Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi: la svolta del 1993
Lo stragismo mafioso
Non c'è soltanto la necessità di dare risposta alla domanda di svolta in senso maggioritario espressa dagli elettori in occasione del referendum del 18 aprile: a turbare il Paese, al momento dell'arrivo di Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi, c'è anche l'attacco della criminalità organizzata - specialmente la mafia siciliana - e la conseguente lotta intrapresa contro di essa dallo Stato.
Dopo l'offensiva stragista iniziata da Cosa Nostra nel 1992 - con l'omicidio dell'esponente democristiano Salvo Lima (12 marzo) e con le stragi di Capaci (23 maggio) e via D'Amelio (19 luglio) - il 1993 inizia con una notizia che potrebbe portare a facili entusiasmi: l'arresto, a Palermo, del super boss latitante Salvatore Riina, detto "Totò", ritenuto il capo supremo di Cosa Nostra (15 gennaio). Gli entusiasmi e le dichiarazioni roboanti di tutto il mondo istituzionale e politico potrebbero far parere vinta la lotta contro la criminalità organizzata, ma basta poco tempo per capire che la mafia non rimane a guardare inerte quel momentaneo, apparente, vantaggio dello Stato.
Sono passati circa quindici giorni dal giuramento del governo Ciampi, la sera di venerdì 14 maggio 1993: alle 21.40, scoppia un'autobomba a Roma, in via Fauro, nel quartiere Parioli. Le telecamere della trasmissione TV "Mixer" di Raidue giungono pochi minuti dopo sul posto, trovando uno scenario che riporta immediatamente alla mente quello di via Mariano D'Amelio del 19 luglio 1992. Si temono decine di morti, ma miracolosamente non c'è nessun tributo pagato in termini di vite umane. L'obiettivo di quell'attentato è il conduttore televisivo Maurizio Costanzo, per il suo impegno personale di denuncia contro la mafia. La strage fallisce per un ritardo nell'azionamento del detonatore da parte degli attentatori, causato dal cambio della vettura su cui si trova il giornalista e la sua giovane compagna: la titubanza dei criminali nell'azionamento del detonatore provoca alcuni secondi di ritardo che consentono al convoglio di svoltare in via Boccioni, uscendo così dal raggio di esplosione dell'autobomba.
L'errore che viene fatto da molti è quello di non comprendere come questo primo attentato non sia un fatto riguardante la mafia e Maurizio Costanzo, bensì un episodio da inserire in un disegno criminoso più grande, che vede l'episodio di via Fauro come il primo di una lunga serie. E sulle prime, anche il neo presidente del Consiglio Ciampi sembra considerarlo tale: "Via Fauro […] potrebbe essere spiegabile come un fatto "privato" tra la mafia e Costanzo, "reo" di aver organizzato qualche uscita pubblica antimafia particolarmente efficace". Ci vuole poco tempo per capire che via Fauro è solo l'inizio.
Giovedì 27 maggio 1993. Mentre a Roma il presidente del Consiglio Ciampi si appresta a parlare all'assemblea di Confindustria, nell'ambito del negoziato sul costo del lavoro - con in tasca un discorso molto duro di critica all'atteggiamento predicatorio della principale associazione datoriale italiana - giunge da Firenze una notizia agghiacciante comunicata dal capo della Polizia, Vincenzo Parisi: una bomba potentissima è scoppiata nella notte nel pieno centro della città, in via dei Georgofili, dietro gli Uffizi. Naturalmente, non viene esclusa la pista dell'attentato. Il bilancio è pesantissimo: cinque le vittime - tra cui una neonata di neanche due mesi di vita - ed una quarantina i feriti.
Il ministro dell'Interno, Nicola Mancino, accompagnato dal presidente del Consiglio, uscendo da una riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza - tenutasi il 27 maggio proprio a Firenze - rilascia alcune dichiarazioni durissime e di chiara comprensione: parla, infatti, di un attentato che "dà al mondo intero l'immagine del terrorismo mafioso che aggredisce l'Italia, che aggredisce lo Stato"; un attacco che "ha il significato di una forte intimidazione allo Stato". Gli ambienti investigativi comprendono sin da subito che quell'attentato, come quello di via Fauro a Roma, assume una matrice di carattere eversivo-mafioso. Ma non è ancora finita.
Il momento più delicato arriva alla fine di luglio di quel 1993 "nerissimo" in tema di ordine pubblico. Soltanto quattro sono i giorni passati dalla firma dell'accordo generale definitivo sul costo del lavoro, mentre ancora fresco è l'inchiostro delle firme all'accordo tra governo e sindacati degli autotrasportatori quando, durante la notte tra il 27 e il 28 luglio, accadono alcuni episodi inquietanti nel Paese, che richiedono una riflessione a sé stante.
Sono le 23.15 circa del 27 luglio, e una Fiat Uno carica di esplosivo esplode a Milano, in via Palestro, nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea: anche stavolta il bilancio è pesantissimo, con cinque vittime, tra cui tre vigili del fuoco ed un vigile urbano, chiamati sul posto per una segnalazione di fuoriuscita di fumo da una macchina parcheggiata - nell'esplosione, muore anche un cittadino marocchino, sdraiato su una panchina nei pressi del luogo dell'esplosione. L'onda d'urto della deflagrazione è pesantissima: i detriti vengono rinvenuti anche a diverse centinaia di metri di distanza (tra cui il motore dell'autobomba); inoltre, la rottura di una conduttura del gas sotto la strada farà bruciare per ore la notte di Milano. Ma i fatti di via Palestro sono solo l'inizio di una notte drammatica.
Passano poco più di 40 minuti e scoppiano altre due bombe a Roma, quasi in simultanea: una nei pressi della chiesa di San Giovanni in Laterano e l'altra in via del Velabro, sul sagrato della chiesa di San Giorgio. Nessuna vittima, ma diversi i feriti, tralasciando i danni incalcolabili al patrimonio monumentale e culturale causato dalle tre deflagrazioni.
Alla televisione, tocca ad una giovanissima Francesca Grimaldi - alla conduzione dell'edizione della notte del Tg1 - raccontare in diretta gli eventi, che si vanno aggravando di minuto in minuto: dopo aver annunciato in diretta la prima bomba di Milano, la stessa conduttrice viene raggiunta dalla notizia delle due bombe esplose a Roma, immediatamente resa ai telespettatori. Anche Carlo Azeglio Ciampi è davanti ai televisori, nella sua casa di Santa Severa, dopo aver ricevuto dal ministro dell'Interno Nicola Mancino una telefonata informativa della bomba di Milano: è già stato deciso con Andrea Manzella un viaggio a Milano per l'indomani, ma poi la situazione precipita - dopo le due bombe esplose a Roma - ed il presidente del Consiglio decide, quindi, di convocare tutti i propri collaboratori a Palazzo Chigi mezz'ora dopo. L'arrivo di Ciampi a Roma è all'una e un quarto - con difficoltà di comunicazione enormi durante il tragitto, provocate da un guasto tecnico di tutto il sistema di centralini di Palazzo Chigi andato avanti per tutta la notte, su cui ancora oggi aleggiano fortissimi misteri.
Viene convocata immediatamente una riunione del Comitato per la sicurezza - prima al Quirinale; dopo a Palazzo Chigi, su indicazione del presidente del Consiglio. La riunione incomincia, non prima della decisione di Ciampi di non fare messaggi alla nazione - per evitare ulteriore panico - e far uscire un durissimo e molto determinato comunicato stampa: "Di fronte al ripetuto tentativo criminoso di creare disordine e panico per frenare il rinnovamento, il Governo della Repubblica riafferma la sua determinazione di garantire il diritto degli italiani al progresso democratico nella libertà".
Passata la notte, all'alba del 28 luglio Ciampi si sta preparando per andare a riferire al capo dello Stato sugli sviluppi delle vicende drammatiche della notte appena trascorsa, per poi essere in Parlamento al fianco del ministro dell'Interno, Mancino, chiamato a riferire alle Camere su quanto accaduto. Rientrati alcuni iniziali tentativi di contestazione verso il Governo, l'aula parlamentare approva in toto il discorso del presidente del Consiglio, il quale afferma come si sia davanti a quello che è "un disegno criminoso posto in essere da un'organizzazione che persegue la chiara finalità di sconvolgere la realtà politica e istituzionale del Paese. Questa realtà […] ha solidissime fondamenta democratiche nella volontà elettorale espressa dall'intero popolo italiano con una serrata e coerente sequenza di elezioni e referendum […]". Inoltre, Ciampi vede in quella sequela di attentati l'obiettivo di "interrompere il pacifico travaglio di cambiamento democratico, con un attentato complessivo a tutti i poteri dello Stato, mirante perciò a delegittimare tutte le istituzioni della Repubblica, seminando sfiducia e disorientamento nella comunità nazionale".
Considerando come, tra la fine del 1993 e gli inizi del 1994, sia ad un passo dalla realizzazione un attentato allo stadio Olimpico di Roma durante una partita di calcio con l'Udinese - che viene evitato soltanto grazie ad un malfunzionamento del detonatore dell'autobomba - è riscontrabile una stretta correlazione tra le vicende del governo Ciampi e gli attentati che insanguinano il Paese per tutto il 1993.
Sin dai primi momenti appare chiaro, sia al presidente del Consiglio che ai suoi ministri, come quell'offensiva mafiosa - andata via via assumendo sempre più i caratteri dell'eversione e del tentativo di sovversione del potere democratico - abbia come obiettivo quello di gettare il Paese nella paura, impedendo quel processo modernizzatore e riformatore avviatosi e con la stagione referendaria e con le vicende dell'inchiesta milanese "Mani Pulite", le quali hanno sicuramente accelerato un cambiamento radicale del sistema partitico.
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Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi: la svolta del 1993
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Informazioni tesi
Autore: | Pasquale Bevilacqua |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Alessandro Giacone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 54 |
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