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Felicità e virtù in Plotino

Metafisica plotiniana: la dottrina dei tre principi

Plotino, lo abbiamo detto più volte presenta sé stesso come fedele esegeta di Platone e attribuisce a lui la paternità delle sue tesi più importanti, tra queste vi è certamente la dottrina dei tre principi, più comunemente noti con il termine di “ipostasi”: Uno, Intelletto e Anima, che governano la realtà e corrispondo a diversi gradi di unità (i Padri della chiesa tra l’altro crederanno di trovare nella teoria dei principi metafisici plotiniani chiari rimandi alla dottrina della Trinità, sebbene le tre ipostasi plotiniane, come vedremo siano molto diverse dalle tre persone della Trinità cristiana).

Unità d’altronde è una parola chiave nella filosofia di Plotino, egli infatti, pur muovendo dalla molteplicità delle cose pone immediatamente come loro condizione l’unità; d’altronde senza unità la molteplicità sarebbe impensabile. Di più, il grado di unità di un dato ente per Plotino è indicativo del suo valore ontologico. Detto in altri termini: tanto più un ente è compatto e unitario nella sua struttura, tanto più vale da un punto di vista ontologico, e tanto più in alto si colloca nella scala dell’Essere. In effetti, la scala gerarchica plotiniana è concepita in modo tale che, in basso si colloca sempre la molteplicità, in alto l’unità, quindi, più in basso si procede nella scala gerarchica più si avrà a che fare con realtà complesse e attraversate dalla molteplicità, viceversa più si procederà verso l’alto più si avrà a che fare con realtà semplici e unitarie, fino a giungere al principio più semplice e unitario di tutti: l’Uno, il principio primo di tutto.

Possiamo dire quindi che l’unità svolge nel sistema plotiniano una duplice funzione: ontologica e assiologica; ontologica in quanto è criterio di una gerarchia dell’essere, assiologica in quanto è criterio di una gerarchia di valore: quanto più un ente è unitario nella sua struttura tanto più è, e vale. Esistono tuttavia diversi gradi di unità, e l’unità più profonda come vedremo è quella dell’Uno, che è causa e radice di ogni unità.
È possibile rintracciare fin d’ora un elemento di novità rispetto alla tradizione platonica, in riferimento al diverso modo di intendere il rapporto ontologicamente intimo tra: unità e molteplicità. Tanto per Platone quanto per Plotino si tratta di risolvere il molteplice nell’unità, il modo in cui lo fanno tuttavia è radicalmente diverso. Per Platone il rapporto molteplicità-unità, si risolve nel mondo intelligibile del pensiero: l’idea di uomo unisce tutti gli uomini; la molteplicità sensibile si risolve dunque nell’unità intelligibile.
Il pensiero in cui Platone risolve la molteplicità tuttavia, osserva Plotino, è a sua volta duale, in quanto ammette il pensante e il pensato; pertanto, l’unità in cui Platone risolve la molteplicità sensibile è fittizia. Deve esservi dunque un’unità superiore a quella dello stesso pensiero, e tale unità per Plotino non può che essere l’Uno, il principio primo, al di là del quale non vi è nulla di più unitario, e dal quale derivano i molti, secondo un processo che verrà precisato in un secondo momento.

Plotino situa dunque al vertice della realtà un principio assolutamente semplice e omogeneo, al di là di ogni cosa, persino dell’essere e del pensiero, poiché è causa dell’essere e del pensiero, e per Plotino ciò che è causa deve essere radicalmente distinto da ciò di cui è causa. È il noto principio dell’eterogeneità della causa precedentemente menzionato.
Più volte inoltre Plotino definisce il primo principio come dunamis pantôn: “[…] potenza di tutte le cose, senza la quale nulla esisterebbe […]”, anche se usa dunamis in un senso specifico. Egli distingue infatti, l’essere in potenza di matrice aristotelica, intesa come la capacità che un dato ente ha di diventare qualcosa, dall’essere potenza inteso invece come potenza attiva e generatrice. L’Uno è dunque potenza in quest’ultimo senso, nel senso cioè di essere un’infinita potenza generatrice che produce ogni cosa essendo radicalmente distinta da ciò di cui è causa. In effetti, l’Uno può generare ogni cosa proprio in quanto non è nulla di ciò che deriva da esso28; ciò che genera deve essere infatti totalmente scevro di caratteri, poiché se li avesse non sarebbe sufficientemente distinto da ciò di cui è causa, cesserebbe dunque di essere il primo principio e non potrebbe generare ogni cosa.

La potenza generatrice dell’Uno deriva pertanto dal suo essere estraneo, distinto da tutto, e al contempo presente in tutto grazie alla sua causalità. In tal senso Plotino afferma anche che l’Uno è “infinito” (apeiron); la sua infinità tra l’altro tradisce in qualche modo la tradizione greca che concepiva negativamente l’infinità intendendola come sinonimo di incompletezza e imperfezione. In Plotino tuttavia l’infinitudine acquista una connotazione positiva, venendo a indicare una potenza illimitata. L’Uno infatti non è infinito in termini spaziali o matematici, come avevano al tempo concepito l’infinità alcuni filosofi naturalistici, bensì è infinito poiché la sua potenza non è circoscritta. Non è dunque infinito perché eternamente grande, ma perché eternamente potente. Intendere l’Uno come infinita potenza significa dunque intenderlo come illimitata energia creatrice. Essendo infinito inoltre, l’Uno è anche “amorphos”, privo cioè di forma e figura, e poiché laddove non c’è forma non c’è neppure essere o essenza, l’Uno è al di là di ogni determinazione quantitativa e spazio-temporale.

Siamo dunque in presenza di un principio altamente paradossale, che è tutto senza essere niente, che è principio di pensiero ma non è pensiero a sua volta, ragion per cui è possibile parlare dell’Uno solo tramite analogie e metafore, alludendo ad esso senza esibirlo. Del primo principio non è possibile affermare nessun contenuto, poiché nessuna determinazione del finito gli si addice; qualsiasi determinazione rischierebbe infatti di compromettere la sua assoluta semplicità, ragion per cui è possibile parlare del primo principio solo in termini negativi, ossia dicendo ciò che esso non è (teologia negativa). Plotino è ben consapevole del fatto che nessun nome, concetto o predicato è adatto a definire la natura del primo principio, poiché in effetti la natura del primo principio è quella di non avere natura, è quella cioè di essere al di là di ogni natura determinabile. Lo stesso termine “Uno”, con cui Plotino è solito riferirsi al primo principio, è in realtà inadatto a definirlo: “Chiamarlo «uno» indica soltanto la completa soppressione del molteplice, non implica l’attribuzione di alcun carattere positivo”. Stessa cosa può dirsi dell’altro termine con cui talvolta Plotino è solito qualificare il primo principio, ossia quello di “Bene”. Anche in questo caso infatti, “Bene” non indica un’effettiva proprietà, un attributo positivo del primo principio, ma si riferisce unicamente al fatto che il primo principio è bene per le realtà che vengono dopo, nel senso che è causa delle cose buone: “Infatti è al di sopra del Bene, e non è bene per sé, ma per le altre realtà, che siano eventualmente in grado di parteciparne”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Felicità e virtù in Plotino

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Informazioni tesi

  Autore: Noemi Federico
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Riccardo Chiaradonna
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 86

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Parole chiave

filosofia
neoplatonismo
platone
plotino
storia della filosofia antica

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