Oltre il “populismo”? La campagna elettorale di Donald Trump: un’analisi politica e delle strategie comunicative
Marketer in chief
La strategia che ha portato Donald Trump a vincere le primarie del Partito Repubblicano prima e la corsa alla Casa Bianca poi è formata da un mix tra elementi ormai tradizionali nelle campagne elettorali moderne e altri più innovativi e sorprendenti. Se l’analisi dell’elettorato del soggetto in questione verrà trattata, per motivi di semplicità, considerando solo i risultati della campagna presidenziale, quella sulle modalità di marketing politico la considererà come un tutt’uno con la campagna per le elezioni primarie del Partito Repubblicano. Qui sta, infatti, uno dei primi elementi caratteristici della sua campagna elettorale: l’assenza dell’attesa svolta al centro o dell’assunzione di toni più presidenziali da parte del candidato, se non in misura limitata. Dopo aver sconfitto gli avversari nella corsa alla nomination del proprio partito, Trump non ha modificato l’immagine di sé nei confronti dell’elettorato, né ha reso più digeribili i punti considerati più estremi e divisivi del proprio programma, spesso anche disattendendo i consigli e le indicazioni fornite dallo staff elettorale che lavorava per lui.
Trump e i media
Un primo elemento immediatamente riscontrabile è l’enorme quantità di spazio che i media hanno dedicato al candidato sin dal giorno dell’annuncio della propria candidatura. Secondo un’analisi pubblicata sul sito specializzato marketingweek.com, parte della forza di Trump è derivata da una costante presenza su tutti i mezzi di informazione, da quelli tradizionali al web. La grande attenzione mediatica intorno alle elezioni statunitensi non è certo una novità, ma in genere sono i candidati stessi ad acquistare spazi televisivi o su internet. L’eccezionalità del caso Trump deriva dal fatto che il candidato ha ottenuto un’immensa mole di pubblicità in modo gratuito, spendendo in questo settore una quantità di budget limitata se confrontata con quella dei principali avversari. Il seguente grafico di MediaQuant (tratto da un articolo del New York Times del 15 marzo 2016) lo dimostra in modo evidente. La colonna di sinistra indica la cifra spesa per lo spazio sui media acquistato da ciascun candidato, mentre quella di destra il valore in dollari del tempo guadagnato gratuitamente. Per quel che riguarda quest’ultimo valore, salta immediatamente all’occhio la differenza tra la colonna di Donald Trump e quella di qualsiasi altro candidato. Se per lui lo spazio gratuito sui media valeva allora quasi 2 miliardi di dollari, quello del candidato che più gli si avvicinava (la democratica Hillary Clinton) era di 746 milioni. Allo stesso modo, piuttosto evidente è l’esiguità del valore dello spazio acquistato da Trump (10 milioni di dollari) se confrontato con quello ben maggiore dei principali sfidanti interni al Partito Repubblicano (Bush – 82 mln., Rubio – 55, Cruz – 22) e di entrambi i contendenti democratici (Clinton – 28 mln., Sanders – 28).
Il candidato repubblicano ha goduto di una maggiore copertura mediatica gratuita rispetto alla concorrenza anche durante la corsa a due contro la democratica Hillary Clinton, seppure con uno scarto meno eclatante rispetto alla fase delle primarie. Secondo i dati raccolti da MediaQuant risalenti a settembre 2016, ad agosto dello stesso anno il valore dello spazio mediatico guadagnato gratuitamente da Trump sarebbe stato di 509,3 milioni di dollari, contro i 364,2 di Clinton. Distacco meno pronunciato per il mese precedente, durante in quale si erano svolte le convention di entrambi i partiti, con il nominato del Gop comunque avanti (573,4 milioni contro i 539,8 della rivale). La differenza tra i due candidati alla presidenza si fa però più marcata se si considera l’intero anno precedente le elezioni, da settembre 2015, durante i quali i media hanno dedicato a Trump spazio per un valore complessivo di 4,6 miliardi di dollari contro i 2,5 di Hillary Clinton.
Durante la campagna presidenziale, inoltre, si è confermata la tendenza di Trump a spendere molto meno della propria controparte democratica in spot pubblicitari, in particolare su media tradizionali come la televisione. Indicativo il fatto che il candidato repubblicano abbia trasmesso il suo primo spot televisivo solo ad agosto del 2016, a meno di tre mesi dal giorno delle elezioni. Per gli ultimi due mesi di campagna elettorale, se Hillary Clinton annunciava ad agosto che avrebbe speso la cifra di 80 milioni di dollari, colui che vincerà le elezioni si è fermato a soli 4,8 milioni di dollari, concentrati in Ohio, Pennsylvania, North Carolina e Florida (tutti stati, tra l’altro, che saranno vinti dal candidato repubblicano, e cruciali per la vittoria finale).
Risulta evidente come, nella campagna elettorale di Donald Trump, lo spazio acquisito gratuitamente sui media abbia avuto un ruolo ben maggiore di quello acquistato con i proventi della macchina elettorale posta al servizio del candidato. Egli stesso ha dichiarato di non aver bisogno di raccogliere fondi per comprare spazio sui media, dal momento che già molte televisioni lo invitavano gratuitamente. Certo, se si guarda al tipo di copertura a lui riservata, la sua vittoria finale può apparire sorprendente. Se infatti è vero che i mezzi d’informazione hanno parlato molto del soggetto in questione, è anche vero che, in genere, ne hanno parlato male. Dei 100 quotidiani più diffusi nel Paese, per esempio, solo due gli hanno dato il proprio sostegno per la corsa alla presidenza: il Las Vegas Review-Journal e il Florida Times-Union in Jacksonville. Emblematica del sentimento di ostilità della grande stampa statunitense nei confronti di Trump la decisione della prestigiosa rivista The Atlantic, che ha sostenuto ufficialmente un candidato alla presidenza per la terza volta nella sua lunga storia (dopo aver appoggiato Abraham Lincoln nel 1860 e Lyndon B. Johnson nel 1964).
Come testimonia l’eloquente titolo dell’editoriale in cui si annuncia ai lettori la decisione (“Against Donald Trump”), si è trattata di una scelta quasi più contro un candidato (definito “ignorante” e “nemico di ogni discorso basato sui fatti”) che a sostegno di un altro. La sua vittoria sembrerebbe dunque confermare il noto adagio per cui non esiste cattiva pubblicità. Lo stesso Trump, d’altronde, il 20 luglio del 2016, dal proprio profilo Twitter così commentava la vicenda del discorso della moglie Melania alla convention repubblicana, finito nel mirino dei media per essere sospettosamente simile a quello della futura first lady Michelle Obama di esattamente otto anni prima: “La buona notizia, specialmente per chi crede che tutta la stampa sia buona stampa, è che il discorso di Melania ha avuto più pubblicità di ogni altro nella storia della politica”.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Lottero |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli studi di Genova |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Informazione ed editoria |
Relatore: | Andrea Catanzaro |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 123 |
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