Aspetti evolutivi della dittatura in Roma arcaica

Tra coloro che si distinsero maggiormente nell’esercizio della dittatura nella prima fase repubblicana ci fu Lucio Quinzio Cincinnato, che ricoprì la carica di console nel 460 a.C. e quella di dittatore nel 458 a.C. e nel 439 a.C., gestendo con successo situazioni difficili. Apparteneva alla gens Quinzia che, secondo il racconto di Livio, sarebbe stata una delle famiglie originarie di Alba, giuntte a Roma dopo la sua distruzione e i cui membri furono inclusi tra i senatori. Si trattava dunque di un nucluo familiare i cui membri appartenevano originariamente alla classe aristocratica di Alba Longa e che entrarono a far parte del corpo civico romano in piena età monarchica.
Il primo membro della gens Quinzia in cui ci si imbatte nel racconto delle fonti antiche è Tito Quinzio Capitolino, fratello o cugino di Cincinnato, che fu console per la prima volta nel 471 a.C., ed è considerato insieme a Lucio Quinzio Cincinnato come il capostipite della famiglia. Nel racconto liviano Tito Quinzio Capitolino si distinse fin da subito per il suo animo moderato, esaltato nel confronto con il suo collega Appio Claudio uomo, al contrario, dal carattere iroso e arrogante. La sua figura è associata alla lex Publilia, una proposta di legge che prevedeva l’elezione dei magistrati della plebe da parte dei comizi tributi. A differenza di Appio Claudio contrario ad essa, Tito Quinzio Capitolino si dimostrò conciliante e la sua opera di mediazione permise che gli animi si placassero.
Alla fine degli anni Sessanta all’interno del panorama politico romano emersero due figure della medesima famiglia destinate a divenire un modello per le generazioni successive: Lucio Quinzio Cincinnato e suo figlio Cesone Quinzio.
Quest’ultimo compare nel racconto liviano in occasione di una nuova minaccia di Equi e Volsci che rese necessaria una nuova leva militare, osteggiata dai tribuni favorevoli alla lex Terentilia. In questo clima gli scontri tra patrizi e tribuni si fecero sempre più accesi e tra le fila dei primi si distinse il giovane Cesone che, secondo Livio, oltre ad avere notevoli qualità militari, era dotato di grande dialettica e riusciva a tenere testa da solo ai tribuni. Citato in giudizio dal tribuno Aulo Verginio a causa della sua opposizione alla legge, Cesone si ritrovò contro anche la plebe ma fu difeso dal console Tito Quinzio Capitolino, che ne elogiò i meriti militari, giustificando il suo ardore e e la sua arroganza come caratteristiche della giovinezza. Secondo il racconto dello storico patavino, l’ultimo a difendere Cesone fu il padre Lucio Quinzio Cincinnato evitando di fare elogi per non aumentarne l’impopolarità, chiese al popolo di assolvere il figlio come omaggio a lui che non aveva mai fatto nessun gesto di offesa. Il processo si concluse con la scelta di Cesone di andare in esilio, sebbene in seguito si scoprì che era innocente.