Waldemar Gurian: un omaggio di Hannah Arendt

Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l'ha saputa ancora.
Bertolt Brecht

Il tempo della luce della ragione e dell’Illuminismo si è rovesciato e frammentato nei "tempi bui" di Brecht, della violenza e dell’odio. Hannah ha una tale passione per la vita che li definisce sì tempi bui, ma anche interessanti. Tutta la sua attività ruota attorno alla volontà di capire gli sconvolgimenti storici, politici e sociali che hanno portato ai totalitarismi e alla Shoah.

Nella sua prima opera pubblicata, Le origini del totalitarismo (1951), Hannah mette subito in risalto che siamo di fronte ad un fenomeno mai accaduto prima, che rompe con qualsiasi tradizione: mai l’uomo era stato ridotto a una macchina obbediente, a una massa informe, controllata attraverso la propaganda e il terrore. Fin dalle sue prime esperienze di pensatrice, Arendt dimostra la capacità di osservare la molteplicità dei fatti, la loro ambiguità.

Nell’analisi del fenomeno del totalitarismo e del caso Eichmann, Hannah pone l’accento sull’imperdonabilità di tali eventi, poiché manifestazione smisurata e senza precedenti del male, della perdita della ragione e del senso della dignità umana, ma allo stesso tempo sulla banalità del male perché manca di cause profonde, perché furono banali e mediocri gli uomini che la commisero, semplici burocrati che eseguivano ordini.

E’ la fine della politica. Ciò che andò in crisi in quegli anni fu proprio la capacità dell’uomo di agire politicamente, di creare e preservare lo spazio del dialogo. La riflessione di Hannah parte proprio da qui, dalla convinzione che la politica non sia un compito da delegare ad altri, ma un impegno quotidiano dell’essere umano, del singolo soggetto verso la collettività.

Le dittature hanno soppresso la possibilità di dialogo, di azione e di libertà. Ed è da questi concetti che Hannah riprende la discussione e pubblica nel 1958 La condizione umana, analizzando la triade: lavoro, fabbricazione o produzione e azione. A differenza delle prime, necessarie e sufficienti per la sopravvivenza, è solamente nell’agire che l’uomo realizza veramente se stesso, che vive pienamente il mondo. L’azione, infatti, riempie lo spazio vuoto tra gli individui, li mette in relazione senza la mediazione degli oggetti e rivela l’essere umano per ciò che realmente è.