoratori stranieri”, a partire dagli anni Settanta si assiste a un’inversione di tendenza. È proprio durante questi anni che si sviluppa un crescente aumento di attenzione verso il controllo dei flussi migratori e una gestione progressiva delle collettività immigrate. Questa situazione riguardava soprattutto quei paesi come la Francia e la Germania, dove le misure di contenimento del fenomeno migratorio erano considerate un aspetto secondario del panorama politico. Infatti, considerata l’entità della situazione, non era più opportuno lasciare il controllo alle strutture amministrative, agli interessi degli imprenditori e dei gruppi di pressione organizzati, perciò diventa una questione da trattare con la massima attenzione.
Le politiche migratorie degli ultimi anni si concentrano sulla regolazione dei flussi che in passato corrispondevano totalmente agli interessi del capitalismo industriale e dei fattori produttivi. Per questa ragione, ad oggi si sta cercando di limitare gli ingressi nei paesi di arrivo o per lo meno di controllarli incentivando i rimpatri.
Come si è detto, le principali ragioni che stanno alla base della migrazione sono: la propria posizione economica, persecuzioni etniche o religiose, l’esplosione demografica dei paesi del Terzo Mondo e la disgregazione del blocco sovietico. Il progressivo aumento della popolazione è la diretta conseguenza della caduta del tasso di mortalità, provocata da un miglioramento generale delle condizioni di vita. Questo ha portato ad un aumento dei disoccupati in cerca di un’occupazione e alla conseguente intenzione di cercare stabilità lavorativa ed economica in un altro paese. Sul piano politico, l’esistenza di governi repressivi porta a situazioni di povertà e violenza nel paese d’origine determinando una “fuga di massa”.
Le cause del fenomeno migratorio appaiono così come un accostamento di vari fattori e come una sovra determinazione dei processi, da cui ne deriva una difficoltà di operare una ferrea distinzione tra immigrazione economica e immigrazione politica.
Le politiche migratorie attuali si mostrano più complesse da gestire rispetto a quelle passate per le seguenti ragioni:
1) è presente un aumento degli Stati con gravi squilibri demografici ed economici con il conseguente eccesso di forza lavoro;
2) l’accostamento degli squilibri qualitativi e territoriali a quelli quantitativi fra domanda e offerta lavoro, che danno origine a situazioni come la presenza contestuale di altri tassi di disoccupazione e di immigrazione;
3) i paesi non si mostrano accoglienti nei confronti dei migranti attuando misure sempre più restrittive di contenimento.
In questa situazione è chiara la difficoltà a cui va incontro un paese di nuova immigrazione come l’Italia, affinché si costruisca un proprio modello di riferimento. Infatti, la politica dell’immigrazione rispecchia un fattore significativo e sintetico della capacità complessiva del Paese di confrontarsi con il fenomeno.
Per molti anni l’immigrazione in Europa è stata considerata una questione “non politica”, ossia come un insieme di provvedimenti frammentari che solo occasionalmente hanno dato luogo a un quadro normativo organico e unitario. Però, com’è stato sottolineato, “la scelta di preservare questo stato di cose è politica nella sua natura” e le sue conseguenze non vanno trascurate. Il ruolo delle politiche migratorie è fondamentale poiché esse possono condizionare in modo rilevante sia il volume sia la composizione dei flussi. Nel secondo dopoguerra il fenomeno si trasformò in una questione prettamente economica: infatti all’epoca il modello rappresentativo della situazione europea era quello del lavoro provvisorio, dove il riconoscimento dei lavoratori stranieri avveniva in relazione a particolari fabbisogni di manodopera, in seguito al rilascio di permessi di soggiorno collegati al lavoro. Essi, inoltre, erano soggetti a un regime vincolistico che ne fissava la scadenza o ne richiedeva il loro periodico rinnovo. Si può affermare che le nazioni europee si mostravano restie a riconoscersi nel ruolo di Paesi d’immigrazione e d’insediamento permanente delle famiglie extracomunitarie. Fu proprio in quegli anni che gli Stati europei stabilirono la chiusura delle frontiere mediante l’attuazione delle c.d. “politiche degli stop” e l’immigrazione, dopo essere stata per molto tempo considerata una questione prettamente economica, venne ad acquistare il suo carattere politico.
Nonostante ciò, si dovette prendere atto del fatto di essere diventati luogo d’insediamenti stabili di lavoratori, famiglie e comunità straniere, ma soprattutto, di dover affrontare un’immigrazione almeno formalmente “non voluta” e per giunta disposta ad aumentare nel tempo, in relazione ai ricongiungimenti familiari e delle domande di protezione umanitaria.
Negli ultimi anni, le norme adottate dagli Stati europei hanno assunto un ruolo di controllo non soltanto della migrazione irregolare, ma anche dell’immigrazione “non voluta”, segnata in particolar modo dagli spostamenti realizzati per motivi familiari e umanitari. Nella politica migratoria dell’Unione è presente una contraddittorietà, poiché essa mira a tenere insieme due obiettivi per certi aspetti discordanti: la limitazione dei nuovi ingressi da un lato e l’integrazione delle persone migranti già presenti dall’altro. Essa è una manovra che si è consolidata con la chiusura delle frontiere, per raggiungere il picco all’inizio degli anni Novanta attraverso la creazione della c.d. “Fortezza Europa”.
Gli effetti sono visibili ancora oggi, mediante la questione sospesa tra una politica degli ingressi restrittiva da una parte, e l’ideale dell’uguaglianza e della pari dignità di tutti gli individui facenti parte della tradizione democratica dell’Europa dall’altra.
Nel corso degli ultimi anni si è cercato un modello che proponesse uno “svecchiamento” delle politiche migratorie europee prefiggendosi di abbandonare la disorganicità e la frammentarietà che le caratterizzavano precedentemente.
La questione ad oggi rimane al centro della politica dei Paesi europei e il dibattito attorno alle politiche migratorie occupa un ampio spazio sui giornali e nel palinsesto televisivo. Nonostante ciò, è possibile far notare aspetti che esprimono lo sforzo di trovare una stabilità tra le istanze dell’economia, l’impellente richiesta di protezione che giunge dall’opinione pubblica e gli obiettivi di politica internazionale, ma che si concludono con scelte e assetti pieni di contraddizioni e in un allontanamento tra la realtà sociologica delle migrazioni da una parte, e quella rappresentata dalle politiche dall’altra.
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La politica migratoria dell’UE e le prospettive di riforma del sistema comune di asilo
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Informazioni tesi
Autore: | Giorgia Presotto |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze delle pubbliche amministrazioni |
Relatore: | Francesco Pesce |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 102 |
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