La dialettica tra lutto e dissociazione: un confronto tra autori contemporanei
Lutto e matrice relazionale
Il pensiero di Stephen A. Mitchell è considerato una pietra miliare all'interno della prospettiva psicoanalitica relazionale, offrendo un'interessante chiave di lettura per comprendere il tema della perdita e le sue possibili implicazioni sul Sé.
All'interno del panorama psicoanalitico contemporaneo, la psicoanalisi relazionale enfatizza il superamento di una visione dicotomica - caratterizzata da una netta separazione tra l'intrapsichico e l'interpersonale - sostenendo come l'intrapsichico sia modellato costantemente dalle relazioni che un individuo costruisce con gli altri significativi (Auchincloss, Samberg, 2012).
Nel lavoro del 1983 "Object Relations in Psychoanalytic Theory", Greenberg e Mitchell si auspicano un fertile scambio tra i due paradigmi dell'esperienza umana fino ad allora incompatibili: il modello strutturale delle pulsioni elaborato da Freud ed il modello strutturale interpersonale formulato da Sullivan. Emerge quindi un nuovo paradigma psicoanalitico secondo il quale "le relazioni con altri costituiscono gli elementi strutturanti fondamentali della vita mentale", nelle quali "la creazione, o ricreazione, di specifiche modalità di relazione con altri sostituisce la scarica pulsionale come forza motivante del comportamento umano" (Greenberg, Mitchell, 1983, p.15).
Qualche anno più tardi, nel 1988, nell'opera "Gli orientamenti relazionali in psicoanalisi. Per un modello integrato", Mitchell tenta una proficua integrazione tra i diversi concetti relazionali presenti nelle diverse teorie quali la psicoanalisi interpersonale, la scuola britannica delle relazioni oggettuali (con particolare riferimento a Fairbairn, Winnicott, Bowlby) e la psicologia del Sé (fondata da Kohut), dando vita ad un nuovo orientamento che costituisce una "svolta relazionale" sfociata nella creazione del termine "relational psychoanalysis", ovvero la psiconalisi relazionale. Il modello relazionale si propone di tessere un dialogo tra le diverse scuole psicoanalitiche cercando di abbattere le infruttuose barriere concettuali interposte tra le diverse prospettive teoriche (Conci, 2012).
È con questa lente di lettura che ci si può avvicinare alla comprensione del lutto in senso relazionale.
Storicamente l'opera freudiana "Lutto e melanconia" (1917) è considerata la prima grande opera che tenta di leggere ed interpretare in senso psicoanalitico il tema della perdita. Mitchell (1988a) - offrendo una personale riflessione su questo breve ma significativo scritto del padre della psicoanalisi - sostiene che tale saggio delinea un momento sostanziale del progressivo interesse di Freud per le relazioni oggettuali interiorizzate.
Nella trattazione del lutto, Freud pone una differenza basilare tra il fisiologico processo del lutto e quello problematico della malinconia.
Il lutto normale inizialmente è caratterizzato da un diniego della realtà della perdita al fine di un mantenimento del legame con l'oggetto perduto. Successivamente la persona in lutto, posta di fronte alle evidenze dell'esame di realtà, è portata ad una fase di accettazione della perdita e all'utilizzo del ricordo come fonte evocativa della persona scomparsa. Col passare del tempo la persona abbandonerà l'investimento oggettuale; è solo attraverso questa dolorosa rinuncia che si attuerà il "lavoro del lutto". Gli oggetti reali e disponibili, a differenza dell'oggetto scomparso, inducono infatti la libido a spezzare l'attaccamento all'oggetto pregresso (Mitchell, 1988a).
Per Freud (1917) una volta che l'Ego ha dissolto tutte le sue connessioni con l'oggetto perduto, è libero di connettersi con un nuovo oggetto e investire su di esso: "la verità, comunque, è che una volta completato il lavoro del lutto, l'Io ritorna libero e perde l'inibizione" (Freud, 1917, p.174). Freud sospetta che se nel lutto normale si soffre per la perdita relativa ad un oggetto, il melanconico soffre per la perdita del suo Io. La libido, libera, anziché essere spostata su un altro oggetto, viene ritirata narcisisticamente nell'Io dove stabilisce una identificazione dell'Io con l'oggetto abbandonato (Bernstein, 2012).
La celebre frase freudiana "Cadde così l'ombra dell'oggetto sull'Io" (Freud 1917, p.180), può essere interpretata con il seguente ragionamento del melanconico: se l'oggetto sono io e io sono l'oggetto, allora non esiste nessuna perdita. Si nega la separatezza con l'oggetto, "un oggetto esterno (l'oggetto che ci ha abbandonato) è onnipotentemente sostituito da uno interno (l'identificazione dell'Ego con l'oggetto)", (Ogden, 2005 p. 34; Bernstein 2014 p.374).
Mitchell (1988a) sostiene che davanti a questa lettura del lutto, Freud si trovò di fronte ad un problema metapsicologico, ovvero la spiegazione di come un oggetto libidico esterno venga interiorizzato. Nel pensiero freudiano appare una netta distinzione tra prima e dopo la perdita, tra realtà esterna e interna: se prima della perdita l'oggetto è prettamente esterno al Sé, successivamente viene interiorizzato e fatto oggetto di attacchi da parte del melanconico.
Freud giunge quindi a concepire l'interiorizzazione come l'esito dell'investimento oggettuale abbandonato. Nel melanconico, a differenza che nel lutto normale, la perdita ha come risultato una identificazione avente come obiettivo una gratificazione ed una regolazione pulsionale: l'interiorizzazione diviene più piacevole della rinuncia per l'oggetto perduto e della ricerca di nuovi oggetti su cui investire (Mitchell, 1988a).
Questa spiegazione del lutto rispecchia pienamente un'ottica di economia pulsionale dove il focus è rappresentato dall'intento di massimizzare il piacere ed evitare il dolore.
Anche nei lavori successivi Freud, se pur in parte estende il concetto di identificazione ad un fenomeno generale dello sviluppo umano e quindi non solamente in senso patologico, torna sovente a considerarla come seguente alla perdita dell'oggetto, considerandola una vicenda pulsionale (Mitchell, 1988a).
Il lavoro di Freud può essere inteso come un racconto di identificazione (Bernstein, 2012)10: l'identità può essere concettualizzata come un conglomerato di relazioni d'oggetto abbandonate, un cimitero di oggetti sepolti o una memoria di queste relazioni d'oggetto; a volte non possiamo sopportare la rinuncia di qualcuno su cui c'è stato un forte investimento oggettuale. […]
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Brini |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2015-16 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Psicologia Clinica e di Comunità |
Relatore: | Cesare Albasi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 122 |
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