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La costruzione impari del genere 'donna' attraverso la performatività delle immagini: modelli e stereotipi nel mondo televisivo italiano

Libertà femminile

I fattori di dignità, reputazione, immagine in contrasto quelli di onestà, realtà, verità vengono costantemente ripresi in mano dall'opinione pubblica ogni qual volta scandali di tipo sessuale vengono a galla e, a meno che non sia la violenza fisica ad essere protagonista, difficile è ragionare su cosa abbia portato al crearsi di situazioni che hanno visto intrecciarsi politica, scandali sessuali e sistema mediatico.
Le 'donne mediatiche', vengono spesso additate come modelli poco dignitosi, come categoria fuorviante rispetto alle 'donne reali', considerate immagini degradanti che poco hanno a che fare con la donna 'vera'. Lo stesso documentario della Zanardo, nonostante abbia messo a fuoco una parte di mediaticità al quanto deprimente, è stato ampiamente criticato in quanto espressione di un pensiero incastrato in un clima culturale completamente diverso da quello odierno. I punti cardine ai quali l'autrice fa riferimento, ovvero la poca autenticità dei corpi, la presenza accattivante e silenziosa, la poca rappresentatività delle donne reali all'interno della tv rimandano ad un fantomatico modello ideale di donna, espressione di un pensiero che trova ancora oggi terreno fertile in un certo dibattito popolare femminista italiano. Perorare ancora la causa delle donne inquadrandola in un assunto teorico che vede la donna reale disgiunta e non rappresentata dalla cultura mediatica fa sì che si riduca il concetto di essere donna ad un unico, 'normale' e giusto modo di essere tale. Un discorso tipico di un certo perbenismo, che vige ancora nei dibattiti sul genere, che così facendo continuano a produrre un'idea fortemente normativa del soggetto donna.

“L’idea di una realtà autentica della donna è di per sé problematica perché presuppone un soggetto unitario e un'essenza del desiderio femminile […] Considerare l'immagine televisiva come puramente artificiale e degradante implica la possibilità che ci sia invece un modo corretto di rappresentare le donne”. (A. Gribaldo, G.Zapperi, 2012, pp.29-30).

Contrapporre la velina alla donna 'reale', di tutti i giorni, produce un rimbalzo che oscilla da uno stereotipo all'altro, ma che non giova a nessuno dei due.
Il richiamo costante alla dignità non trova poi spazio in una società dove l'accesso ad una realizzazione dignitosa di sé anche solo a livello professionale sta diventando un'utopia.
Il percorso di emancipazione della condizione femminile è avvenuto lungo l'arco del' ꞌ900 in concomitanza con i grandi cambiamenti economici avvenuti in tutto il mondo. La donna, volendo uscire dallo spazio privato, domestico, volendo acquisire una propria libertà si è trovata via via a doversi inserire nei sistemi sociali, politici e di mercato già pianificati, a volte adattandosi, a volte respingendo le condizioni imposte.
La libertà di mercato, ovvero la libera interazione tra acquirente e venditore, produttore e consumatore senza l'intermediazione dello stato, il neoliberismo come viene definito oggi dal linguaggio mainstream, ha inglobato con scaltrezza dentro le proprie logiche, quelle dell'individuo-impresa di se stesso, la richiesta di integrazione femminile.
In un articolo apparso su The Guardian nel 2013 Nancy Fraser scrive:

“Questo potrebbe spiegare perché una serie di idee femministe, che un tempo facevano parte di una visione del mondo radicale, oggi vengono utilizzate a fini individualistici. In passato, le femministe criticavano una società dove si promuoveva il carrierismo, adesso viene consigliato alle donne di “affidarsi”. Il movimento delle donne una volta aveva come priorità la solidarietà sociale, oggi festeggia le imprenditrici. La prospettiva di allora valorizzava la “cura” e l’interdipendenza umana, ora incoraggia il progresso individuale e la meritocrazia. Ciò che si nasconde dietro tutto questo è un cambiamento di rotta del paradigma capitalista. Il capitalismo stato-assistito del dopoguerra ha lasciato il posto a una forma innovativa di capitalismo, “disorganizzato”, globalizzato, neoliberista. La seconda ondata del femminismo è emersa come critica al capitalismo di prima maniera, ma infine è diventata ancella del capitalismo contemporaneo.” (https://www.iaphitalia.org/nancy-fraser-come-il-femminismo-divenne-ancella-del-capitalismo/)

Nancy Fraser vede in questo 'scivolamento' del femminismo verso il capitalismo cinico del dopoguerra una complicità voluta e pensata: “Ma non perché noi donne siamo state vittime passive di seduzioni neoliberiste. Al contrario, noi stesse abbiamo direttamente contribuito a far raggiungere al capitalismo questo stadio di sviluppo” (ivi).
C'è a mio avviso, però, oltre ad una palese complicità, una più nascosta incentivazione allo sviluppo dell'oggettivazione del sé da parte della new-economy, un'incentivazione a rendersi prodotti vendibili sul mercato, veicolata anche attraverso i mass-media che producono e rappresentano immagini femminili repressive collocandole all'interno di un sistema ben strutturato.
La crisi permanente, la richiesta sempre più crescente di un reddito adeguato al consumismo impellente, la condizione di subalternità di numerose donne, i modelli insistenti proposti dai media, dalla pubblicità, l'incessante bombardamento mediatico di donne emancipate, in carriera, di icone seminude, pronte a tutto, ha fatto sì che le donne stesse si siano ritrovate a dover fare i conti con dei modelli utopici di loro stesse, dove diventa difficile decidere se riconoscersi, distaccarsi o intraprendere strade alternative. La voglia di emancipazione, di integrazione, di uguaglianza è stata offuscata sapientemente da un sistema economico-politico che per farti credere libera ti fa vedere nuda, che per farti credere felice ti fa vedere ricca e gli strumenti forniti dalle agency formative (famiglia, scuola, lavoro) per valutare e pensare alle possibilità che si hanno di fronte sono ancora pochi e saltuari. Nella realizzazione di sé, nella costruzione della propria identità, nell'autorappresentazione di sé che va inserendosi nel contesto liberale, globale e globalizzato è facile rimanere imbrigliate nelle logiche di mercato e trasformarsi in merce di consumo.

“La trascrizione della libertà femminile in autoimprenditorialità e autovalorizzazione è stata ed è uno dei target cruciali del neoliberalismo, che ha cambiato non solo la condizione materiale – precariato, messa al lavoro delle qualità femminili, commercializzazione dell’immagine eccetera – ma lo stesso dispositivo di soggettivazione delle donne. La soggettivazione neoliberale passa per l’interiorizzazione degli imperativi di sistema, e dunque, nel caso delle donne, non più per il rifiuto ma per l’accettazione e la gestione in proprio dell'oggettualizzazione, del farsi oggetto dello scambio sociale.” (https://www.diotimafilosofe.it/larivista/rinnamorarsi-del-femminismo-intervista-a-ida-dominijanni-il-trucco-sessualita-e-biopolitica-nella-fine-di-berlusconi/).

La libertà femminile viene piegata alle leggi di mercato passando attraverso il corpo, c'è un obbligo silenzioso, fatto di immagini, alla bellezza, alla nudità, ad una autorappresentazione erotica. Se grosso modo fino alla metà del secolo la tendenza era quella di eliminare la donna dalla sfera pubblica, oggi la si include, la si valorizza, la si rende importante quasi esclusivamente tramite strategie oculate che mirano a mercificare la sua cosiddetta libertà.
La risposta a questo tipo di sistema è stata a volte di tipo moralista, repressiva e conformante, e a discapito dei soggetti femminili. In un libro che ha fatto molto scalpore, Siamo tutti puttane, Annalisa Chirico, “giornalista, femminista, ma non perbenista” come si autodefinisce, si scaglia contro questo sistema, contro le 'taleban-femministe', femministe di vecchia generazione, e rivendica come sacrosanto il diritto alla prostituzione libera e consapevole, come una delle possibili scelte lecite e plausibili per una donna che voglia far carriera.
Ma si può parlare veramente di libera scelta?
In un mondo dove la condizione lavorativa della donna è in continuo divenire, dove la richiesta femminile della partecipazione al lavoro è in continuo aumento e dove l'accesso al carrierismo sono dimensioni alquanto moderne e soggette ai condizionamenti culturali che per secoli hanno visto l'uomo come unico essere dominante (se non che per rare eccezioni) all'interno della sfera pubblico-economica, mentre la donna è stata relegata a ruoli subalterni o necessari ed indispensabili, ma solo all'interno delle mura domestiche, (la regina del focolare), dove sta la consapevole scelta? Il ruolo sociale femminile, le politiche di sostegno, i quadri legislativi ed istituzionali quanto sostengono oggi il lavoro femminile? Quanto concedono e quanto negano alle giovani donne? Quanto le politiche sociali incrementano l'indipendenza femminile? E all'interno dei mass-media quanto le donne sono rappresentate in quanto soggetti autorevoli, competenti, esperti e quanto invece vengono designate come semplici opinioniste, quando non raffigurate come frivoli oggetti del piacere?

“Durante la IV Conferenza mondiale sulle donne che si tenne a Pechino nel 1995, l’ONU incluse i media fra i dodici settori decisivi per il miglioramento della condizione femminile. Da allora la questione assunse una dimensione transnazionale e divenne una sfida per tutti i Paesi delle Nazioni Unite, con i loro Governi, le loro istituzioni e una pluralità di stakeholder chiamati a impegnarsi per raggiungere due obiettivi strategici: «aumentare la partecipazione e l’accesso delle donne all’espressione e al decision-making dentro e attraverso i media e le nuove tecnologie della comunicazione» e «promuovere una rappresentazione bilanciata e non stereotipata delle donne nei media»”. (https://www.osservatorio.it/attivita/gender/)

Le direttive teoriche auspicano indubbiamente, in ogni settore, al raggiungimento di standard dignitosi che amplino gli orizzonti rendendo equilibrate e non stereotipate le rappresentazioni di genere, ma sempre nuove forme e nuove modalità di decodificazione di tali buoni propositi si insinuano instaurando nuovi paradigmi. In particolare la questione della libertà femminile risulta uno dei nodi cruciali del nostro tempo, è una questione controversa che si allaccia alla questione del lavoro e che si trova a fare i conti con le logiche di mercato tipiche del neoliberismo, le logiche della competitività sfrenata, della continua precarietà, della pressante richiesta di adattabilità ad ogni forma di lavoro, di contratto, di orario, tutte pratiche che stridono fortemente con la stabilità e la rigidità dettate dalla rivendicazione di un sistema ormai inesistente. Tutte queste trasformazioni agiscono direttamente sulle aspirazioni e sui desideri delle donne, che trovandosi costrette a fare i conti con una precarietà e una instabilità permanente, cercano un legame con chi detiene il potere in modo da assicurarsi un futuro dignitoso.

In un mondo dove le competenze femminili faticano ancora ad essere riconosciute e valorizzate, anzi spesso vengono minimizzate (in un immaginario colloquio di lavoro la possibile gravidanza di una donna è tuttora, a parità di competenze con un uomo, un fattore discriminante), l'utilizzo del proprio corpo diventa una strada momentaneamente e apparentemente più sicura che garantisce economicamente ciò che anni di studio e conoscenze non possono garantire.
Nonostante già dagli anni '80 si cerchi di promuovere in Italia in ambito lavorativo la diffusione delle pari opportunità fra i generi, la situazione non si può dire ancora oggi risolta. Le azioni positive, affirmative actions, così vengono chiamate, sono strategie che cercano di incoraggiare le donne in attività a forte indirizzo maschile e ad abbattere il tradizionalismo vigente nel pensiero comune, ma ad oggi persistono ancora forti demarcazioni, anche a causa del ruolo che la donna è chiamata a ricoprire all'interno della famiglia, che dividono il lavoro che tradizionalmente era “degli uomini” da quello “delle donne”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La costruzione impari del genere 'donna' attraverso la performatività delle immagini: modelli e stereotipi nel mondo televisivo italiano

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Flori
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Pro.Ge.AS - Progettazione e Gestione di Eventi e Imprese dell’Arte e dello Spettacolo
  Corso: Scienze e tecnologie delle arti figurative, musica, spettacolo e moda
  Relatore: Silvia Lelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 85

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