Discriminazioni e pregiudizi di genere nelle Forze Armate italiane. Uno sguardo dall'interno
Lo stato attuale sulle discriminazioni e violenze di genere nelle FFAA
Da una decina d’anni le Forze Armate sono state interessate a un significativo processo di riduzione dei volumi organici del personale, processo che è di fatto iniziato ben prima, a partire dalla istituzione del servizio militare professionale e dalla sospensione della leva. L’obiettivo delle 150.000 unità complessive previsto dalla legge delega n. 244 del 2012 (“Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”), è in fase di lento conseguimento. Questo non spiega però come mai al 31 dicembre 2020 le FFAA hanno registrato la presenza di 18.000 militari di sesso femminile circa su un totale di circa 281.000, in altre parole solo il 6,39% considerando che, come anticipato, non esistono percorsi differenziati di selezione se non per quanto riguarda le prestazioni richieste per agilità, forza e resistenza che prevedono, peraltro non in tutti i concorsi, parametri valutativi diversi tra uomini e donne. Farina osserva che la percentuale di domande presentate dalle donne nei concorsi di arruolamento (nel triennio 2011-2013) è stata tra l’11 e il 14% e che in sede di selezione risulta che l’ingresso effettivo femminile non supera la metà delle domande presentate. Questo sbilanciamento tra generi, nonostante la formale parità di trattamento, per Farina è causa di “una parità di fatto non realizzata”. E’ consolidato parere del militare che scrive, anche per attuale constatazione diretta, che la carriera nelle FFAA semplicemente non sia ancora vista come alternativa prioritaria preferibile da parte delle donne.
Alla luce dei dati di presenza effettiva femminile, è quindi possibile volgere lo sguardo ai casi ufficiali di molestie sessuali segnalati, con dati aggiornati dal 2008 al 2020.
Farina esprime il dubbio secondo cui la non elevata casistica sia emblematica della carenza di una procedura specifica di segnalazione, nonché “di un ufficio o una figura di riferimento che supporti l’emersione o quantomeno il monitoraggio del fenomeno, per cui i casi registrati sono rarissimi ma non è pensabile che diano conto dell’entità del fenomeno” e che “la bassa incidenza numerica è tutta da interpretare, rimanendo la scala gerarchica la via di denuncia ed emersione dello stesso”. A tal proposito, a giudizio di chi scrive, è sì plausibile che i dati pubblicati nella Relazione di disciplina delle FFAA siano inerenti gli episodi maggiormente più gravi e non siano indice rappresentativo della totalità dei casi, ivi compresi quelli più lievi ed eventualmente puniti solo con una sanzione disciplinare.
E’ necessaria però una breve appendice. Nell’ordinamento penale la fattispecie “Violenza sessuale” art. 609bis, sulla quale la giurisprudenza è ampiamente intervenuta e continua tuttora a farlo, è un delitto punibile con la reclusione da sei a dodici anni, mentre l’art. 660 “Molestia e disturbo alle persone” è una contravvenzione punibile con l’arresto fino a sei mesi. Ciò posto, nelle FFAA è facoltà del Comandante del reparto punire con la consegna di rigore anche “fatti previsti come reato per i quali [egli] non ritenga di richiedere il procedimento penale, ai sensi dell’art. 260 del codice penale militare di pace”, ovvero per reati punibili con l’arresto (non la reclusione) fino a sei mesi. In altre parole l’autorità militare valutante può discrezionalmente decidere di sanzionare un reato commesso da un militare punibile con una misura restrittiva edittale non superiore a sei mesi, con un provvedimento disciplinare di corpo evitando l’invio degli atti presso la Procura Militare. Non è quindi da escludere che i casi più lievi e meno eclatanti di molestia sessuale in ambito militare siano stati classificati come contravvenzioni ex. art. 660 c.p. e trattati disciplinarmente con consegna di rigore, ciò spiegando i legittimi dubbi della Farina.
A tal proposito è stata di recente sollevata la questione sull’opportunità d’introduzione di nuove fattispecie di reato nel codice penale militare di pace a tutela della donna con le stellette. Del resto i codici penali militari (di pace, di guerra), attualmente in vigore risalgono nel lontano 1941, quando le donne non erano neanche immaginabili quali prestatrici di servizio armato.
E’ stato nell’occasione osservato che atti e fenomeni di prevaricazione e violenza anche psicologia tra militari, classificabili come nonnismo, come rituali vessatori basati sull’anzianità di servizio, sono spesso commessi in danno di donne militari. Sul punto, chi scrive esprime qualche dubbio di fondatezza. Senza dubbio il nonnismo è stato un fenomeno peculiare del mondo militare particolarmente debilitante la figura educatrice e plasmante delle FFAA. Le cronache ricordano anche episodi che sono sfociati con la morte del perseguitato e prima della sospensione della leva militare all’inizio del nuovo millennio, gli episodi di nonnismo erano all’ordine del giorno in qualunque distretto militare d’Italia. Tuttavia quest’abietto fenomeno sociale militare, un tempo così diffuso, può dirsi pressoché estirpato proprio in virtù dell’introduzione del professionismo militare, quando è venuta a mancare “la base” sulla quale si reggeva la biasimabile tesi secondo cui “la burbetta”, la recluta giovane, avrebbe dovuto “servire e far divertire il nonno” più anziano e “stanco” senza alcuna possibilità di reazione, pena soprusi di ogni tipo. La stessa Relazione sullo stato della disciplina conferma quanto osservato, pubblicando i casi di nonnismo in decremento già dal 1997 con gli ultimi casi (7) nel 2005 e casi sporadici successivamente.
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Discriminazioni e pregiudizi di genere nelle Forze Armate italiane. Uno sguardo dall'interno
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Informazioni tesi
Autore: | Evaldo Cipolloni |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2021-22 |
Università: | Università degli Studi della Tuscia |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | LMG-01 |
Relatore: | Barbara Giovanna Bello |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 27 |
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